La buona economia del nonostante. Per il Sud è possibile un rilancio a dispetto della sua debolezza strutturale

La buona economia del nonostante. Per il Sud è possibile un rilancio a dispetto della sua debolezza strutturale

di Saro Faraci

Un nuovo Mezzogiorno è possibile, nonostante.

Nonostante una serie di elementi ostativi al suo sviluppo che rappresentano il tema costante di dibattiti, approfondimenti e spesso di tanti luoghi comuni. Senza dimenticare nemmeno un oggettivo ritardo economico rispetto al resto del Paese e un fenomeno migratorio importante che lo sta svuotando dall’interno. E che dire del tasso di disoccupazione, quasi il doppio (14,1%) rispetto a quello medio dell’Italia (7,1). Ma nonostante tutto, ci sono alcune finestre strategiche che si aprono verso la crescita economica. Affacciandosi da lì, il panorama appare un po’ diverso da quello che siamo soliti vedere.

E’ stato appena pubblicato lo studio di SRM dal titolo Resilienza e Sviluppo nel Mezzogiorno: settori, aree e linee prospettive, presentato il 3 dicembre in occasione della conferenza Aspen Institute Italia. La conferenza – disponibile interamente su youtube – ha trattato l’argomento “Il Mezzogiorno d’Italia: chiave di rilancio per l’economia italiana?

Si tratta di uno studio corposo di ben 124 pagine, articolato in tre parti e sei in capitoli in tutto.  Diversi i temi affrontati; la digitalizzazione e l’innovazione tecnologica, le infrastrutture di logistica, gli investimenti in energia, il binomio cultura-turismo, la formazione e la ritenzione dei cervelli.

E’ in particolare il primo capitolo del rapporto quello che, tratteggiando le caratteristiche economiche e produttive del Sud d’Italia, consente di vedere il “bicchiere mezzo pieno”. Soprattutto alla luce del Covid-19 che ha segnato pesantemente le sorti dell’economia reale e finanziaria del Paese.

Il dato di partenza

Soltanto alla fine di questo annus horribilis, si conoscerà quale sarà stato il calo del PIL, il prodotto interno lordo che in Italia vale 1.766,168 miliardi di euro. La stima attuale è di un -9,6% per il Centro Nord e di un -8,2% per il Mezzogiorno. La ripartenza ci sarà nel 2021 ma disomogenea. Il Centro Nord dovrebbe crescere del +5,4%, mentre la crescita del Sud si attesterà a+2,3% rispetto alla consistenza attuale del suo PIL che è pari a 392,033 miliardi di euro.

Ancora una volta dunque il Sud avrà lenta capacità di ripresa Era già successo dopo la crisi finanziaria del 2007 e anche prima della pandemia la sua capacità di spinta si era affievolita. Secondo gli autori del rapporto, posto pari a 500 il dato del 2007, l’indice sintetico dell’economia meridionale al 2019 era di 468,7. Quello dell’Italia pari a 509,5 a dimostrazione che il resto del Paese aveva recuperato quanto perso nel corso della precedente crisi.

Nonostante questi numeri, però, il Sud ha un potenziale che, con opportune politiche di rilancio – vedi anche l’impiego di risorse comunitarie dal programma Next Generation EU -, potrebbe assestare un primo colpo alla crisi economica da pandemia. In altri termini, secondo SRM ed Aspen, la crisi può diventare una vera occasione di rilancio per il Mezzogiorno. Se non ora, quando? sarebbe il caso di affermare, leggendo il rapporto. Anche la crisi, infatti, può essere vista come un’opportunità per far ripartire il Mezzogiorno.

Ma quali sono i motivi di questo moderato ottimismo?

Comparto manifatturiero

Innanzitutto, è chiaro che strutture produttive più mature ed integrate nei contesti internazionali favoriscono una ripartenza con più slancio. Si comincia, tuttavia, dal nonostante.

Il Sud rimane debole strutturalmente per via della sua bassa produttività del lavoro (pari circa ai 3/4 di quella del Centro Nord) e della sua limitata propensione all’export (14% del valore aggiunto, la metà del dato nazionale). Inoltre, la dimensione delle sue imprese è piccola. Le PMI, quelle con numero di addetti inferiore a 500, pesano oltre il 90% del totale delle imprese, a fronte del 77,5% a livello nazionale.

Nonostante il quadro di partenza, è anche vero però che sono quasi 95.000 le imprese meridionali impegnate nelle produzioni manifatturiere e ciò rappresenta un quarto di tutte le 378.000 imprese italiane del comparto manufatturiero. Il Sud è all’ottavo posto in Europa per consistenza di imprese industriali, subito dopo il Regno Unito e prima della Slovacchia. Non è un dato questo da sottovalutare.

Inoltre nei settori delle 4A (agroalimentare, abbigliamento-tessile, automotive, aeronautico) e nel settore “pharma” (bio-farmaceutico), il Sud d’Italia compete nel mondo totalizzando 22,4 miliardi di esportazioni, coprendo il 93% dei 219 Paesi in cui sono presenti i prodotti italiani. Addirittura, nel periodo 2015-19, in questi settori l’export è cresciuto di più di quello nazionale: +26,6% contro il +23,1% dell’Italia.

Ovviamente, i dati andranno riveduti e corretti dopo l’annus horribilis della pandemia. Però, in generale, nel manifatturiero la crescita delle esportazioni meridionali si è sempre mantenuta superiore a quella media dell’intero Paese. E da questo dato si dovrebbe ripartire per non tralasciare l’importanza dell’industria anche nel Sud.

Il Sud e le sue interconnessioni

Inoltre, le imprese del Sud sono sempre più importanti per quelle che operano con maggiore visibilità nei settori del cosiddetto “made in Italy“. Le attività produttive meridionali, infatti, si caratterizzano per il loro carattere di subfornitura al sistema nazionale ed internazionale. In pratica, per via delle interconnessioni produttive con il Nord e il Centro, è come se “esportassero” nel resto del Paese. Si stima che per ogni euro che va all’estero, se ne aggiunge poco più di un altro che è destinato al resto d’Italia.

In questo contesto, si inseriscono discorsi più ampi sul ruolo baricentrico del Sud tra Europa e Mediterraneo, sui processi di regionalizzazione delle catene globali del valore, e sul ruolo che le ZES (le zone economiche speciali) potranno avere nell’attrarre i flussi provenienti dal Mediterraneo. Se ci sarà capacità programmatica e visione politica di largo respiro, il Sud potrebbe benissimo intercettare nei prossimi anni le nuove piattaforme distributive delle grandi imprese internazionali, contribuendo per tale via a far crescere indotto ed occupazione.

Innovazione

Anche dal punto dell’innovazione, il bicchiere va visto mezzo pieno. Si parte ancora una volta dal nonostante.

Nelle graduatorie del Regional Innovation Index, le regioni meridionali si collocano nella fascia medio-bassa del gruppo dei moderati, presentando performance inferiori rispetto alle regioni del Centro-Nord. Nel Sud si innova poco, insomma. Fatto 100 il valore dei 28 Paesi europei, la Sicilia ad esempio ha un indicatore pari a 56,5, precedendo solo la Calabria e la Sardegna. Un dato su tutti è la spesa effettuata per ricerca e sviluppo: nel Sud vale lo 0,9% del PIL, in tutta Italia l’1,4%.

Anche in questo caso però, secondo SRM ed Aspen, c’è un buon potenziale. Sono 60 le società medio-grandi innovative localizzate nel Mezzogiorno, con oltre 104.000 occupati diretti. Il numero delle imprese innovative meridionali cresce del 22%, quasi il doppio del dato nazionale.

Il Sud è l’area dove si registra il maggior numero di iscrizioni di nuove imprese e dunque rimane un contesto che favorisce la nuova imprenditorialità. Inoltre, il Mezzogiorno è l’area con più elevato tasso di imprenditorialità giovanile (11%, mentre in Italia il dato analogo è 9%). PMI innovative e start up innovative crescono più che nel resto del Paese. Ci sono poli tecnologici che includono oltre 24.000 unità locali e circa 114.000 addetti, pesando rispettivamente il 20,8% e il 15,7% sul totale nazionale.

Naturalmente, per assecondare questa potenziale crescita sono rilevanti le risorse finanziarie. L’innovazione rappresenta un aspetto fondamentale negli attuali programmi della politica di coesione e lo sarà anche per il futuro con Agenda 2021-2027. Tra gli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea c’è quello di avere un continente “più intelligente” mediante l’innovazione, la digitalizzazione e la trasformazione economica e il sostegno alle piccole e medie imprese.

Gli altri motivi di ottimismo

Scorrendo il rapporto SRM ed Aspen, nonostante la crudezza di alcuni numeri che segnano indiscutibilmente il ritardo del Sud rispetto al rispetto del Paese, si colgono altri elementi di positività

L’economia del mare, ad esempio, è un settore strategico. Nel Mezzogiorno essa produce un valore aggiunto di oltre 15,5 miliardi di euro e conta oltre 87.000 imprese, pari al 44% del totale nazionale.

Il Sud è inoltre la macro area, delle quattro italiane, che movimenta più merci con 84,3 milioni di tonnellate, incidendo così per il 42% sul totale del traffico merci italiano. Ci sono porti, come Gioia Tauro ed Augusta, che hanno una forte vocazione logistica. Quello siciliano, ad esempio, è uno scalo dedicato ai prodotti petroliferi e come tanti altri porti del Sud (ci sono anche Napoli e Salerno) riceve attenzione da parte dei grandi investitori marittimo-logistici esteri.

Ancora, l’energia può essere considerato un settore tecnicamente sfidante che può contribuire a ridurre le distanze in termini di crescita del Sud rispetto al resto del Paese. Ad esempio, sul versante delle fonti energetiche rinnovabili, considerate “green”, il Mezzogiorno concentra rispettivamente il 97% e il 41% della produzione. Dunque questa macroarea mostra rispetto al Centro-Nord un vantaggio competitivo dovuto all’esistenza di un grosso “potenziale” rinnovabile.

Cultura e turismo sono due settori che hanno subito dalle pandemia contraccolpi immediati e forti. Secondo SRM ed Aspen, la storia insegna che riusciranno a riprendersi e ad uscirne rafforzati, anche in tempi non necessariamente lunghi. La destinazione meridionale rimane infatti sempre unica dal punto di vista turistico, perché la sua offerta è ricca. A titolo esemplificativo, il Mezzogiorno è caratterizzato da una percentuale particolarmente alta di istituti museali ed affini, aperti continuativamente per tutto l’anno: 69,5% contro il 61,2 dell’Italia. E via discorrendo.

Un nodo critico per lo sviluppo

C’è un altro risvolto del nonostante, questa volta alla riversa.

Nonostante l’ottimismo, c’è un fenomeno ed un numero che riportano alla realtà in modo crudo. Il fenomeno è quello della migrazione. Il numero è quello fornito da SVIMEZ: dall’inizio del nuovo secolo hanno lasciato il Mezzogiorno 2 milioni e 15 mila residenti. La metà sono giovani di età compresa i 15 e i 34 anni, quasi un quinto (200 mila) sono laureati. Il 16% dei giovani emigranti si è trasferito all’estero. Oltre 850 mila non tornano più nel Mezzogiorno

Ecco perchè, secondo SRM ed Aspe, è necessario ora più che mai investire in formazione. Il Sud infatti risente della carenza di investimenti in formazione (calati del 40% negli ultimi dieci anni) ancor più del resto del Paese. Bisogna fare in fretta. Se non ora, quando?

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