Lirica, "Re Ruggero" porta la Sicilia a Varsavia

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VARSAVIA – Palermo, un giorno indeterminato intorno all’anno Mille, Ruggero secondo, re normanno di Sicilia, è con la corte dentro una chiesa bizantina, o forse in una cappella, un ambiente comunque istituzionale, sottolineato da un coro che intona un tema bizantino. Un dignitario informa il re di un accadimento che semina inquietudine nel popolo: un pastore, un uomo apparentemente semplice, da qualche giorno ha iniziato a parlare al popolo in forma profetica, facendo adepti. Non fa discorsi apertamente politici, ma si atteggia comunque a profeta e parla di una strana religione. I funzionari di corte intuiscono chiaramente il pericolo e invitano Ruggero ad intervenire subito con azioni repressive, ma la regina Roxana stranamente interviene in favore del pastore. E ancor più stranamente Ruggero si fa convincere ad ascoltare il pastore, ammettendolo a Palazzo Reale.

Questo è l’inizio di “Re Ruggero”, opera che ha inaugurato nei giorni scorsi la nuova stagione del Teatr Wielki di Varsavia. È il lavoro operistico più importante di Karol Szymanowski (1882-1937), il più grande compositore polacco dopo Chopin. La premiére del Wielki è stata imponente sia musicalmente che operisticamente, come vedremo tra un attimo, ed è solo l’ultima di una breve serie di recenti rappresentazioni di questo lavoro che finalmente viene riproposto dopo un lungo periodo di oblio. Sir Antonio Pappano, prima di questa proposta polacca, ha magistralmente diretto “Re Ruggero” al Covent Garden nel 2015 e a Santa Cecilia nell’ottobre dell’anno passato, inaugurando la stagione dell’Opera di Roma.

Il revival delle rappresentazioni è stato preceduto da un consistente interesse da parte del mondo accademico negli ultimi decenni, ed è evidente come la rappresentazione del Wielki abbia tratto beneficio da molti di questi studi. Poco importa se la base storica del libretto sia fragile (Ruggero ha avuto quattro mogli e nessuna si chiamava Roxana): il libretto di Jaroslaw Iwaskiewicz, cugino di Szymanowski, mira più a creare una situazione onirica per permettere a Szymanowski di rappresentare un groviglio tra ragion di stato, sentimenti (amore, sensualità, gelosia) e la loro codificazione religiosa, ambientato in una Sicilia percepita come un crogiolo dove le differenti sensibilità culturali (greco-classica, greco-bizantina, araba-orientale e infine normanna) si confrontano e alla fine trovano una sintesi. Sintesi che però arriva al termine di un percorso catartico doloroso per Ruggero. Di qui la dimensione onirica del dramma: chi è il pastore? Una proiezione del lato dionisiaco di Ruggero? Un falso profeta venuto dal passato greco-dionisiaco per ammaliare le folle e distruggere il nuovo regno d Sicilia a guida normanna, che raggiungerà il suo apice con il nipote Federico?
La bellissima trama musicale di Szymanowski lascia queste domande sospese, anche se queste domande sono sottolineate da temi melodici chiari che guidano lo sviluppo musicale. Roxana è sensualmente attratta dal pastore, per il quale canta un’aria orientaleggiante nel secondo atto. La regia di Marius Trelinski, coadiuvato dalle scene moderne di Boris Kudlicka, non dà un carattere erotico a questo rapporto tra la regina ed il pastore, ma ne sottolinea con evidenza la dominazione psicologica su Roxana che ritrova una femminilità dimenticata dentro il rigido protocollo di corte. Ruggero è anche soggiogato dal pastore (“Chi è libero mi segue!”), tutta la corte vene trascinata in una danza dionisiaca. Solo nel terzo atto Roxana, purificata, riconosce a Ruggero l’iniziale sentimento d’amore e la sintesi dei tre elementi iniziali avviene, mentre il pastore ritorna nelle ombre degli incubi dai quali è stato generato.
Ma al di là del programma ideologico è la musica di Szymanowski il collante che unifica e dà un senso all’opera. Affascinato dalle sensazione provate durante un viaggio in Sicilia nei primi mesi del 1914, Szymanowski traduce musicalmente l’idea di un ambito geografico nel quale il clima e le diverse culture che nei regni normanno e svevo sono state audacemente mescolate in una scrittura musicale coraggiosa, che non rinuncia alla melodia e alle modulazioni armoniche ma al contrario le utilizza secondo schemi originalissimi che all’inizio del Novecento non solo lui ma anche altri compositori di area culturale simile (pensiamo a Janacek e dopo a Martinu, per esempio) stavano sviluppando. La regia e la sceneggiatura sono contemporanee ma benissimo integrate con la direzione musicale di Grzegorz Nowak la sensazione finale è di uno spettacolo che scorre senza nessuna forzatura, dove anzi i momenti teatrali dello sviluppo del dramma vengono abilmente sottolineati. Uno spettacolo che da solo giustifica un viaggio in Polonia, e che permette di capire quanto profonda possa essere stata l’immagine multiculturale di un regno retto da nordeuropei che subivano il fascino delle culture estremamente avanzate che trovarono. In epoche di “sovranismi” presunti e nazionalismi purtroppo estremamente più reali, non è poco.

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