Mafia, Il boss Salvatore Profeta torna a Palermo. Il questore vieta i funerali pubblici

PALERMO – Salvatore Profeta, il capomafia della Guadagna, è ritornato a Palermo. Ieri sera all’aeroporto Falcone Borsellino è arrivata la sua salma, scortata fino al cimitero di Sant’Orsola. Il boss è morto nei giorni scorsi per un infarto improvviso, a Tolmezzo in provincia di Udine dove avrebbe dovuto finire di scontare una pena complessiva di 8 anni e 2 mesi. Profeta dal novembre 2016 si trovava nel carcere di massima di sicurezza dopo le varie dichiarazioni da parte di alcuni collaboratori di giustizia che lo avevano indicato come “uomo d’onore” del clan e a capo di un’organizzazione malavitosa che comandava parte del territorio palermitano direttamente dal bar posizionato al centro del “suo” territorio.

Lo spostamento della salma è avvenuto nel massimo riserbo. Il questore ha vietato i funerali pubblici e questa mattina la salma è stata tumulata con una cerimonia privata.

Il Profeta della Guadagna

Era considerato un capomafia vecchio stile: per i suoi metodi, riti e affiliazione dei picciotti con la “punciuta”, un boss importanti, di quelli legati alla tradizione. I palermitani della periferia si rivolgevano a lui per per gli sconti al pizzo, recuperare le refurtive depredate, a lui richiedevano dei prestiti e per le inaugurazioni delle attività. Salvatore Profeta, secondo alcuni collaboratori di giustizia, era tra gli uomini più vicini a Stefano Bontade, il capomafia che reggeva la Cupola prima dell’avvento dei corleonesi. Tant’è che fu lui, dopo l’assassinio di Bontade, ucciso in un agguato nel 1981 durante la guerra di mafia scatenata da Totò Riina contro i cosiddetti “clan perdenti”, a prendere le redini della famiglia di Santa Maria di Gesù, tra le più potenti a Palermo. Da Bontade a Riina il passaggio fu immediato per il boss, che aveva il suo quartier generale alla Guadagna, tra le piazze maggiori dello spaccio di droga in città.

Negli anni ’90 fu coinvolto nella strage di via D’Amelio, a tirarlo in ballo fu suo cognato, Vincenzo Scarantino che lo accusò di avergli commissionato il furto della 126 che venne imbottita di esplosivo per la strage. Il boss fu condannato all’ergastolo, insieme ad altri sei imputati. Per tutti, nel 2011, scattò la revisione quando il pentito Gaspare Spatuzza aiutò i magistrati, con le sue rivelazioni, a smentire la versione di Scarantino che ammetterà di essersi inventato tutto perché messo sotto pressione da alcuni investigatori, aprendo il velo sui cosiddetti depistaggi. Spatuzza rivelò, infatti, di essere stato lui a rubare l’auto su mandato del boss Giuseppe Graviano, facendo chiarezza su tutte le fasi successive al furto e alla preparazione dell’auto usata come autobomba.

Nuovamente libero, Profeta, era tornato ad essere uno dei capimafia più temuti di Palermo, riprendendo in mano le redini della cosca e ricostituire una squadra pronta a tutto. Ma il suo potere cade nuovamente nel novembre del 2015, quando viene nuovamente arrestato, le operazioni della Polizia furono rese difficili dalla folla di gente che tra pianti e disperazione erano lì per salutarlo e onorarlo. Lui, era un boss venerato e amato dal suo quartiere, tanto che durante la processione, pure la Madonna veniva fatta fermare davanti alla sua casa per un inchino ossequioso.

Se ne va così un altro pezzo di storia legata a Cosa nostra, portandosi dietro tanti segreti dell’organizzazione mafiosa.

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