ACIREALE – Bisognerebbe fare un tamtam, anche con i moderni mezzi social delle comunicazioni di massa, per far conoscere a tutti le vere storie d’impresa, i racconti di chi ha dato il via con passione ad un’attività imprenditoriale, mettendoci faccia, soldi e impegno per alimentare un sogno aziendale e nel contempo dare un contributo alla crescita del territorio. Andrebbe fatta più spesso quest’azione informativa a fini sociali ed educativi, per riavviare nelle città un dibattito serio e vero sul significato di sviluppo economico e per incoraggiare quanti, soprattutto fra i giovani, hanno voglia di fare impresa a proseguire sulla strada appena intrapresa che è un po’ più impegnativa del primo stadio delle start up. Non è facile parlare di impresa, in una fase economica che non riesce ad uscire completamente dalla stagnazione della crisi, e in un momento nel quale ogni giorno sulla stampa si assiste allo stillicidio mediatico di notizie su imprese, soprattutto grandi, che chiudono i battenti, che falliscono o sono in via di liquidazione, o che si trovano in forti difficoltà finanziarie e che ovviamente generano un bagno di sangue nel mondo del lavoro. Non è facile parlare di impresa, ma bisogna farlo più spesso.
Ieri pomeriggio, ad Acireale, nell’Aula Magna del Liceo Archimede, l’occasione per discutere del “valore dell’impresa” e dei “valori nell’impresa”, l’ha offerta la bella testimonianza di Luciano Privitera, imprenditore e commercialista, invitato dall’associazione culturale Archimede, di cui è presidente il prof. Mario Pavone, e dall’istituto siciliano di Bioetica, di cui è direttore scientifico il dottor Giuseppe Quattrocchi e presidente è lo stesso Privitera.
L’imprenditore acese ha raccontato una storia di impresa. Quella della famiglia Privitera e del papà Giuseppe che «nel 1938 avviò l’attività di commercializzazione degli agrumi ad Acireale, in un periodo in cui i “magazzini” davano occupazione a centinaia di famiglie acesi, creavano ricchezza e valore per il territorio, portavano il nome di Acireale nei principali mercati esteri dove il prodotto veniva largamente apprezzato», come ha scritto lo stesso Luciano Privitera in una recente pubblicazione curata dal Lions Club. Poi nel 1991, alla morte del fondatore dopo una breve malattia, toccò al giovane Luciano prendere in mano le redini dell’impresa di famiglia che lui stesso aveva conosciuto fin da ragazzino, dall’età di sette anni quando la frequentava assiduamente, al punto che qualche anno dopo gli costò pure la dolorosa esperienza del rapimento.Anche il tema della successione imprenditoriale, del passaggio generazionale di padre in figlio merita di essere conosciuto attraverso il racconto di chi l’ha vissuto, non importa se in modo pianificato o traumatico.
La maggior parte delle nostre imprese siciliane sono familiari e spesso le prime criticità si vivono proprio in famiglia e, se non c’è dialogo interno, non si riescono a gestire più. Non è stato così per fortuna fra i Privitera perché, nonostante il divario generazionale, “il valore dell’impresa” e “i valori nell’impresa” erano forti sia nel papà Giuseppe che nel figlio Luciano che si apprestava all’inizio degli anni novanta a prendere la guida dell’attività familiare in un momento molto critico per l’agricoltura acese.
Oggi l’azienda ha cambiato denominazione, non è più nel business della commercializzazione degli agrumi, è rimasta ancora nel territorio a differenza di tante altre che hanno chiuso per sempre i battenti, e continua ad operare nell’agroalimentare, con la lavorazione e la trasformazione degli ortaggi, della frutta e della verdura. E naturalmente, nel solco di una solida tradizione familiare, dà lavoro a tante famiglie del territorio che soltanto in questo modo possono apprezzare l’importanza del fare impresa in modo radicato. Dove le radici non sono soltanto quelle del territorio e della famiglia, ma anche della terra, la risorsa economica più importante dell’acese che presto è stata dimenticata per dar vita ad altre attività più speculative nell’edilizia enelle grandi superfici commerciali, oggi fortemente in crisi. Ad Acireale, una città che lentamente si sta avviando alla desertificazione commerciale e culturale, in cui la vocazione produttiva dell’agricoltura e dell’artigianato si è smarrita, storie come quelle della famigliaPrivitera vanno raccontate e discusse, per provare ad invertire la rotta prima che sia troppo tardi.
Saro Faraci