La terribile storia dei frati di Mazzarino


 
Daniele Lo Porto

Fu un caso mediatico e giudiziario di portata nazionale, nell’Italia che uscita dal dopoguerra si avviava verso il boom economico, scopriva la mobilità di massa, usciva dall’economia e cultura contadina avviandosi verso l’industrializzazione nel bene e nel male, compresa la migrazione di massa dal Sud verso il Nord. All’epoca fu seguito dai media tradizionali, carta stampa,  e dalla giovanissima televisione con la stessa attenzione riservata in anni recenti, tanto per fare un esempio, al “Caso di Cogne” o all’omicidio del piccolo Loris Stivala di Ragusa. Oggi ci sarebbero state dirette televisive anche delle testate estere, trasmissioni di approfondimento in prima serata, paginoni sui giornali, infiniti dibattiti sui social col violento confronto tra innocentisti e colpevolisti. Gli ingredienti c’erano tutti: un piccolo paese nel centro della Sicilia mafiosa, tre uomini di chiesa accusati di estorsioni e di omicidi, una comunità sotto ricatto psicologico ed economico, principi del foro in prima linea, uno vicenda che sembrava alimentare lo scontro comunismo-chiesa. Ci ricorsa quei fatti Franz Cannizzo pubblicando su facebook una foto della sua ricchissima collezione storica:

Scatto del 1962 che riprese l’uscita dal carcere di Catania dei frati di Mazzarino. La Sicilia, sul finire degli anni cinquanta fu una terra che non possiamo neanche immaginare. In quello scenario si muovevano a Mazzarino, in provincia di Caltanissetta, tre “religiosi” decisamente sui generis: Frate Carmelo, Padre Venanzio e Padre Agrippino. I tre infatti erano, come dire, più fedeli alla lira, che alla parola di Cristo; già, perché chiedevano il pizzo. E a chi non pagava, mandavano un paio di sgherri a sparare – ricorda Franz Cannizzo, nella descrizione della foto.
Il primo ad essere oggetto delle loro attenzioni fu un superiore, Padre Costantino, provinciale dei francescani, che pagò. Seicentomila lire dei tempi, non proprio uno scherzo. Il secondo a cui andarono a batter cassa fu Angelo Cannada, un proprietario terriero che si rifiutò di pagare. E loro, visto che “Dio perdona, ma io no” replicarono a colpi di doppietta. I tre singolari uomini di fede vennero processati e condannati a Messina, in un dibattimento che appassionò l’Italia dei tempi. Solo Padre Venanzio e Padre Agrippino scontarono tutti e tredici gli anni cui furono condannati. Frà Carmelo morì il 12 dicembre 1964.

Quel fatto di cronaca, arricchito da altri episodi, le fucilate nel convento, il misterioso suicidio dell’ortolano in carcere, è diventato storia, letteratura, cinematografia. Un “giallo” rimasto in parte ancora oscuro, a distanza di sessant’anni.

Send a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *