L’occupazione abusiva nell’immobilismo della burocrazia, diritti e futuro negati ai più fragili

L’occupazione abusiva nell’immobilismo della burocrazia, diritti e futuro negati ai più fragili

C’è un modo specifico e determinato per contrastare le Povertà che non può certamente trovare espressione nelle logiche di assistenzialismo ma attraverso la costruzione di interventi – meglio dire progetti – che accendono la “fiamma” delle persone più fragili.

Accendere la fiamma per Fondazione Èbbene significa accompagnare le persone più fragili a costruire un nuovo progetto di vita dove ricucire il legame con la propria comunità; un legame fatto di lavoro e quindi produttività, di impegno e sostegno, di crescita ma anche di riscatto. E a beneficarne non è soltanto la persona che ritorna ad essere energia ma l’intera comunità, perché viene animata e abitata da nuova linfa. Un vero e proprio motore che riparte.

Ci sono episodi però in cui la legge e la burocrazia dimenticano di essere a servizio di tutti e, al contrario, frenano lo sviluppo delle comunità nel segno di una legalità diffusa.

Ma andiamo al caso.

Fondazione Èbbene sta lavorando nel territorio di Catania per offrire soluzioni abitative a persone in grave stato di povertà attraverso un progetto, Habito, sostenuto dai fondi del Pon Metro. Il progetto prevede la messa a disposizione di alcune case che possano accogliere famiglie fragili per le quali la Fondazione mette in campo un percorso di inclusione, inserimento sociale ma soprattutto autonomia.

Questi immobili vengono chiamati “alloggi di transizione” proprio perché l’obiettivo e il desiderio non è offrire assistenza, ma permettere ai più fragili di ricostruire la propria vita e al contempo avere una casa dignitosa dove abitare.

Si chiamano “di transizione” non perché scatta un limite dentro il quale non è più possibile far parte del progetto, ma perché è una direzione, quella che Èbbene traccia insieme alle persone accolte. Una direzione che prevede la costruzione di un progetto condiviso fatto di ricerca del lavoro, formazione, competenze da accrescere. Insomma, è la presa in carico globale a determinare la fuoriuscita dalla povertà.

Una premessa necessaria per dare alla luce un fatto grave di occupazione abusiva a Catania.

Purtroppo, la protagonista di questa storia è proprio una famiglia accolta da Mosaico, Centro di Prossimità di Èbbene a Catania. A marzo 2020 gli operatori di Èbbene, attraverso l’Unità di strada, intercettano il bisogno abitativo della famiglia, che dopo un presunto debito ha dovuto lasciare la propria abitazione.

Gli operatori di Èbbene accolgono tutta la famiglia, mamma, papà e i due figli maggiorenni negli alloggi di transizione in via Casagrandi e costruiscono per loro un progetto di vita, appunto. Sostegno educativo e culturale per i figli con corsi di alfabetizzazione e bilancio di competenze; accompagnamento e cura per i genitori, specie per la madre che soffre di attacchi di panico.

È l’adagiarsi a una condizione precaria, ma pur sempre instabile, a caratterizzare le decisioni della famiglia. Quello che gli operatori di Èbbene ottengono è un vero e proprio muro, nessuna forma di collaborazione, nessuna propensione a migliorarsi e migliorare la propria condizione di vita fino a manifestare atti di illegalità e razzismo verso gli altri abitanti della struttura. Incendi, minacce continue e persino uso di sostanze stupefacenti da parte dei figli in presenza dei bambini che abitano negli altri alloggi messi a disposizione da Èbbene.

Allo scadere del contratto, sei mesi, la famiglia si è barricata in casa in maniera del tutto abusiva. Come Ennio, storie dimenticate nell’immobilismo della burocrazia.

Come avvenuto nel recente fatto di cronaca, riportato alla luce da Massimo Gramellini (https://bit.ly/storiaennio), in cui Ennio, un anziano cardiopatico, ha impiegato ben 23 giorni per riottenere la sua casa occupata, anche la Fondazione Èbbene per rientrare in possesso dell’alloggio in questione dovrebbe agire giudizialmente, con tempi e costi indefiniti. Perché? Perché non esiste una legge unica che tuteli chi trova la propria casa invasa.

Un danno enorme. Per le famiglie che proprio in quell’alloggio occupato potrebbero riprendere la propria vita. Per la comunità che non può farsi carico di fatti d’illegalità che ostacolano lo sviluppo.

Continueremo la “nostra battaglia” con la speranza che diventi una “missione condivisa” perché quando cresce il divario tra chi fa del bene e una giustizia che boccheggia… è il futuro ad essere contaminato, la speranza di un cambiamento reale.

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