“La Salute non è un gioco”, la piaga sociale della Ludopatia

 “La Salute non è un gioco”, la piaga sociale della Ludopatia

di Katya Maugeri

«L’abuso di sostanze, l’adrenalina e la passione per il gioco d’azzardo hanno radicalmente condizionato la mia vita fino a pochi mesi fa. Spacciavo e usavo cocaina, ma non bastava. Erano tantissimi i soldi guadagnati e tanta la voglia di averne ancora. Le scommesse, la droga, il potere economico mi rendevano un uomo forte. E invece stavano solo annientando la mia anima». Una testimonianza diretta, emozionante e cruda. Lui è uno degli utenti ospiti al centro di recupero Eden del Delfino. Ci racconta quanto il gioco d’azzardo sia una delle dipendenze difficili da gestire, da controllare e dalla quale allontanarsi drasticamente.

«Ignoravo l’evidenza della mia condizione: ero rispettato, acquistavo auto costose, vestivo bene e non mi mancava nulla. Poi, pian piano cominciavo a perdere: La fortuna non era più dalla mia parte. L’arresto. L’ansia, i primi disturbi fisici evidenti causati dalla cocaina. Il crollo».

La ludopatia è una piaga sociale che ha distrutto intere famiglie e sembra realmente complicato far emergere il fenomeno. Come riconosce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, si tratta di una vera e propria malattia mentale, con sintomi specifici, con impulsi incontrollabili a giocare d’azzardo o fare scommesse in denaro. In base ai risultati di una recente indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono 18 milioni gli adulti che hanno giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno.

Di questi più di 13 milioni giocano in modo sociale, due milioni presentano un profilo a basso rischio, mentre un milione e 400mila persone presentano un rischio moderato e un milione e mezzo sono giocatori problematici, di questi 70.000 sono minori.

Negli ultimi anni lo scenario è drasticamente cambiato nel mercato dell’azzardo: il web, infatti, ha contribuito a una diffusione massiccia di giocatori dipendenti poiché sono numerosi e spesso sponsorizzati i siti dove si può scommettere in svariati ambiti. «Durante gli arresti domiciliari non smettevo di giocare: comodamente a casa, dal computer, giorno e notte. Era una ossessione. Ho perso tutto, in primis la mia dignità».

Una piaga sociale che merita certamente attenzione, perché non c’è tempo da perdere. Ed è proprio per contrastare la dipendenza da gioco patologico che nasce il progetto “La Salute non è un gioco”, su iniziativa dell’Asp di Cosenza, con la collaborazione del privato sociale. Una di queste quattro realtà è Il Centro di solidarietà il Delfino gestita dal presidente Renato Caforio.

«Quando mi si chiede di parlare di questo progetto e del gioco d’azzardo patologico mi piace orientare l’attenzione innanzitutto verso il significato delle parole che usiamo. Sono quelle, infatti, che contengono l’essenza delle cose e che ci accompagnano verso la comprensione di concetti più complessi”, spiega Lina De Simone, responsabile del progetto. “In questo caso pensiamo a quanto sia difficile associare il concetto di “gioco” con quello di “problema”.

Sembra quasi di trovarci di fronte a una contraddizione. Tutti noi, senza pensarci più di tanto, associamo il gioco a momenti di felicità, di estrema spensieratezza e leggerezza, mentre al concetto di problema naturalmente associamo momenti di difficoltà e di disagio».

Ecco che diventa fondamentale capire come un’attività gradevole che ha accompagnato la storia dell’umanità, tanto da avere tracce di attività o strumenti utilizzati per il gioco nei ritrovamenti archeologici di quasi tutti i popoli antichi, diventa “patologia”. Individuarne la linea di confine equivale, quindi, alla comprensione del fenomeno.

«C’è da dire che in questo non siamo certo facilitati dall’intensa campagna pubblicitaria delle più svariate forme di gioco o lotterie che promettono la realizzazione dei sogni più ambiti dalle persone come case sfarzose o vacanze meravigliose. Ecco che diventa, quindi, fondamentale fornire elementi che aiutino a capire e che definiscano attraverso i comportamenti quali sono i segnali che indicano un orientamento patologico dell’attività ludica».

Se si prendono come riferimento alcune definizioni vedremo che con gioco si intende “qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino, singolarmente o in gruppo, bambini o adulti senza altri fini immediati che la ricreazione e lo svago”; con gioco d’azzardo, “attività ludica in cui ricorre il fine di lucro e nella quale la vincita o la perdita è in prevalenza aleatoria, avendovi l’abilità un’importanza trascurabile” e con gioco d’azzardo patologico: “comportamento di gioco persistente, ricorrente e maladattivo che compromette attività personali, familiari e lavorative”.

La comunità scientifica per stabilire la linea di confine tra l’attività ludica e quella patologica fa riferimento ai criteri stabiliti dal DSM V.

«Noi, in questa occasione, cerchiamo di descrivere quel comportamento legato al gioco che compromette l’area personale, familiare e lavorativa. Parliamo di cosa succede nella vita delle persone, di quando il gioco assorbe ogni momento della giornata, compromette la stabilità economica dei sistemi familiari, crea conflitti e mette a rischio o determina la perdita di lavoro, il desiderio di recarsi nelle sale gioco diventa irrefrenabile e si ha la convinzione che il futuro economico dipende dalla vincita o dalla perdita».

È in questa condizione che il gioco diventa patologia, è in presenza di questi sintomi, o anche solo una parte di essi, che la persona presenta un disturbo di gioco d’azzardo patologico.

Diventa, quindi, fondamentale avere un servizio specializzato a cui chiedere aiuto. “La Salute non è un gioco” rappresenta un punto di riferimento altamente specializzato.

«È un progetto ambizioso: così come il gioco patologico compromette a tutto tondo la vita delle persone, così il nostro progetto intende intervenire in tutte le aree compromesse. Per questo si avvale di un’équipe multidisciplinare composta da psicologo, psichiatra, assistente sociale, educatore e consulente legale. Il percorso si articola in due fasi: una prima fase di accoglienza deputata alla valutazione ed una seconda deputata al trattamento. La presa in carico è totale e coinvolge tutto il nucleo familiare. È prevista una psicoterapia individuale, un intenso sostegno educativo e sociale, gruppi di auto-aiuto e consulenze specialistiche».

È importante riconoscere i primi segnali del disturbo patologico e prendere consapevolezza che un comportamento di gioco potrebbe deviare il comportamento sociale e di svago fino a diventare un comportamento clinico.

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