Lea Garofalo: "vedo, sento parlo”. Nove anni dall'assassinio

Katya Maugeri

Lea Garofalo come Rita Atria. Entrambe vittime del loro stesso destino: con un padre e un fratello appartenenti ad una cosca malavitosa – rispettivamente ‘ndrangheta e mafia – che moriranno in faide tra famiglie rivali. Entrambe con la voglia di ribellarsi a quel sistema, a quello stile di vita. E lo faranno, con il coraggio della denuncia. Rita a 17 anni morirà suicida una settimana dopo aver perso il suo punto di riferimento, Paolo Borsellino, nella strage di via D’Amelio. Lea morirà invece a 35 anni. Uccisa. Dal suo convivente Carlo Cosco, che insieme ai fratelli Vito e Giuseppe e a Massimo Sabatino, Rosario Curcio e Carmine Venturino escogitò un piano per eliminarla. Definitivamente.

La notte tra il 24 e il 25 novembre 2009 la testimone di giustizia Lea Garofalo fu sequestrata, torturata, uccisa con un colpo di pistola alla nuca e il suo corpo sciolto nell’acido, a San Fruttuoso, Monza Brianza. Tutti e sei gli imputati sono stati condannati all’ergastolo, dopo un processo durato otto mesi che ha registrato un cambio alla Presidenza della Corte d’Assise: da Filippo Grisolia a Anna Introini, con relativo azzeramento delle deposizioni accolte da luglio fino a novembre. Un processo che è stato reso possibile grazie al coraggio di Denise Cosco, la figlia di Lea, che con forza e determinazione ha accusato suo padre, i suoi zii e anche il suo fidanzato (Venturino) quali colpevoli per la morte della madre.

Sognava una vita lontana dal sangue, dalla malavita, dai compromessi e dall’omertà. Rifiutava di essere definitiva “pentita”, lei con quel mondo marcio non aveva nulla in comune, non ne aveva mai fatto parte.

Per ricordare la sua determinazione e per continuare a dare voce alla sua storia, il Comune di Rota Greca, Proloco e A.I.Me.Pe hanno organizzato un convegno, domani presso la sala Consiliare. All’incontro sarà presente la sorella di Lea, Marisa Garofalo e sarà moderato da Melanì Ominelli. Sarà presente il sindaco Roberto Albano e tra i relatori saranno presenti la mediatrice penale Cristina Ciambrone e l’avvocato penalista Ilaria Macchione.

“Vedo, sento parlo”

Lea Garofalo nasce il 24 aprile 1974 a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, in una famiglia legata alla ‘Ndrangheta. A tredici anni si innamora di Carlo Cosco, membro anche lui di una delle famiglie della mafia calabrese, i due decidono di andare a vivere a Milano. Cosco inizia a frequentare un gruppo di spacciatori di Quarto Oggiaro e istaura rapporti con un gruppo della ‘Ndrangheta da tempo presente in Lombardia, diventando così il capo della ‘Ndrangheta a Milano. Ma è l’amore incondizionato nei confronti della figlia che spinge Lea a far cambiare vita al suo compagno. Invano. Non serviranno i suoi discorsi. Il 7 maggio 1996 viene arrestato il fratello della donna, Floriano Garofalo, boss di Petilia Policastro e capo della malavita del capoluogo lombardo, in seguito a un blitz della Polizia nello stabile di via Montello 6, proprietà della Fondazione del Policlinico occupato abusivamente da famiglie calabresi che gestivano l’attività di spaccio.

Il 1996 è anche l’anno in cui Carlo Cosco viene arrestato per traffico di droga e per la Garofalo questo rappresenta la fine della loro relazione. Lea decide così di partire e allontanarsi da quell’ambiente. Nel 2002 decide di diventare testimone di giustizia e dare luce alle ombre, ai segreti, alle dinamiche delle faide interne tra la famiglia Garofalo e la famiglia del suo ex compagno Cosco. Entra così in un programma di protezione testimoni e fornisce informazioni riguardo omicidi di carattere mafioso che hanno avuto luogo alla fine degli anni Novanta a Milano.

Tra questi, il caso Antonio Comberiati del 1995: la collaborazione di Lea permette di capire quale sia il vero ruolo di Floriano Garofalo e Giuseppe Cosco, fratello di Carlo e detto “Smith” dal nome di una marca di pistole. Viene trasferita a Campobasso, dopo le sue testimonianze, dove però nel 2006 perde la tutela del programma di protezione poiché la sua collaborazione non è ritenuta rilevante alle indagini. Nel 2007 decide di rivolgersi prima al TAR, il quale rifiuta la sua richiesta, poi al Consiglio di Stato che la riammette al programma nell’aprile del 2009. A questo punto, però, è la stessa Garofalo a rinunciare alla tutela e torna a Petilia Policastro prima, Campobasso poi, sempre con sua figlia Denise. Una volta tornata a Campobasso, Lea si trasferisce in un appartamento che le trova proprio l’ex compagno Carlo Cosco. E dove un giorno si presenta alla porta della Garofalo, Massimo Sabatino, un sicario. È grazie all’intervento della figlia che Lea riesce a salvarsi: Denise, infatti, si rende conto di ciò che sta succedendo e chiama immediatamente la polizia e ipotizza il coinvolgimento del padre.

Cosco convince Lea ad andare a Milano per parlare del futuro della figlia: i due si trovano davanti all’Arco della Pace e decidono di parlare in presenza della figlia, fino a quando il padre dice di voler accompagnare Denise a trovare gli zii. Lea si rifiuta di recarsi dai Cosco e dà appuntamento alla figlia alla Stazione Centrale per tornare a casa in Calabria.

Questa sarà l’ultima volta in cui Denise vedrà sua madre.

Era il 24 novembre 2009

Sarà lo stesso Cosco a denunciare poi la scomparsa della donna. In seguito, le indagini riescono a far luce sulla scomparsa di Lea: l’ex compagno, con l’aiuto di due fratelli, ha torturato e ucciso con un colpo di pistola la donna, gettandola in 50 litri di acido e lasciandola lì per tre giorni. Il corpo è stato portato in un terreno nella frazione di San Fruttuoso (Monza). Solo dopo la condanna in primo grado, Carmine Venturino inizia a confessare, permettendo agli inquirenti di ritrovare frammenti ossei e la collana della donna. A termine dell’iter giudiziario, il 18 dicembre del 2014 la Cassazione conferma l’ergastolo per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino, la condanna a 25 anni di reclusione per Carmine Venturino e assolve Giuseppe Cosco per non aver commesso il fatto. La Corte d’appello aveva precedentemente disposto il risarcimento dei danni per la figlia, la madre, la sorella di Lea Garofalo e il comune di Milano, costituitisi parti civili nel processo.

Aveva 35 anni, Lea, e tanta voglia di vivere, fuori dalla realtà sanguinaria. Una donna che da dentro l’organizzazione ha trovato la forza di denunciare la ‘ndrangheta.

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