Il mondo fuori

Il mondo fuori

di Erica Donzella
editor e scrittrice

Me lo chiedono spesso e, in realtà me lo chiedo anche io. Come fai? È una domanda che puntualmente ha una sola risposta da anni, e non è detto che sia semplice darla, anzi. Lo faccio, puntoOra, non c’è nessuna lamentela dietro queste righe. È stata una scelta consapevole e voluta fortemente quella di essere una libera professionista e, in barba a tutto quello che si possa pensare (disponibilità di tempo libero, niente orari-obblighi d’ufficio), questa scelta costa. Ogni giorno, e non solo perché lo Stato assorbe circa la metà dei miei guadagni annualmente, ma perché non ci si rende conto della perdita di una parte di sé. Capiamoci, c’è della fortuna nella mia vita. Ci penso a chi un lavoro non sa nemmeno cosa significhi, chi prega per richiedere un reddito di cittadinanza, chi viene cacciato via improvvisamente da un’azienda senza preavviso. Io faccio il lavoro che amo e fine dei giochi. Ma rifletto su come, quando e perché le scelte che prendiamo diventino enormi quartieri solitari e silenziosi. Non potete capirlo.

La mia è una riflessione sui tempi che si vivono e fanno male, a tutti e tutte. Lo sai che esiste il mondo fuori? Non puoi dedicare tutta la vita al lavoro. Ebbene, ne sono cosciente, ma in questo giro di giostra ho messo il gettone e sto iniziando a dondolare. Scusatemi se devo ancora prendere bene le misure tra me e il mondo fuori. Devo ancora capire come funziona questo su-e-giù della vita e in che modo, come essere umano, possa essere in grado di saltare giù quando il giro finisce. Devo essere “performativa” anche se, di base, non me lo impone nessuno. È solo la contemporanea, liquida, asfissiante logica dell’esserci per sopravvivere. Cioè, per fare la spesa serenamente ecco.

Devo mangiare no? Per mangiare, devo lavorare tanto. Punto. Nel mondo fuori ci sono una famiglia, degli amici, una compagna: quando riesci e vuoi far entrare qualcuno nella tua vita le mani sono subito avanti: “Oh, sappi che questa è la mia vita”. Bene, se rimangono nonostante tutto forse qualche domanda te la devi porre. È quasi un miracolo. Nel mondo fuori ci sono i sensi di colpa quando dimentichi un compleanno, una ricorrenza. Quando il giro di giostra finisce e scendi dal cavallo inquietante su cui eri seduta non tutti sorridono. Ti stavano aspettando, per tutto l’intero giro.

Cosa potevo fare? Non posso mica scendere al volo! Di questi tempi, gente come me si arrabbia perché teme di non sentirsi compresa, perché se il giro dura dodici ore al giorno non è mica colpa tua. Eppure, a volte, bisognerebbe scendere al volo, averne il coraggio, dico. Spegnere il telefono e dire: “Signori, è stato un piacere. Tante care cose”.

Anche questa dovrebbe essere una scelta inevitabile, perché in mezzo a quello che “si deve fare” bisognerebbe considerare un certo grado di felicità che proviene dal sorriso di chi aspetta, fin quando ti aspetta. Me lo chiedo spesso.

Chi rendo infelice quando dico di non aver tempo, quanto e chi ho perduto in questi anni? Salire sulla giostra è una scelta che vale sicuramente la pena fare, ma forse, sopratutto chi decide di stare in piedi da solo deve anche ricordarsi di vivere.
Semplicemente. Scrivo queste righe per promemoria, perché i sogni non di ventino ossessioni e perché, in fondo, è bello essere ancora presa per mano e sentire… Ti stavo aspettando.

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