Lo psicologo in oncologia: risorse e criticità

Lo psicologo in oncologia: risorse e criticità

di Luigia Carapezza
Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, Esperto in Psico – Oncologia

Tempo fa proponevo ai lettori di SiciliaNetwork un articolo (https://www.sicilianetwork.info/kiss-against-cancer-una-causa-gentile-contro-i-tumori/) in cui raccontavo la nascita di una nuova realtà contro il cancro: Kiss against cancer; oggi la notizia è che ho l’onore di far parte del Comitato Tecnico Scientifico dell’associazione e in via eccezionale condivido parte dell’intervista in cui rispondo alle domande del presidente della Onlus, Fotios Loupakis,  dedicate al contributo dello psiconcologo in oncologia. 

 

Scegliere di essere psicologa è una scelta che sai ti porterà a situazioni emotivamente impegnative. Farlo in oncologia ancora di più. Cosa ti ha spinto e cosa più in generale può spingere a fare questa scelta? 

Per rispondere alla tua domanda farò riferimento al “senso comune” col quale mi confronto ogni volta che mi presento come psicologa e la differente reazione quando aggiungo che lo faccio in oncologia. Nel primo caso le persone si aspettano che gli legga la mente. Ci scappa la risata! Nel secondo caso i volti si incupiscono, qualcuno si sente in dovere di confortarmi: “Deve essere dura”, altri rafforzano la mia scelta: “Complimenti, ci vuole coraggio a fare il tuo lavoro!”. Poi ci sono gli scettici: “Che cosa gli dici ai pazienti? Li fai parlare? Come se parlare servisse a qualcosa…”. La verità è che quasi non ricordo più perché ho scelto in generale di fare la psicologa. Da circa nove anni lavoro in oncologia e adesso la sensazione è che io abbia sempre voluto fare questo nella vita. Fin dai tempi dell’università mi affascinava l’idea di lavorare in ambito ospedaliero. Mi sembrava un lavoro dinamico, di squadra. La scelta dell’oncologia è venuta dopo, quando in seguito a un’esperienza difficile della la mia vita, mi ero resa conto che tutto sommato ero in grado di cavarmela; per cui a un certo punto del mio percorso ho realizzato che le mie caratteristiche di personalità unite alla mia formazione accademica potevano rappresentare un buon punto di partenza per esplorare la malattia oncologica. Una patologia che mette a dura prova l’esistenza quando si insinua nella vita delle persone ma che offre tanto spazio di intervento psicologico.

Un malato di tumore come e perché arriva da uno psicologo?

Premesso che sia del tutto normale provare emozioni di paura, tristezza, rabbia, angoscia, (etc.) quando si affronta un evento destabilizzante come il tumore e che ogni persona possieda risorse interiori a cui attingere per gestire le avversità della vita;  può succedere che queste emozioni diventino talmente intense da compromettere la serenità mentale delle persone, la loro qualità di vita, la relazione con gli altri e si può ridurre persino la motivazione ad affrontare la malattia. Quando queste sensazioni spiacevoli persistono e diventa difficile controllarle (alcuni si sentono sopraffatti dall’ansia, per esempio o faticano a dormire la notte), le persone possono decidere di rivolgersi allo psicologo o qualcuno gli suggerisce di farlo (familiari, amici, il proprio medico di fiducia).  Nella mio caso è frequente che le persone si rivolgano a me anche perché stanche di avere pensieri negativi sul cancro e sulla propria condizione. Si innescano delle pericolose “trappole mentali” e nei casi più gravi si rimane come “bloccati” in questi meccanismi di pensiero. In generale la domanda è che si ponga rimedio al proprio malessere, la risposta consisterà nell’inquadrare la problematica e mettere in atto le strategie psicologiche più adeguate che si sono dimostrate in grado di far fronte al disagio manifestato, come nel caso dell’ansia con l’attivazione di protocolli di riduzione dello stress.

E per quanto riguarda i familiari?

I familiari meritano quasi le stesse attenzioni di cui hanno bisogno i pazienti. Essere ammalato di cancro è un’esperienza che non riguarda soltanto la persona che ha ricevuto la diagnosi ma tutta la famiglia in qualche modo è coinvolta. Quando il cancro si insinua nella vita delle persone ridisegna gli equilibri familiari; cambiano i ruoli, gli impegni e le aspettative future. Come nel caso della persona ammalata, anche la famiglia ha normali reazioni di stress all’evento malattia e nella maggioranza dei casi è in grado di attivare risorse adatte a fronteggiare al meglio l’esperienza del cancro. Ma in alcuni casi lo stress può essere talmente forte da innescare una serie di criticità che richiedono l’intervento esterno per essere affrontate. Mi capita di incontrare individualmente i membri di una famiglia oppure a piccoli gruppi. Insieme discutiamo le reazioni emotive più associate alla malattia nelle dinamiche familiari. Come cambiano le relazioni, come favorire la comunicazione e quali azioni introdurre per riorganizzare gli equilibri mutati con l’avvento malattia. Ma gli incontri di psicoeducazione sull’impatto della malattia in famiglia, non sono da intendersi solo al bisogno; a mio avviso sono utili anche a prevenire il distress e a favorire l’adattamento del cancro in famiglia come quando si devono affrontare le cure antiblastiche del caso e diventa utile discutere circa i risvolti emotivi degli effetti collaterali dei trattamenti, ma anche confrontarsi sulle condotte alimentari, l’igiene del sonno, l’abitudine di fumare, la condotta sessuale; etc. 

I figli, bambini o giovani adolescenti di chi ha un tumore possono avere bisogno dei giusti strumenti per affrontare queste sfide? Cosa ci puoi dire su questo?

Innanzitutto bambini e adolescenti hanno bisogno di sapere, di essere informati della malattia che ha colpito il genitore. Spesso, però succede il contrario. I genitori cercano di nascondere la malattia ai bambini, così come i sentimenti che provano. Lo fanno in buona fede, convinti di agire a tutela del minore: “Non penso a me, penso ai miei figli” è la battuta più ricorrente quando inizio un colloquio coi genitori ammalati di tumore. Seguita da: “Ho paura che rimangano traumatizzati!”. Si vuole evitare cattive notizie per scongiurare sviluppi traumatici. È necessario che i genitori vengano informati della possibilità di accedere al counseling psicologico dedicato alla condivisione della diagnosi in famiglia. I genitori devono sapere che i bambini hanno bisogno di verità, con tutti gli accorgimenti del caso, a misura della loro fase evolutiva, ma necessitano rapporti autentici. È normale che la malattia dei genitori generi una sorta di minaccia alla propria sicurezza e di conseguenza i piccoli ma anche gli adolescenti, possano sentirsi impauriti, disorientati. È protettivo per la salute mentale dei bambini (e degli adulti) sapere che provare quelle emozioni sia normale, che capita a tutti i bambini che come loro vivono una condizione di malattia; che anche mamma e papà provano le stesse emozioni. Condividerle ha un potere calmante, rassicurante e li aiuterà ad affrontare tutto il cambiamento in modo più adeguato. Aiutarli a esprimere paure e dubbi è molto importante per evitare che ricorrano all’immaginazione per spiegarsi gli eventi che li circondano in casa a cui non trovano risposte adeguate dagli adulti di riferimento. E la fantasia dei bambini può essere persino più spietata della realtà!! I genitori devono sapere che non è necessario essere esperti per aiutare i propri figli ma che possono ricevere il sostegno di uno psicologo che li guiderà ad affrontare la malattia a casa, accettando prima di tutto noi adulti, che la sofferenza fa parte della vita. 

Se siete curiosi di saperne di più circa la mia esperienza professionale tra passione, vincoli e opportunità di carriera, leggete l’intervista completa al seguente link e sostenete anche voi la causa contro i tumori di Kiss against cancer.  

https://kissagainstcancer.org/it/una-psicologa-in-oncologia/

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