Lettera a un trentenne appena nato

Lettera a un trentenne appena nato

di Erica Donzella
editor e scrittrice

Caro trentenne,
ti scrivo da un tavolino bianco e anonimo, e non è facile ammettere quello che stai per leggere.
La verità  è che siamo più soli di quanto pensassimo. Lo sapevi? Certo che lo sapevi, lo sai ogni volta che apri il tuo portafogli, ogni volta che ti svegli la mattina all’alba per colpa dei due lavori che sei costretto a tenerti, ogni volta che paghi in nero l’affitto al tuo padrone di casa, ogni volta che vedi i tuoi diritti vengono calpestati da chi legifera senza sapere nulla delle nostre vite.
Ma stai tranquillo, la mia lettera non è una somma di cinismo e lamentele. Nel mio cammino verso l’età adulta sto imparando una cosa che mi era assolutamente estranea: lamentarsi non serve a un cazzo. Lo sto imparando a mie spese sai? È certo che tu abbia voglia di gridare che così  non va bene, e allora che fai? Ti arrabbi. Con la tua famiglia, con il tuo amico, con la tua ragazza, con il tuo cane, gatto, pesce, capo, Stato, e tutti i santi che si possano nominare nel calendario liturgico. Hai finito? Bene. Forse ti senti meglio, ma so che non è così. Mio caro trentenne, l’altra cosa che sto imparando, a spese elevatissime, è che l’unico che può capire la tua merda sei e rimarrai soltanto tu. O io, in quanto trentenne brizzolata e legittimata a batterti pacche sulla spalla. C’è un’altra scomoda verità da ammettere: siamo appena nati. In quanto adulti, intendo. E non abbiamo assolutamente idea di come si mettano in riga le nostre emozioni, di come si prendano decisioni e ci si schieri, per la prima volta, dalla nostra stessa parte.

Provaci. Prova a non urlare e a stare in silenzio per un paio d’ore. È terribile soltanto per una prima mezz’ora buona, ma se vai avanti scoprirai di avere idee nuove, di poter contare sugli altri per far nascere progetti e sogni a cui non stavi nemmeno pensando. Credimi, la rabbia serve soltanto se l’ascolti e non se la urli al mondo. Siamo appena nati e abbiamo bisogno di nutrirci soltanto di ciò che può servire, non di ciò che marchierà per sempre la bellezza che siamo in grado di cercare e di creare a nostra volta.

Ti scrivo da un anonimo tavolino bianco e rotondo di un bistrò milanese. Un dettaglio qualunque, dirai.

E invece no, perché  sono qui per realizzare  quello che una volta, quando ero solo una trentenne incazzata, mi sembrava una totale follia: parlare del mio lavoro a qualcuno che lo amasse tanto quanto me. Qui non mi ci ha portata nessuno, forse solo la mia rabbia che ha smesso di dare la colpa agli altri e ha iniziato a pensare che tutta questa energia fosse spendibile non solo per me, ma per un mondo che sto cercando di modellare a mia immagine e somiglianza.

Perciò,  mio caro trentenne appena nato, le uniche direzioni  che riesco a vedere in tutta questa nebbia sono quelle che solo il silenzio e il movimento ti sapranno indicare.

Fidati di me se ti va.

Posso solo dirti che, dopo tutto, rimarremo ancora soli, ma in compagnia della vita che abbiamo scelto di nutrire.

Instagram: @the_bookeditor / donzellaerica@gmail.com

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