La crisi che verrà. Dopo il Covid, in Italia fino a 1,9 milioni di posti di lavoro in meno

La crisi che verrà. Dopo il Covid, in Italia fino a 1,9 milioni di posti di lavoro in meno

di Saro Faraci

E’ stato presentato ieri pomeriggio il Rapporto Cerved PMI 2020, già disponibile in rete. Il lavoro svolto dall’ufficio studi della nota agenzia di informazioni commerciali è veramente pregevole perché, oltre a fotografare la situazione di oltre 159 piccole e medie imprese italiane, tratteggia gli scenari che si presenteranno una volta che l’emergenza sanitaria sarà finita. Non c’è dubbio che la diffusione del Covid-19 ha implicazioni economiche senza precedenti sia in termini di natura che di intensità.

Bisogna guardare oltre l’attuale fase della pandemia per comprendere che le conseguenze che interessano le PMI italiane sono molteplici e diverse dalle crisi precedenti. Il lockdown dei mesi scorsi, con la chiusura forzata di molte attività, la ridotta mobilità delle persone, le norme di distanziamento fisico, i massicci interventi in ambito monetario e fiscale, i cambiamenti indotti nei comportamenti delle persone e delle imprese, e via dicendo hanno messo a dura prova le attività economiche e produttive del Paese.

Secondo i dati Cerved, nel complesso i fatturati delle piccole e medie imprese sono attesi nel 2020 in calo di 11 punti percentuali. Il dato reale lo si conoscerà soltanto a fine anno. Non c’è dubbio che, di fronte all’emergenza e ai mancati ricavi di vendita, le attese sono di una decisa riduzione dei costi da parte delle imprese. Era già avvenuto nel 2009, a seguito della crisi finanziaria dei due anni precedenti. Si taglieranno i costi operativi, soprattutto acquisti di materie prime e semilavorati, e si ridurranno pure i costi per servizi. Questi tagli all’indotto delle imprese propagheranno gli effetti della crisi in altri settori. Le piccole e medie imprese ridurranno anche i costi del lavoro, in misura attesa del -12%, nonostante il blocco dei licenziamenti e sfruttando l’estensione della CIG (la Cassa Integrazione Guadagni) misura a cui hanno fatto ricorso moltissime aziende. Nonostante il taglio dei costi, per effetto più marcato dei minori ricavi di vendita, ci sarà una brusca caduta della redditività lorda, attesa in contrazione del 19% tra il 2020 e l’anno precedente.

Molte difficoltà si sono palesate sul piano finanziario. Cerved ha calcolato che la quota di fatture inevase è progressivamente cresciuta dal 29% di gennaio 2020 ad un massimo del 45% a maggio, per poi scendere a giugno e luglio (37%), rimanendo comunque a livelli ben superiori rispetto a quelli pre-Covid. Con nuove chiusure annunciate per le prossime settimane, il rischio per molte imprese di ripiombare nel circolo vizioso dei ritardi nei pagamenti è incombente.

La pandemia ha avuto effetti anche sulla natalità delle nuove imprese, decisamente in calo rispetto ai valori dell’anno precedente specialmente nei mesi più critici della pandemia. Se si considera che nell’ultimo decennio le nuove società con meno di cinque anni di età hanno contribuito per più della metà della nuova occupazione, gli effetti sul lavoro si vedranno nei prossimi anni, non adesso.

Fino ad ora, la crisi è stata fronteggiata; infatti non è escluso che la maggior parte delle piccole e medie imprese italiane chiuderà il bilancio 2020 in pareggio o addirittura con un utile d’esercizio. I provvedimenti adottati dal Governo, in particolare l’estensione della cassa integrazione e gli interventi sulle garanzie pubbliche per iniettare liquidità hanno finora supportato il sistema delle piccole e medie imprese. Nell’ipotesi, non improbabile, di un secondo lockdown, i ricavi delle piccole e medie imprese potrebbero contrarsi in termini reali anche di 16,3% (contro l’11% dello scenario di riferimento) e dunque la situazione potrebbe prospettarsi ancora più critica.

Ma cosa succederà quando, a pandemia finita, cesseranno anche queste misure straordinarie adottate a livello pubblico? Intanto, le PMI a rischio potrebbero quasi raddoppiare, passando dall’8,4% al 16,3% del totale delle società e superando così il precedente massimo già registrato nel 2014. Senza le prospettive di un rapido ritorno alla crescita, le conseguenze su occupazione e investimenti potrebbero essere ancora più pesanti. Le imprese, infatti, faticherebbero a riprendere quota e sarebbero costrette a “tagliare”; molte aziende si ritroveranno di fronte alla decisione se rimanere ancora operative, vivacchiando, oppure chiudere definitivamente. Gli effetti di tali crisi non sono poi simmetrici. Alcuni settori sono colpiti più duramente di altri (ad esempio, le attività della filiera moda e turismo); alcune aree territoriali sono più a rischio di altre. Ad esempio, il numero di lavoratori nel settore privato si contrarrebbe del 9,4% nelle regioni del Sud assumendo lo scenario base; questa percentuale potrebbe aumentare fino al 13% nel caso di un scenario più severo che si presenterebbe con l’inasprimento delle misure di contenimento della pandemia a seguito della seconda ondata di infezione.

A fine 2021, basandosi su queste stime alcune molto pessimistiche, la perdita di posti di lavoro potrebbe interessare 1,9 milioni di lavoratori. Sarebbe una vera ecatombe. Ma anche, nello scenario più realistico, la contrazione di occupazione potrebbe essere di 1,4 milioni di posti di lavoro. Sono stime Cerved, basate su proiezioni a partire dai dati attuali, e tenuto conto di ciò che ragionevolmente di qui a poco succederà. Molte imprese, soprattutto piccole, non saranno capaci di ricostituire i livelli di occupazione e di investimenti precedenti la crisi e saranno costrette a tagliare i costi. Ogni taglio comporterà perdita di posti di lavoro, riduzione significativa dell’indotto e una catena di mancati pagamenti che metterà in difficoltà anche altre imprese. Insomma, ci sarà una sorta di contagio finanziario pericoloso.

La conclusione del rapporto Cerved 2020 è che, se saranno ben spese le ingenti risorse previste dal Recovery Fund, si potranno creare le condizioni per rilanciare il Paese ed affrontare con minore affanno gli anni a venire. Ci saranno trasformazioni nei settori produttivi, alcuni cambieranno pelle; ci sarà una conseguente redistribuzione dell’occupazione da alcune attività tradizionali ad altre più emergenti, soprattutto negli ambiti del digital e nel green come chiede l’Unione Europea, ma il Paese potrà risalire la china. Se le risorse del Recovery Fund saranno spese male per sostenere in modo surrettizio settori che sono già molto ammalati, e che difficilmente si rilanceranno, allora la ripresa economica dell’Italia sarà più difficile.

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