Le Istituzioni nascondono l'emergenza droga. Intervista a Leopoldo Grosso del Gruppo Abele

Le Istituzioni nascondono l'emergenza droga. Intervista a Leopoldo Grosso del Gruppo Abele

 

di Katya Maugeri

Crediamo davvero di conoscere bene il mondo delle dipendenze? Tanto da attenuare persino il tono di voce quando si parla di droghe, di abusi legati alla sostanza. I tossicodipendenti ci sono ancora, è cambiato il modo di drogarsi, una volta il drogato era solo l’eroinomane, e la dipendenza era legata all’immagine di una siringa.

Sembra che il fenomeno della tossicodipendenza sia collocato in penombra come l’attenzione nei confronti di una realtà che ha solo mutato aspetto, non certo la drammaticità.

“È venuta meno una azione di contrasto abbastanza costosa che prima il Ministero della salute, il Dipartimento antidroga avevano attuato soprattutto sull’onda della legge del 1990. Si sono spenti i riflettori, chiusi i rubinetti dei finanziamenti. La spesa sanitaria ha toccato persino i servizi territoriali tra cui i servizi per le dipendenze che hanno visto diminuire, nel tempo, il numero di servizi pubblici, il numero delle comunità terapeutiche”, spiega Leopoldo Grosso, psicologo e psicoterapeuta, presidente onorario del Gruppo Abele. Per molti anni è stato coordinatore del settore Accoglienza del Gruppo Abele e formatore dell’Università della strada.

“Lo stesso dipartimento antidroga – continua – da circa sei anni è depotenziato non c’è più un comitato tradizionale, sono ormai dieci anni che non si organizzano conferenze nazionali  sulla droga – prevista per legge ogni tre anni – tutto è stato lasciato andare”.

Il Gruppo Abele è un’associazione nata a Torino nel 1965. Fondata da don Luigi Ciotti, lavora per “dar voce a chi non ha voce”, nel tentativo di saldare l’accoglienza con la cultura e la politica. Il Gruppo è oggi articolato in circa 40 attività, fra le quali si trovano alcune comunità per problemi di tossicodipendenza, spazi di ascolto e orientamento, servizi a bassa soglia, progetti di aiuto alle vittime di tratta e ai migranti.

Trasformazione del mondo del consumo

Negli ultimi anni è aumentato il consumo delle sostanze stupefacenti, e le dipendenze hanno cambiato aspetto. Non si parla solo delle tossicodipendenze “storiche”, come l’uso dell’eroina per via endovenosa, ma di nuove forme, con nuove o vecchie sostanze, consumate in altro modo.
“Gli stessi giornali non riportano più le morti causate da overdose – racconta Grosso – muoiono in casa da soli e nessuno ne parla”. Tornano ad aumentare le overdose anche in Italia: “negli ultimi due, tre anni sono in progressivo rialzo. Un aumento che certamente preoccupa e che è da tenere sotto’occhio, è importante segnalare come le morti da sostanze siano prevenibili, in primis con la messa a disposizione di strumenti informativi e sanitari (come il naloxone) utili a riconoscere e intervenire sulle overdose.

“Le droghe più utilizzate in assoluto sono tre. Due legali e una illegale: tabacco, alcool e la cannabis. Insieme formano una triade delle droghe più consumate dai giovani, al di là c’è una minoranza di consumatori che si inoltra a consumare altre sostanze da prestazione anfetamine, metanfetamine, cocaina e delle nuove sostanze reperite su internet. La cocaina ha preso la maggior parte della popolazione, hanno abbassato il prezzo quindi facilmente acquistabile, la si consuma sotto forma di crack aumentando le proprietà additive, i consumatori cercando in ognuna di queste sostanze una combinazione un effetto desiderato personalizzato che risponda al bisogno del momento. Sostanze di tipo ricreativo associato a un divertimento integrato”.

Ma è importante distinguere il fenomeno del consumo e quello della dipendenza.

I giovani che si avvicinano alle sostanze, per molto tempo, obbediscono a un principio di autoregolazione con sbalzi e abusi per poi cessare il consumo. Alcuni, invece ne sviluppano la dipendenza. Le caratteristiche sono spesso riconducibili a persone destabilizzate che manifestano problematiche di tipo personale, di disagio, di sofferenza, di personalità sono quelli che con più facilità possono sviluppare una dipendenza perché la sostanza a loro non dà solo il piacere legato al consumo, ma riescono a stare bene con se stessi in un momento di tregua, di tranquillità. Effimero.

“Tendenzialmente oggi chi diventa dipendente e fa una richiesta di aiuto ai servizi porta con sé una sofferenza di tipo personale – spiega Leopoldo Grosso – una incapacità di rapportarsi con gli altri . Sono solitamente persone caratterizzate da molta ansia, da uno stato depressivo, disturbi della personalità: antisociale, borderline, narcisistico. Dei tormenti ai confini con la sofferenza psichiatrica, ed è quella che facilita di molto il passaggio al diventare dipendenti perché la droga è utilizzata come illusorio mezzo di autocura”.

Psiche modificata

L’uso di sostanze stupefacenti condizionerà per sempre la psiche? Ci si chiede spesso. “Gli studi sostengono che il tossicodipendente rimarrà sempre una persona vulnerabile, fragile perché l’essere stato bene con quella sostanza rimane in memoria e quindi è stata assimilata all’interno della cosiddetta memoria implicita per cui davanti a una situazione di sofferenza e frustrazione la prima sensazione sarà quella di ricorrere alla sostanza perché si è stati bene. La ricaduta è dietro l’angolo. Il benessere che ti rimane per alcune ore, in cui la persona si sente distaccato dal mondo esterno”.

Pregiudizi e sostanze

Nel mondo giovanile i consumi sono inseriti nel contesto del divertimento, sono droghe di compartecipazione e non di estraniazione (come l’eroina, per esempio), quindi tra i giovani non esiste un vero e proprio pregiudizio. Lo si ha – solitamente – nei confronti dell’eroinomane che usa la siringa, quello sì.

Il Gruppo Abele accoglie coloro che avendo toccato con mano le conseguenze devastanti della dipendenze ad un certo punto, per sfuggire alla pressione di chi ama, decidono di farsi curare: un percorso difficile che dura un anno. “All’interno la persona deve scegliere giorno per giorno di rimanere lì – racconta Grosso – quindi rinunciare alla sostanza ma anche alla vita normale, la comunità terapeutica è una campana di vetro all’interno della quale sperimenti un nuovo stile di vita e dovrai  verificare nel momento in cui esci e affronti nuovamente la realtà fuori la comunità”.

È ovvio, le comunità non sono miracolistiche, è il soggetto che determina il proprio cambiamento. La comunità è sicuramente uno strumento prezioso sa saper usare: vivendola attivamente.

“Dalla dipendenza si può uscire. È un percorso tortuoso, ma si può uscire”, gli chiedo come sono stati questi anni in comunità e Grosso conclude: “Sono incontri con delle resistenze, molto spesso definiti dei vuoti a perdere e con i quali si cerca invece di recuperare una speranza, delle capacità e dopo un lungo periodo di comunità si cerca di provare a un inserimento nella società, quindi un accompagnamento di una vita, di un progetto esistenziale non è solo la cura di una malattia”.

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