Il passato, ecco il nemico


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
| Salvo Reitano | Si va a tappe forzate verso le lezioni amministrative di giugno e capita sempre più spesso di cogliere lamenti definitivi sulla situazione politica italiana e perfino accenti attorno alla validità di anni remoti che soltanto i vuoti della memoria possono annettere ad un qualsiasi rimpianto.
“Si stava meglio quando si stava peggio”, tuona il cittadino deluso e messo alle corde. Ma davvero fummo più felici quando la valanga degli anni di piombo, vera tragedia nazionale, travolgeva volti, destini, vite, giorni e speranze?
Confesso il mio disagio, amici lettori, per aver vissuto quegli anni con  la pena nel cuore: quali che siano le reprimenda personali su questo accidentato corso politico, anno 2017, non riesco a giustificare il riflusso verso un tempo che ci annichilì.
In oltre 70 anni di corso democratico, gran fiume limaccioso che scivola a valle verso estuari senza nome, molte cose sono accadute di cui non ci si debba vergognare. Ma è anche vero: infinite altre vicende si sono sommate e confuse perché il cittadino non abbia occasione di vantare l’esistenza di una Repubblica improntata sulla libertà.
Certo, le istituzioni svelano palafitte di legni fradici sul grumo torbido dei giorni correnti. La corruzione dilagante, le mafie di ogni risma, i furbetti del quartierino e quelli del cartellino, i mondi di sopra, quelli di sotto e quelli di mezzo che hanno di fatto occupato il Paese, ci rendono da ricovero per malati terminali. Il male pugnala il bene, le fazioni si appostano ad ogni varco praticabile, la scala dei valori civili è scempiata, la sacralità della vita martoriata, la giustizia sbilanciata, la scuola devastata, la sanità in rovina, il tornaconto di ciascuno di questi protagonisti sinistri arma ogni immaginazione votata al peggio.
E non sappiamo, quando a sera scolora l’ultima luce, se il giorno del nuovo domani ci troverà ancora capaci di reggere alla malasorte di essere governati per accidenti e casualità.
Qualche giorno fa, ai giardinetti del mio piccolo paese, un signore avanti con gli anni mi ha detto: “Dicono che non possiamo e non dobbiamo lamentarci: abbiamo la libertà. Ma spieghi lei cosa possiamo farcene: non c’è arengo che non sia già occupato, né luogo autentico, che so un partito,  una corrente, un movimento d’opinione in cui vale la pena urlare tutto il nostro sdegno. Lei – rivolgendosi a me – confida ancora che questa si possa chiamare democrazia? Pensa davvero che siamo ancora cittadini liberi?”.
Il signore, che mi è parso colto e brillante, si animava nel ragionare cose già proclamate con amici e parenti. Però, ad onor del vero, non mi è sembrato soffrisse particolarmente. Ho, piuttosto, avuto l’impressione che in qualche modo s’era fatto anche lui i calli sugli avvenimenti di questo tempo infame.
E siccome la discussione era gradevole ci siamo messi a ragionare sulle ipotesi: che cosa si debba o si possa fare – a ciascuno il suo secondo senno, capacità spirito di abnegazione e di servizio – perché il peggio devastante dei giorni non provochi l’onda di piena, lo tsunami che cancella ogni cosa animata e inanimata. E qui mi arrendevo perché non usciva, da quella bocca sdegnata, una proposta che fosse una. Un’argine propositivo che andasse oltre la protesta che è fine a se stessa.
A conclusione del discorso si manifesta nel mio interlocutore quell’incredibile volgersi all’indietro: “So bene io chi ci vorrebbe. Quelli con la stella a cinque punte ci vorrebbero”. E alludeva. Quando si è educatamente congedato, vedendolo andare di schiena, ho provato un senso di profonda tristezza.
E’ vero quello che ho imparato in oltre mezzo secolo di strada: gli italiani siamo gente imprevedibile, i conti non tornano mai. Però mi risulta intollerabile manifestare accondiscendenza verso chi promuove il tempo delle P38 e delle mitragliette Skorpion, dei sequestri e degli omicidi, del dolore e del lutto.
Va da se che il passato, quando è tragico, è un’entità che vorremmo seppellire e invece torna prepotente in ogni discorso appena monta forte la rabbia. Il futuro, di contro, è una scommessa che ai più sembra prudente rifiutare. Così arranchiamo smarriti in un presente che non fa nascere in noi amore, dedizione, attenzione, progetti. Procediamo smarriti verso il nulla tra gorgoglii e spasmi del diaframma pronti a vomitare perversi auspici. Non si guarda avanti voltandosi indietro. Il passato, ecco il nemico.

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