«Il teatro per smuovere coscienze e scardinare pregiudizi». L’intervista al regista Germano Martorana, che mette in scena "Liberaci dai nostri mali"

«Il teatro per smuovere coscienze e scardinare pregiudizi». L’intervista al regista Germano Martorana, che mette in scena "Liberaci dai nostri mali"

di Maria Stefania D’Angelo

Dalla potenza delle parole scritte nere su bianco tra le pagine di un libro alla forza del teatro, che in un condensato di movimenti, gesti, parole, pause e riflessioni trascina lo spettatore in una realtà che sembra lontana. Sembra distante dal nostro pensiero, dalla nostra quotidianità, dal nostro equilibro, ma esiste. E va oltre le sbarre, oltre gli errori, oltre quel bivio tra giusto e sbagliato. 

La potenza del teatro e il suo ineluttabile compito di smuovere la coscienza dello spettatore, quella coscienza intesa come spazio da costruire e prendersi cura, dove non ci sono pregiudizi ma storie di vita. Dove non ci sono scarti, ma solo persone che hanno bisogno di ri-narrare la loro vita. 

C’è tutto questo e molto altro nella nuova produzione della Bottega dell’attore diretta da Germano Martorana, che mette in scena Liberaci dai nostri mali tratto dall’omonimo libro della giornalista Katya Maugeri. 

Lo spettacolo, che ha subito una variazione nel programma e un cambio di date dopo il decreto del Presidente del Consiglio per contenere l’emergenza del Codiv-19, non si ferma. I due protagonisti Germano Martorana e Valentina Bighetti insieme ai quattordici allievi dei laboratori teatrali della Bottega dell’attore hanno ripreso le prove e sono pronti a restituire un prodotto teatrale, che nelle sue sfaccettature e nelle sue forme lancia un messaggio di speranza: la cultura, il teatro e l’arte non possono e non devono fermarsi.

Ne parliamo con il regista Germano Martorana.

Un cambio di date, ma non un stop. Lo spettacolo teatrale subisce una pausa ma non si ferma. Quanto è importante, specie in questo momento, che tutto il mondo culturale faccia Rete per superare la crisi?

«Questo momento così difficile ci invita a riflettere e ripensare al nostro lavoro come una missione comune. Ora più che mai dovremmo essere uniti e solidali per percorrere un’unica direzione. Il mondo della cultura è spesso alimentato da invidie e competizioni ma abbiamo bisogno di cambiare questo paradigma e lavorare affinché l’arte rimanga viva. Non dobbiamo dimenticare che gli spettacoli teatrali e la cultura in genere sono parte integrante del sistema economico, creano occasioni di lavoro e impattano positivamente tutto il territorio».

Dalle pagine del libro alla forza del teatro. Come nasce l’idea di mettere in scena Liberaci dai nostri mali?

«Tutto nasce in maniera molto spontanea e naturale. Ho avuto il piacere di leggere il libro e ospitare la presentazione a Ragusa, nella mia sede della Bottega dell’attore. Sono rimasto colpito dalla potenza delle parole utilizzate da Katya per raccontare una verità tagliente ma che spesso rimane in ombra. La gente in sala era ammutolita, ascoltava silenziosamente le storie e le testimonianze del libro. Da lì ho sentito Katya e abbiamo cominciato questo nuovo progetto».

Quali sono state le prime fasi per mettere in campo questa nuova sfida teatrale?

«Ho iniziato insieme agli altri colleghi e attori Salvo Giorgio e Cristina Gennaro e con il prezioso contributo di Katya Maugeri a riadattare il testo per il teatro. Al centro l’obiettivo di dare voce a chi non ce l’ha, come succede nel libro, anche lo spettacolo teatrale nasce per dare spazio all’io, quello più profondo e tormentato. Non volevo mettere in scena dei monologhi ma dare forma alla storia di un detenuto che si confronta in continuazione con la sua coscienza, interpretata dall’attrice Valentina Bighetti. Da questo confronto e dialogo, attraverso anche un viaggio nella sua mente, il protagonista ripercorrere quello che è stato il suo periodo carcerario. Le sette storie raccontante nel libro si uniscono dunque in un percorso unico, quello di un uomo che si confronta con se stesso, i suoi errori e il suo passato».

Liberaci dai nostri mali è un libro-inchiesta con una funzione ben delineata, cioè smuovere coscienze e accompagnare il lettore a scardinare tutte le forme di pregiudizio. Come questa funzione viene traslata in teatro?

«Sicuramente abbattendo la quarta parete. Lo spettacolo comincia infatti già dal botteghino e crea sia sul palco che sulla platea la dimensione carceraria. Gli spettatori per esempio sono divisi dall’inizio in due sezioni, femminili e maschili, si respira l’atmosfera del carcere fatta di rumori, luce soffusa e secondini che si aggirano in sala per controllare. L’idea è appunto quella di trascinare lo spettatore all’interno di un carcere e far vivere tutto quello che succede nella vita di un detenuto: dal suo arresto alla vita oltre le sbarre. Ѐ tutto molto metateatro, ci sono tanti interrogativi e domande rivolte al pubblico, che come nel libro hanno l’obiettivo di scardinare i pregiudizi. Spero e mi auguro che chiunque assista allo spettacolo torni a casa con tante domande e spunti di riflessione».

Nel libro i sette uomini attraverso il dialogo con la giornalista cercano in qualche modo di liberarsi dai propri mali. Nello spettacolo teatrale?

«L’attore principale in realtà non si libera del tutto dai propri mali, è in eterno conflitto con la paura di essere accettato, di ricadere negli stessi sbagli e vive in uno stato di perenne incertezza. La figura di Katya, e quindi di chi ascolta, è sostituita con il personaggio che interpreta la coscienza del protagonista. Su questa base lo spettacolo prende una visione onirica: il protagonista lotta con il suo passato e la voglia di costruire un nuovo percorso di vita».

Se da una parte il libro come lo spettacolo accendono i riflettori sulla necessità di costruire percorsi di giustizia ripartiva, dall’altra come la scrittura e il teatro possono essere strumenti per il reinserimento nella società dei detenuti?

«Ѐ certamente fondamentale portare l’arte nelle carceri, il teatro per esempio ci impone delle regole, favorisce la creazione di un gruppo di lavoro ma soprattutto dà la possibilità di esprimersi e confrontarsi con la propria coscienza. Ѐ uno strumento talmente profondo che invita tutti ad andare oltre. Purtroppo spesso ci scontriamo con un sistema ingessato per cui non è sempre facile promuovere progetti sociali che creano percorsi di inclusione nelle carceri ma certamente serve una maggiore spinta da tutte le forze in campo».

A proposito di andare oltre le sbarre. Avete pensato di portare lo spettacolo proprio nelle carceri? 

«L’obiettivo è quello di portarlo ovunque, nelle carceri ma anche nelle scuole e da lì che si forma il futuro. Per cui è importante che spettacoli come questo, dall’alto contenuto anche educativo, contribuiscano a far riflettere specie i giovani sulla necessità di non essere distratti davanti a tematiche sociali».

Quando sarà dunque la prima dello spettacolo

«Se l’emergenza sanitaria si placa, partiremo il 17 aprile da Comiso poi Ragusa e tante altre tappe».

 

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