Il Parco dell'Etna ha trent'anni

 

| Angelo Messina |

ETNA – L’idea di tutelare un ambiente naturale straordinario ed unico in Europa come quello del comprensorio etneo con la costituzione del Parco dell’Etna può farsi risalire agli anni ’60 ad opera di un’iniziativa sostenuta dal botanico prof. Valerio Giacomini e da un piccolo gruppo di studiosi ed appassionati. Tuttavia, solo un ventennio dopo l’Assemblea Regionale Siciliana, il 6 maggio 1981, riesce ad approvare la Legge n. 98 che prevede l’istituzione di 19 riserve e la nascita di 3 parchi naturali: l’Etna, i Nebrodi e le Madonie. Con tale legge quadro che segna l’inizio della storia siciliana delle aree protette, la regione Sicilia decide di avviare un’azione organica di tutela del territorio che vede l’istituzione della maggior parte delle aree protette siciliane nel 1992 vede l’esitazione e l’esitazione da parte del Consiglio Regionale per la Protezione del Patrimonio Naturale (CRPPN) del Piano regionale delle Are Protette di Sicilia.

Ritornando al Parco dell’Etna, il compito di redigere la proposta di istituzione, portata avanti da un Comitato di Proposta costituito dai rappresentanti dei 20 Comuni interessati, da ambientalisti e da docenti universitari tra i quali vanno ricordati i nomi dello zoologo Marcello La Greca, del vulcanologo Salvatore Cucuzza Silvestri, della botanica Emilia Poli, dell’agronomo Francesco Papale e del giurista Luigi Arcidiacono,  di Ugo Meli, allora presidente regionale di Italia Nostra, e di Mario Libertini che è stato uno degli estensori della L. R. 91/88 con la quale è stato istituito il Parco. dopo vari problemi e difficoltà viene definita finalmente nel settembre del 1985. Da allora, sono stati necessari quasi due anni per dare risposta alle numerose osservazioni da parte dei cittadini, enti locali, istituzioni scientifiche ed associazioni ambientaliste.

Finalmente il 17 marzo 1987 (GURS n. 14 del 4 aprile 1987) viene istituito il Parco dell’Etna ed Il 14 agosto dello stesso anno viene costituito l’Ente di diritto pubblico per la gestione dell’area protetta, denominato Ente Parco dell’Etna con sede in Nicolosi (CT). Inizialmente non furono momenti facili e fu necessario grande impegno e soprattutto una puntuale ed attenta opera di comunicazione, requisiti indispensabili per superare atteggiamenti di grande avversione da parte di enti locali e soprattutto dei cittadini che, ritenendosi limitati nella disponibilità della proprietà o addirittura espropriati, a lungo si sono opposti con veemenza alla sua istituzione.Non va dimenticato che allora il grado di rifiuto delle aree protette era diffuso e arrivava sino al 75%, come dire che oltre 2 persone su tre erano contrarie alla istituzione di parchi e riserve naturali.

Il messaggio che a poco a poco riuscì a fare breccia nell’atteggiamento di generale ostilità contribuendo notevolmente ad abbassare la diffidenza fu quello che presentava il Parco dell’Etna, così come le altre aree naturali protette, quale nuovo modello di assetto territoriale in grado di coniugare la conservazione della natura con le attività antropiche, in una visione complessiva di recupero e tutela del patrimonio naturalistico ed ambientale, correlato allo sviluppo sociale ed economico ecocompatibile dell’area sottoposta a tutela. In altre parole, ai cittadini si prospettava una conservazione attiva in grado di concorrere da un lato alla salvaguardia e alla corretta gestione del territorio e dall’altro di permettere contestualmente nel loro interno, il perseguimento di migliori condizioni della qualità della vita e sviluppo sociale ed economico.

Per sua fortuna, fin dalla nascita, il Parco dell’Etna ha avuto il vantaggio di trovare una validissima ed autorevole guida in Bino Li Calsi, primo commissario e poi primo Presidente del parco, che si avvalse di un Comitato Tecnico Scientifico di alto livello (del quale fece parte, tra gli altri, il prof. Romolo Romano) e di personale molto motivato ed entusiasta. In diverse occasioni in cui mi sono ritrovato a collaborare in iniziative congiunte con il Parco dell’Etna, hoavuto modo di apprezzare la professionalità e la disponibilità di presidenti e direttori di turno e del personale tutto, da Giuseppe Di Paola a Gaetano Perricone, a Salvo Caffo, a Rosa Spampinato, e non ultimo a il “big” Luciano Signorello, che ho sempre indicato come “l’anima del Parco”.

Il periodo che va dall’inizio degli anni ’90 fino al primo decennio del 2000, per chi si occupava di parchi e Riserve è stato un entusiasmante periodo di grande fervore, di iniziative regionali e nazionali finalizzate soprattutto a promuovere la conoscenza delle bellezze paesaggistiche delle nostre aree protette e dei patrimonio naturalistico e culturale antropico. Allora, nonostante che i soggetti incaricati dalla Regione Siciliana fossero svariati, Enti Parco, Azienda Foreste Demaniali, Province Regionali, Associazioni ambientaliste ed Università, tutti si muovevano accomunati dall’idea di fare sistema e di considerare le aree protette loro affidate come un patrimonio unico da gestire in sinergia,accomunati dall’obiettivo di preservarlointegro per le future generazioni e nel contempo direnderlo fruibile per i cittadini in un’ottica di sviluppo socio-economico sostenibile. Tale strategia ha dato buoni risultati ed il convincimento che le Aree Protette avrebbero portato sviluppo e benessere si afferma seppur lentamente, modificando nel tempo l’iniziale atteggiamento di netto rifiuto che a lungo si era mantenuto a livelli sempre molto elevati.

Infatti, sul finire degli anni ’90 a poco a poco si assiste alla diffusione del convincimento che parchi e riserve avessero i importanti requisiti per affermarsi come soggetti positivi in grado di svolgere un importante e insostituibile compito propositivo di iniziative finalizzate alla crescita sociale ed economica del territorio.A cavallo degli anni 2000 tale convincimento viene avvalorato dal considerevole sviluppo del turismo internazionale verso le aree ad elevata naturalità con una consistente crescita di domanda di servizi verso le aree naturali. Tale tendenza esaltava il ruolo economico delle Aree Protette che acquisivano tutte le caratteristiche, anche sotto il profilo occupazionale, di soggetti strategici capaci di innescare nuovi e significativi processi durevoli di sviluppo socio-economico. Era quello che le comunitài volevano sentire, e già all’inizio degli anni 2000, anche a seguito di tali eventi, i cittadini cominciarono a guardare con nuovo atteggiamento la presenza delle aree protette. Si parlò sempre meno di espropriazione ambientalista e nel tempo circa il 70% dei cittadini cambiò opinione e cominciò a considerare parchi e riserve come istituzioni positive e vantaggiose. Non a caso, se fino a poco tempo prima i comuni facevano a gara per fare escludere il territorio il territorio amministrato da quello di parchi e riserve, col tempocambiarono atteggiamento cominciarono a richiedere l’inclusione di loro territori all’interno di un’area protetta.

Tale trend di attrattività delle aree protettesi manifestòanche nei confronti del Parco dell’Etna che in questo trentennio, dopo il già citatp Bino Li Calsi, ha visto il succedersi alla sua guida diversi presidenticapaci e lungimiranti, quali Franco Russo, Cettino Bellia, Ettore Foti, per arrivare all’attuale presidente Marisa Mazzaglia. Sotto la loro guida sono state realizzate parecchi importanti iniziative delle quali ne cito solo alcune. La costituzione della Federazione Italiana dei Parchi e delle Riserve (Federparchi) della quale Bino Li Calsi è stato socio fondatore e primo presidente.

La realizzazione del campo collezione della Banca del Germoplasma per la caratterizzazione e conservazione del patrimonio genetico vegetale etneo. Realizzato su un’area di circa tre ettari e gestito secondo il metodo biologico di produzione codificato, nell’ambito del Centro per la valorizzazione e la salvaguardia della biodiversità della Sicilia Orientale, il campo collezione, ospita un campionario di specie di interesse naturalistico e agrario (vigneto, frutteto, ginestreto, piante di interesse forestale), oltre a specie aromatiche e officinali presenti nel comprensorio etneo. La proclamazione dell’UNESCO avvenuta il 23 giugno 2013 dell’Etna sito naturale del Patrimonio dell’Umanità. Va ricordate che la candidatura era stata avanzata tre anni prima sotto la presidenza di Ettore Foti, allora Commissario Straordinario del Parco dell’Etna,

Non va dimenticato il contributo determinante al successo trentennale del Parcofornitoanche dalla forestale che è stata sempre presente con una continua azione di prevenzione e di tutela, degli agricoltori che hanno recuperatoi vigneti, degli imprenditori che hanno realizzato strutture agrituristiche grazie ai fondi europei. Tuttavia, i legittimi festeggiamenti della ricorrenza del trentennale della istituzione del Parco dell’Etna, decano dei parchi di Sicilia, non debbono servire solo ad elencare i successi ottenuti ma anche per ricercarne gli insuccessi e soprattutto i reali pericoli che ne possano minarne la credibilità e la considerazione nei confronti dei cittadini. Per dirne una, è vero, all’interno del Parco dell’Etna la naturalità dei luoghi è fortemente offesa dalla esistenza di numerose discariche abusive di rifiuti e questo non può essere tollerato oltre, ed anche se questa situazione rappresenta una emergenza di carattere regionale.

Ciononostante quello dell’abbandono dei rifiuti è un elemento di negatività al quale con impegno paziente e costante si potrà porre rimedio. Purtroppo, ci sono altri pericoli che da qualche anno si affacciano subdolamente all’orizzonte e minacciano il panorama nazionale delle aree protette. Si tratta di un maligno venticello di appagamento che sta smorzando l’iniziale spinta di entusiasmo e di fervore e dal quale gli attuali amministratori dell’ente Parco dell’Etna si debbono ben guardare. Oggi, nella gestione di parecchie aree protette si registra un crescente e preoccupante disimpegnoche, nonostante le sue grandi potenzialità complessive, sta mettendo in crisi il sistemadi parchi e riserveche corre seriamente il rischio di implodere. Non si può non vedere che qualche parco e, soprattutto molte, riserve oggi sonoineluttabilmente incamminate verso il loro totale declino.

In tante regioni d’Italia, esaurita l’iniziale propulsione dell’entusiasmo, i soggetti incaricati della gestione di parchi e riserve si sono a poco a poco impigriti e di conseguenza le strutture loro affidate sono staterapidamente avviate, alcune lo sono già, a diventare ennesimi, inutili carrozzoni e carrozzine. Parecchi soggetti gestori hanno già perso di vista i compiti istituzionali delle aree naturali a loro affidate ed oggi sembrano sopravvivere con l’unico obiettivo di mantenere il privilegio del loro foraggiamento pubblico. Questa situazionedi pericolo per le aree protette riguarda anche la nostra isola, con la Regione Siciliana che si ritrova ad elargire annualmente risorse economiche a 5 Enti Parco e ad una ristretta lobby di pocheAssociazioni ambientaliste alle quali ha riconosciuto il privilegio di gestire oltre una ventina di Riserve Naturaliper lo svolgimento di attività varie, in particolare di vigilanza del territorio e di accoglienza dei visitatori ma anche di ricerca, divulgazione, promozione e fruizione sostenibile dei suoi valori. Malgrado questi allettanti incentivi, ai quali si aggiungono anche risorse comunitarie, diversi enti gestori si limitano a svolgere fumose e stantie iniziative sempre più autoreferenziate e fine a sé stesse, magari con qualche vaga velleità di carattere educativo ma totalmente prive diqualsiasi coinvolgimento dei locali e di di quella crescita occupazionale che ci si attendeva da loro.

In verità il valore aggiunto in termini di sviluppo socio economico sostenibile che i 5 Parchi Regionali di Sicilia, quello dei Nebrodi, delle Madonie, dell’Etna, Fluviale dell’Alcantara e dei Sicani, hanno portato alle popolazioni locali le cui proprietà sono sottoposte ai rigidi vincoli del regolamento del Parco non sembra sinora esaltante. Certamente al confronto di quello dei parchi, il panorama delle decine e decine di Riserve Naturali terrestri che costellano tutto il territorio di Sicilia, per non parlare di SIC e ZPS, è di gran lunga ben più desolante.Chiamate a tutela i fini istituzionali delle riserve in affidamento e a promuoverne le conoscenze del loro patrimonio naturalistico e culturale, parecchi soggetti gestori hanno perso i contatti con il territorio, riducendo drasticamente i servizi di vigilanza e di accoglienza ed accompagnamento dei visitatori, spingendo così le riserve loro affidate verso uno stato di colpevole abbandono che oggi appare insostenibile.

E i Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e le Zone di Protezione Speciale (ZPS)? In Sicilia si contano oltre 200 di queste aree per le quali sono state impiegate cospicue risorse economiche per definirne i valori istituzionali, la perimetrazione e per redigerne i rispettivi piani di gestione. Tutto si ferma lì.Questo andazzo si traduce in tante risorse annualmente sprecate per mantenere in vita strutture ormai completamente avulse dal territorio e che sopravvivono defilate solo per gli interessi di pochi e non certamente delle collettività. Allora In questi giorni in cui a ragione si festeggiano i trent’anni del Parco dell’Etna, l’occasione è buona per riflettere anche sul fattoche ,a distanza di tanti anni dalla istituzione, ancora le comunità interessate dalla aree protette si aspettano che le promesse vengano mantenute, che parchi e riserve naturali si propongano come concreti punti di riferimento territoriale, centri di iniziative, volano ed esempio di sviluppo sostenibile e duraturo. Con carattere di urgenza occorre quindi adoperarsi per recuperare il sistema regionale delle aree protette e per porre rimedio all’errore di avere affidato aree protette, soprattutto riserve naturali terrestri e marine, a soggetti che nel tempo si sono rivelati incapaci di uscire dalla propria nicchia, di stabilire tra loro un rapporto sinergico di sistema, di coinvolgere i locali in iniziative di sviluppo sostenibile e duraturo.

Per concludere, oggi festeggiamo degnamente i trenta anni di vita del Parco dell’Etna riconoscendogli i grandi meriti che indubbiamente ha sinora acquisito, però cogliamo anche l’occasione per riflettere assieme e richiamare l’attenzione di chi ha competenza sui pericoli a cui esso può andare incontro. Nel contempo formuliamo l’auspicio che il Parco dell’Etna possa farsi promotore di iniziative finalizzate al recupero del perduto spirito di sistema che accomunava le nostre aree protette in azioni congiunte caratterizzate da reciproco sostegno e costruttiva emulazione. Il arco dell’Etna può svolgere benissimo il compitodi dare una svolta nella gestione dei parchi e riserve e di rivitalizzarne e rilanciarne il ruolo, ricordando che le popolazioni interessate dalle aree protette sono i custodi ed anche i fruitori dei loro valori. Però occorre fare presto, poiché continuare a tradire le aspettative di crescita sociale ed economica sostenibile riposte nelle aree protette dalle popolazioni interessate nell’istituzione di un’area protetta significa ritornare al passato quando le aree protette venivano accusate di mummificare il territorio e così perdere irrimediabilmente il consenso conquistato con tanta fatica e tanti sacrifici.

Stavolta per sempre.

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