CATANIA – L’operazione, denominata ‘Jungo’, dei carabinieri del Comando provinciale di Catania con 46 arresti due dei quali ai domiciliari, è stata eseguita nelle province di Catania, Messina, Trapani e Rimini. I militari hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare e di sequestro preventivo nei confronti di 46 persone disarticolando il clan Brunetto, legato a Cosa nostra rappresentata dalla famiglia Santapaola-Ercolano, egemone in gran parte dell’area Ionica dell’area Etnea.
Il provvedimento restrittivo, emesso dal gip su richiesta della Procura distrettuale di Catania, ipotizza a vario titolo i reati di associazione mafiosa, traffico e a spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Le indagini sono state condotte dai carabinieri di Giarre dal 2017 al 2018, con l’ausilio di diversi collaboratori di giustizia. Il clan Brunetto, articolazione della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano di Catania, era egemone a Giarre, Mascali, Fiumefreddo di Sicilia, Castiglione di Sicilia.
Il gruppo gestiva una piazza di spaccio nel quartiere popolare Jungo di Giarre, attiva 24 ore su 24, grazie ai turni di numerosi pusher. Altri si occupavano di procurarsi la droga, nasconderla, confezionarla e rifornire gli spacciatori al dettaglio. L’incasso giornaliero della piazza era quantificabile in diverse migliaia di euro al giorno.
I quartieri popolari permettevano di utilizzare un collaudato sistema di vedette, vie di fuga e nascondigli per le dosi. La piazza di spaccio costituiva così per i tossicodipendenti una sorta di punto stabile di approvvigionamento, comportando una vera e propria “fidelizzazione” dei consumatori.
La direzione e gestione della piazza era riconducibile alla famiglia Andò, capeggiata da Giuseppe, detto “U cinisi” (il cinese), 59enne venditore ambulante nella frazione giarrese di Trepunti, il quale, con figli e nipoti, si occupava di tutti gli aspetti del mercato illecito, perfino di reclutare i pusher, spesso giovani residenti nel quartiere Jungo.
La collocazione del suo camion non era casuale, perché gli permetteva di controllare i movimenti delle pattuglie nel primo e più importante incrocio cittadino dopo l’uscita autostradale e fungeva da base per incontrare altri sodali, fornitori di stupefacenti, creditori, membri di altri clan o per convocare pusher “indisciplinati” nei turni e punirli con detrazioni dello stipendio, quest’ultimo corrispondente a circa 250 euro a settimana.
Qualora il pusher fosse stato arrestato, il sodalizio avrebbe provveduto a pagare il cosiddetto “mantenimento” alla sua famiglia, fra cui le spese legali, salvo poi entrare in crisi a causa dei numerosi arresti, come affermato da uno degli organizzatori “appena arrestano un altro è finita… vediamo ste persone come si devono campare, perché poi chi viene qui sotto a lavorare? Nessuno!”.
Dalle indagini è emerso anche che il ‘cinese’ era diventato il referente del clan “Brunetto-Santapaola” su Giarre dopo l’arresto di Pietro ‘Carmeluccio’ Oliveri, indiscusso erede del boss Paolo Brunetto. Giuseppe Andò avrebbe avuto ordini dal carcere sulla gestione degli affiliati e sul mantenimento dei detenuti e delle rispettive famiglie. Dall’operazione emerge anche una estorsione a un ristoratore di Giarre, mai denunciata per paura. Alcune vittime hanno negato anche dopo essere state convocate dai carabinieri. Tra i minacciati anche dei giostrai: “se monta gli brucio tutte le cose…”, è la rappresaglia annunciata.
Il profilo criminale di reggente di Giuseppe Andò è emerso, tra l’altro, da una vicenda relativa a un giovane del luogo il quale, per evitare di pagare gli affitti arretrati, si era permesso di riferire al proprietario dell’immobile di “appartenere a Pippo il cinese”, e aveva scatenato l’ira di Andò e i propositi di pestaggio punitivo, per aver indegnamente “speso” il suo nome senza autorizzazione.
Inoltre, durante una delle perquisizioni nei loro covi, è stata trovata una sorta di schedatura dei votanti del quartiere Jungo, verosimilmente per controllare il voto nelle sezioni della zona. È stato eseguito anche un sequestro: un immobile a Mascali, edificato con proventi del traffico illecito e un autocarro di uno dei capi/promotori, utilizzato per nascondere e trasportare la droga.
Gli arrestati sono stati portati nelle case circondariali di Catania, Siracusa, Messina, Caltanissetta, Agrigento, ad eccezione di 6 già detenuti per altra causa e 2 indagati per i quali il gip ha previsto gli arresti domiciliari.