I nuovi modelli di comunicazione non valorizzano aggregazione e comunione


| Rachele Gerace |

MESSINA – “Va’, incontra la tua gente e fai del bene!”. Con questo mònito d’incoraggiamento del Santo Padre, che lo aveva incontrato alcune settimane prima dell’insediamento a Messina, monsignor Giovanni Accolla ha dato inizio lo scorso 7 gennaio, al suo mandato pastorale nell’arcidiocesi di Messina, Lipari, Santa Lucia del Mela. “Un vescovo deve aprirsi a tutti, rispettando la dignità della persona e abbattendo tutte quelle barriere che creano spazi di emarginazione”: si presenta così il presule, fiero nella statura e con quel “cuore di padre” che Messina aveva già incontrato nella figura di monsignor Angelo Paino. Un impatto, quello con il suo nuovo gregge, che definisce “emotivamente bello” nella percezione del “grande desiderio di accoglienzadel vescovo tanto atteso”.

L’incontro con le istituzioni civili, le prime visite alle parrocchie e negli istituti religiosi, sempre però con il criterio dell’improvvisazione dettata non dalla voglia di stupire, ma in linea con la spontaneità della sua persona, per “far cogliere agli altri e apprezzare l’essenza reale delle circostanze”. La spontaneità che dimostra tanto nell’affabilità, quanto nei momenti di insofferenza, dice di averla ereditata dalla famiglia quella “palestra di vita da cui ha avuto la fortuna di ereditare valori veri”. Sarà anche per questo che monsignor Accolla ha ben chiara l’idea che “un pastore fedele alla chiamata del Signore ha il dovere di porsi come riferimento della collettività ecclesiale e civile che, soprattutto in questo momento, generi aggregazione e comunione interpersonale, elementi sempre meno valorizzati dai nuovi modelli di comunicazione”. Un vescovo dalle idee chiare che custodisce, cauto, un sogno: “Voglio essere fomentatore di buone relazioni a servizio dell’uomo”.

La prima impressione ricevuta dal contatto con le istituzioni è stata di attenzione e disponibilità: “È importante- sostiene – che esse, pur riconoscendo nel vescovo solo l’autorità ecclesiale ma un interlocutore cosciente non si delegittimino, ma portino avanti progetti di aggregazione sociale per abbattere le precarietà”. Sul piano pastorale e della comunione sacerdotale, che definisce prioritaria nella vocazione,ribadisce l’importanza di “trovare una comunità che scopra il senso del proprio agire nella parola di Dio che s’incarna”. In merito poi alle tanto discusse fratture in seno al clero,dellequali già è venuto a conoscenza, pur non potendosi pronunciare non conoscendo ancora bene la realtà ecclesiale dichiara di aver riscontrato “molta ricchezza spirituale e tanta disponibilità nel servizio”.

Un aspetto che invece ha già ben chiaro, perché legato alla sua lunga esperienza di parroco e in seno alla fondazione S. Angela Merici, è quello della religiosità che s’incarna nella carità: “Il ruolo della Caritas diocesana, dell’ufficio Migrantes o di istituzioni come la Casa di Vincenz — dice – sono espressione di un impegno laicale che garantisce cura e accoglienza ai bisognosi”. Una carità silenziosa ma concreta, quella promossa dal Presule che, in merito alle problematiche sui disabili non disdegna di richiamare quelle forze politiche regionali,incapaci di tradurre in scelte coerenti il percorso di servizio legato al valore umano. “Le istituzioni – afferma – non sono garanti delle leggi, ma le usano per una crescita delle coscienze .Vorrei che la CESI (Conferenza Episcopale Siciliana) ponesse maggiore attenzione sulle disabilità, per non lasciar spazio a chi – partendo da un quadro normativo non sempre impeccabile e ragionando su presunti equilibri economici – considera queste persone destinatarie di un servizio e non risorsa gratuita per la nostra società”.

Monsignor Accolla ha voluto sottolineareanche l’aspetto vocazionale dell’episcopato che, come pienezza di sacerdozio, è soprattutto conferimento di un sacramento: “Sono stato chiamato – ha detto – a servire una porzione, quella di Messina, Lipari, Santa Lucia del Mela, dell’unica Chiesa universale. Desidero il conforto di un presbiterio, di un laicato e di un’intera comunità di fedeli feconda, ricca, che ho il dovere di valorizzare, dopo il silenzio forzato dalle cronache dell’ultimo periodo, affinchè insieme possiamo metterci in ascolto soprattutto di chi è stato zittito dall’emarginazione, valorizzando le espressioni di servizio nel rispetto delle regole”.“Bisogna coltivare – ha proseguito – una spiritualità dell’attenzione, della premura, della donazione, mirando all’essenzialità delle cose. In questo senso, allora, anche la cura dell’aspetto amministrativo diventa valorizzazione di risorse e testimonianza d’integrazione; meglio una diocesi povera ma autentica, piuttosto che ricca ma che dà scandalo”.

 

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