L’odio è un algoritmo

L’odio è un algoritmo

di Erica Donzella
editor e scrittrice

Non vedo alternativa. Quando, la mattina all’alba, apro il mio account Facebook e mi ritrovo davanti allo sterminio di neuroni prodotti da politicanti ed efferati seguaci l’unica cosa che mi sento di fare è chiuderlo.
Capiamoci. Non voglio eliminare il mio account, lo uso per lavoro principalmente e questa non vuole essere una missiva contro il progresso tecnologico o lo sviluppo antropologico a cui, in generale, i social hanno contribuito.

Il problema è il chiacchiericcio di sottofondo alla realtà.

Fake news, cyberbullismo, odio sparso in maniera indiscriminata verso l’altro da sé. Non voglio elencare nemmeno tutta la serie di “notizie nere” che ammorbano la mia homepage ogni giorno. Scrollare con rapida sistematicità la pagina principale del social bianco-azzurro mi ha fatto riflettere: stiamo perdendo tempo. Una quantità di tempo difficilmente recuperabile e contemporaneamente stiamo facendo un grande torto al nostro umore (m’incazzo, m’indigno, seduta su una sedia…) ma, cosa ancor peggiore, ci “attiviamo” condividendo post che fanno girare altro odio, altra rabbia, accrescendola. E poi? Blocco schermo, telefono in tasca.

Oppure facciamo una cosa ben peggiore: cambiamo social, e stato d’animo aggiungerei. Si passa a Instagram. E sappiamo tutti e tutte quanto la questione cambi rotta improvvisamente.

Ripeto, la mia non è una missiva contro. È più il tentativo di bilanciare quest’attitudine a stare col culo su una poltrona e a sentenziare sul mondo. Sulla soglia dei 31 anni sono stata male di troppo social. Lo ammetto. Ogni like, ogni cuoricino (ogni mancata visualizzazione delle storie da parte di chi avrei voluto) sui miei profili stavano creando un parallelismo tra me e me e il mondo che sono più riuscita a gestire.

Non ho attuato delle scelte radicali, sono stata in mezzo all’algoritmo per capire come calcolare meglio il mio modo di vivere un disagio antropologico, del mio crescere come se fossi un’equazione matematica con troppe variabili: ci sono io, ci siete voi e non è sempre detto che le cose vadano per il verso giusto. Cosa posso fare?

Levigare e ridurre. Andare in una città diversa, stare in silenzio se non ho nulla da dire, acuire il mio sguardo e alzare il tono della mia voce se necessario. Non scrivere in MAIUSCOLO per imprimere meglio un pensiero su uno schermo che avrà memoria di me soltanto come un pixel a bassa risoluzione.

Tempo fa, la mia amica Giulia mi ha detto una frase-monito, mentre parlavamo di grafica, libri, editoria: Dipende tutto dal peso degli elementi.

Possiamo scegliere dunque. Abbiamo ancora la facoltà di scindere la vita dal resto, di pesare di più con il nostro corpo, di esserci con la nostra bocca, mano, schiena dritta. Anche per pochi istanti al giorno. Ma dobbiamo scegliere. Anche di usarli bene questi strumenti del progresso di cui siamo stati meravigliosi inventori.

Dipende quanto scegliamo di amare.

Instagram: @the_bookeditor / donzellaerica@gmail.com

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