Mafia: gestione voti e case popolari, 17 arresti tra Catania e Siracusa nel clan Laudani

GIARRE – Sono 17 le persone arrestate questa mattina in un’operazione antimafia tra Catania e Siracusa: estorsione, furto in abitazione, lesioni e riciclaggio dei proventi illeciti mediante intestazioni fittizie di depositi e conti correnti.  Per tutte è contestato anche il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso.

L’indagine parte dai Carabinieri di Giarre sulle tracce dal 2016 del clan “Laudani – Musii i ficurinia”  operante nel territorio di Giarre e comuni limitrofi, i cui adepti riportavano, come simbolo del vincolo di affiliazione ed in ossequio alla famiglia mafiosa catanese di riferimento, un tatuaggio “a forma di labbra”.  Da qui il nome dell’operazione: “Smack Forever”.

Il gruppo criminale controllava il territorio attraverso la richiesta del pizzo e le assunzioni forzate di personale di loro gradimento, non mancano negli atti della magistratura anche casi di pestaggi, incendi di veicoli e furti. Estorsioni nella maggior parte dei casi mai denunciate.

Non solo estorsioni ma gestione di voti e controllo illegalmente delle case popolari.

Nel giugno del 2016 per le Comunali a Giarre il clan avrebbe appoggiato dei candidati consiglieri con lo scopo spiega la Procura di Catania, di “ottenere benefici futuri”. Pur non essendo emersa la prova dello scambio di voti sono stati evidenziati contatti con candidati, non identificati. Il boss Alessandro Liotta  nel tentativo di convincere un soggetto sconosciuto a cambiare la sua preferenza, gli intimava di dare il voto “agli amici nostri” e non “ai santapaoliani”. Inoltre, secondo l’accusa, Liotta gestiva illegittimamente l’assegnazione delle case popolari, nelle quali faceva confluire le residenze anagrafiche delle persone a lui più vicine o lucrando sui canoni delle locazioni, scomputando debiti che vantava nei confronti di terzi. Senza esitare a sottrarre gli immobili ai precedenti possessori anche con modalità violente.

Sarebbe inoltre documentato il riciclaggio dei proventi delle attività illecite mediante intestazioni fittizie di depositi e conti correnti. Alla base delle indagini anche le dichiarazioni di più collaboratori di giustizia utili per delineare l’organigramma e le attività dell’organizzazione, al vertice della quale vi è, secondo gli inquirenti Alessandro Liotta, già arrestato nel febbraio 2017 nell’Operazione “Bingo!” poiché a capo di una fiorente associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Liotta  si avvaleva dei suoi affiliati per molteplici attività criminali. Particolarmente spregiudicato, sarebbe stato il metodo adottato per ottenere il pagamento del pizzo da parte degli esercenti, soprattutto a danno delle attività appena aperte e quindi oggettivamente in maggiore difficoltà.  In alcuni casi i titolari che si rifiutavano o pagavano in ritardo venivano sottoposti a pestaggi o gravi intimidazioni con bottiglie  contenenti liquido infiammabile. Accanto al capo clan spiccano anche figure femminili, sue corree principali e fedeli affiliate “marchiate” dal tatuaggio mafioso con il “musso”, ossia Valeria Vaccaro e Sharon Contarino , partecipi del riciclaggio dei proventi illeciti e protagoniste di episodi estorsivi. Liotta gestiva la cassa comune, tramite “prestanome”, riversandovi i proventi illeciti dei furti, delle estorsioni e dei cosiddetti “cavalli di ritorno”, effettuati dopo i furti di autovetture.

Il boss disponeva furti, curava i contatti con le “famiglie” acesi, catanesi e di Piedimonte Etneo, dirimeva le cosiddette “tarantelle” fra i vari affiliati (debiti, prelievi non autorizzati dalla cassa comune), impartiva disposizioni ai sodali per eludere le investigazioni e capire se le vittime del racket avessero o meno denunciato ai carabinieri, assicurava il sostentamento economico ai detenuti del gruppo e organizzava spedizioni punitive.

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