"Il Cacciatore", Giorgio Giampà e Francesco Di Stefano: "È un imperativo morale raccontare la mafia senza censura"

Katya Maugeri

Ci sono musiche che continuano a raccontare una storia nonostante i silenzi e che diventano spazio nel quale riflettere e accogliere forti emozioni. Immagini cruenti che danzano su  note cucite addosso a quell’atmosfera che i registi Stefano Lodovichi e Davide Marengo hanno scelto di dare alla serie tv Il Cacciatore, realizzata da Cross production per Rai fiction, ispirata a “Il cacciatore di mafiosi” che racconta  la vera storia  del magistrato Alfonso Sabella in uno degli spaccati più cruenti della lotta tra lo Stato e la mafia nei primi anni ’90.

Giorgio Giampà e Francesco Di Stefano, rispetttivamente autore delle musiche e montatore della serie hanno contribuito con maestria alla realizzazione di una dimensione in cui i fatti raccontati scuotono l’anima. Durante la nostra chiacchierata è emersa la passione e la cura dei dettagli nel voler dare forma a un prodotto che potesse raccontare quel periodo storico in cui “l’Italia era in guerra”.

“Era indubbiamente una guerra e a me, che all’epoca avevo dieci anni, faceva paura, ci racconta Giorgio Giampà. “Probabilmente, senza pensarci, è dalle sensazioni personali dell’epoca che sono partito per costruire la musica della serie. Sono molte le strade che poi abbiamo dovuto percorrere per trovare le chiavi giuste di una serie così ricca di personaggi, azioni ed emozioni. L’idea della Caccia per esempio è stata importante, un’azione dalla grande escursione dinamica e ritmica: il cacciatore deve quasi azzerare il proprio respiro nell’attesa che la preda compaia, continuare a “non esistere” finché la distanza non sia giusta per sferrare l’attacco e poi muoversi con rapidità ed energia. Le musiche della Caccia partono spesso dal nulla per poi diventare molto “energiche”.

Una ricerca costante e minuziosa di innovazione, per garantire allo spettatore un racconto inedito intriso di riflessioni ed emozioni. La musica scelta non è mai lasciata al caso, non è un sottofondo né un semplice legame di immagini, ha una componente narrativa capace di armonizzare parole e silenzi, sguardi e azioni. Un lavoro di grande ricerca emotiva, per narrare la mostruosità dei mafiosi da ogni prospettiva, anche quelle difficili da rappresentare. “Ogni scelta, dal singolo taglio di scena alla costruzione di una sequenza doveva suscitare al massimo livello una emozione – spiega Francesco Di Stefano – cercando di raccontare una storia che potesse coinvolgere il pubblico, come mai prima. Ho cercato di esaltare una realtà a tratti sconosciuta che merita di essere raccontata nella sua crudezza”.

Il Cacciatore è una serie che disarma, un lavoro di squadra avvincente che mette in luce ogni penombra. I temi musicali, per esempio, sono utilizzati in maniera assordante, in modo inaspettato. La scelta di utilizzare un brano come quello di Ivana Spagna durante la presentazione del personaggio di Leoluca Bagarella è chiaramente una scelta sofisticata: escludere ogni altro suono per far emergere – in modo originale e spiazzante – l’identità di un mostro.
La serie è stata accolta dal pubblico con grande entusiasmo, probabilmente perché lo spettatore era alla ricerca di storie inedite, di aneddoti che spiegassero finalmente gli spazi lasciati in ombra di uno dei capitoli più atroci della nostra Italia. Unica serie italiana in competizione alla prima edizione di Canneseries, conclusa con una vittoria italiana: Francesco Montanari, che interpreta il magistrato Saverio Barone, è stato premiato per la miglior interpretazione maschile.

“Siamo contentissimi della selezione a Canneseries. Siamo contenti che il pubblico non si identifichi nei mafiosi – continua Giampà – e non li trovi “fighi”. Ci arrivano messaggi di giovani a cui viene la voglia di fare i magistrati e questo è bello perché il mondo ha un gran bisogno di nuovi cacciatori pronti a battersi contro coloro che vogliono usare violenza sul prossimo, ovunque essi si nascondano”.

Si evince una forte unione, un desiderio comune di voler raggiungere lo stesso obiettivo, “Un gruppo unito da una forte sinergia – conclude Di Stefano – una sintonia che ha unito il desiderio comune di raggiungere un obiettivo ambizioso. E l’approccio registico di Stefano Lodovichi e Davide Marengo è stato coraggioso: non sono stati utilizzati i consueti stilemi dei prodotti della tv di Stato, ma è stato seguito un registro realistico e verosimile, quindi crudo”

È necessario che i filtri vengano abbandonati, finalmente, per lasciare spazio all’autenticità di storie che riguardano ognuno di noi.

 

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