Italiani, maestri del nulla

| Salvo Reitano |

A leggere gli ultimi rilevamenti statistici il nostro Paese  è ormai popolato da 60 milioni 579 mila italiani. La cifra risale al 1 gennaio 2017 e, manco a dirlo, tra nascite e arrivi di immigrati certamente diverse decine di migliaia di nuove anime sono venute a tenerci beata compagnia.
Lo so che sembra strano ma l’impressione che se ne ricava è che questo assembramento di uomini mette paura all’Europa creando panico tra i paesi che dovrebbero sostenerci, Germania in testa. Non e mai facile porgere la mano a chi che ha la disperata forza d’attrarti nel suo naufragio. Non è mai facile vedere, in oltre 60 milioni di individui, un popolo vero anziché una nuvola di cavallette impazzite. Perché una cosa sono le dichiarazioni ufficiali e le strette di mano ai vertici internazionali, altra cosa sono le reali condizioni in cui versa il nostro Paese monitorato a controllato a vista, quasi commissariato dall’Europa che conta. Come sono lontani i tempi quando eravamo un popolo di eroi, di santi, di navigatori, di trasmigratori, ma anche di sarti,  contadini, artigiani e grandi costruttori di motori. Chi ha superato gli ottanta e gode di discreta salute ricorderà che fummo persino, in modo alquanto ridicolo,  quaranta milioni di baionette. Allo straniero, che ci ritraeva con una fiasca di vino al collo e un coltello nascosto nella cintura, era bello ed agevole dimostrare che la laboriosità italiana, un certo genio, un talentuoso indaffararsi vitale ci caratterizzavano più e meglio di tante immagini convenzionali. E lo straniero ne prendeva atto, finché addirittura ci riconobbe capaci del “miracolo”. Il “miracolo economico italiano”.  A coniare questa locuzione fu una rivista americana,  in quel nuovo “rinascimento” degli anni ’60, ammirando l’infinità di prodotti di eccellenza, auto e frigoriferi, maglieria e limoni. Oggi i 60 milioni di italiani vengono dipinti come tribù rissosa, che spara sentenze anziché elaborare proverbi, che pretende deroghe ai patti ma non si china a lavorare. Nel Paese dell’azzeccagarbugli tutti vogliono essere avvocati e dottori, ma senza sudar sulle carte. I “figli del consumismo” non chiedono libri  e laboratori, ma un reddito di cittadinanza da poter bruciare alle slot-machine o in birreria. Nonostante il coraggio delle forze dell’ordine e l’abnegazione di certi magistrati, si continua a rubare, a taglieggiare, a compiere «raids» guerriglieri. L’ultimo «pistolero» di borgata, fatta la sua rapina con omicidio, è bellamente invogliato a dichiararsi vittima della società e, perché no, prigioniero politico. E del resto leggevo qualche giorno fa su un’autorevole quotidiano romano, la presa di posizione di uno scrittore  sempre lesto a spiegare e piegare la storia ai suoi voleri interpretativi, il quale sosteneva che l’homo italicus è allegramente tornato ad un personale Medioevo, anticipando imminenti Borgia e assai più improbabili Machiavelli. Siamo «facili» anche nelle conclusioni. Ciò che impressiona di più gli osservatori stranieri è la nostra ineffabile disposizione alla disputa. Sulle idee che abbiamo o mutuiamo, siano importate, locali, orientali, i 60 milioni indicono tavole rotonde, dibattiti scritti e parlati, un concertone  che rintrona ed annebbia dove al posto delle musica c’è il vociare, inutile e ciarlesco.  L’Europa ovviamente allibisce mentre ansiosamente ci scruta sotto diversi microscopi. La sconvolge l’impudicizia che dimostriamo, la cadenza con cui siamo pronti a redigere lezioni. Nella notte in cui fu eletto Trump, decine di illustri politici e politologi italiani, negli studi televisivi, tanto dissero che ne ricavammo questa sensazione: che ognuno di loro avrebbe governato gli Usa assai meglio di Trump, Obama, Bush, Clinton, Carter, Ford, Kennedy e Roosevelt messi insieme. In questo processo di elaborazione, quanto vi era di autentico nella voce dei fatti viene abolito.
Per tacere dei consigli che diamo quotidiamenete alla Merkel, a Macron, a Putin, alla regina Elisabetta e ai pescatori di sardine. Fortunato quel leader che riesce ad evitare un viaggio tra noi ed eludere quindi decisivi rimbrotti e suggerimenti tout court.
Abbiamo toccato il fondo del barile da un bel pezzo e imperterriti continuiamo a raschiare. Il residuo sta sparendo, quando non è già sparito, ma la diabolica tentazione di essere, vivere e operare come i signori del mondo, i poeti e i maestri della vita, non ci abbandona mai. L’Europa fa bene a temerci e a puntare i riflettori sulle nostre dissennatezze da maestri del nulla. Se un giorno o l’altro, per disperazione, ci dichiarerà “guerra” scaricandoci, ci vorrà una bella faccia tosta a lamentarci. Chissà se riusciremo mai a crescere noi italiani che amiamo tanto la forma e viviamo nell’informe. Chissà.

 

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