Mafia, nessuna crisi ma evoluzione in corso

|Katya Maugeri| 

ROMA – “Ancora solida, strutturata, ricca e autorevole” è quello che emerge dalla Relazione annuale della Direzione nazionale antimafia sullo stato della criminalità organizzata presentata oggi dal procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti e dalla presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi. Emerge purtroppo una presenza costante, per nulla in crisi, di una mafia che sembra non avere intenzione di abbandonare il proprio territorio.

“Ancora si sottrae alla cattura Matteo Messina Denaro, storico latitante, capo indiscusso delle famiglie mafiose del trapanese, che estende la propria influenza ben al di là dei territori indicati. Il suo arresto non può che costituire una priorità assoluta”, questo uno dei passaggi della Relazione che non concorda con le analisi svolte da altri osservatori che ipotizzano a un declino di Cosa nostra in preda ad una cosiddetta “camorrizzazione”. Si descrive l’organizzazione criminale siciliana, invece, come pervasa da una “costante vitalità che non cancella lo stato di grave crisi”, tanto a Palermo, centro decisionale e operativo quanto in altre province come ad esempio Trapani e Agrigento. Ed è proprio a Palermo che si evince “un rinnovato interesse per il traffico di stupefacenti e per la gestione dei ‘giochi’, sia di natura legale che illegale”. Inoltre in merito al ritorno sulla scena di personaggi già condannati per 416-bis la DNA interroga il legislatore sull’opportunità di introdurre “un meccanismo sanzionatorio particolarmente rigoroso” per le ipotesi accertate di reiterazione del delitto di associazione mafiosa, al fine di evitare che “appartenenti all’organizzazione mafiosa dopo una prima condanna, tornino a delinquere reiterando in tal modo la capacità criminale propria e dell’organizzazione”.

Nonostante molti dei leader siano deceduti e in ombra, oggi Cosa nostra “continua a vivere una fase di transizione, non soltanto sotto il profilo della scelta di una nuova leadership ma anche sotto il profilo della ricerca di nuovi schemi organizzativi e di nuove strategie operative”. Tuttavia “in alcuni momenti storici – si legge ancora nel documento – ha contato di più la sua costituzione materiale, nel senso che il governo dell’organizzazione è stato retto secondo le scelte dei capi ed a prescindere dal rispetto delle regole. Nel momento in cui l’azione investigativa dello Stato ha portato alla cattura di tali capi, se la cosiddetta costituzione materiale dell’organizzazione è entrata in crisi, la costituzione formale di Cosa Nostra ha ripreso importanza e tutt’ora consente alla struttura di sopravvivere anche in assenza di importanti capi riconosciuti in stato di libertà. Il ricorso alle vecchie e mai abrogate regole di vita dell’organizzazione consente, dunque, alla stessa di sopravvivere in momenti di crisi come l’attuale”.
Nella provincia di Catania, invece, operano “un insieme di gruppi organizzati ed internamente strutturati secondo una dimensione gerarchica, che perseguono programmi di intensa ramificazione di interessi di tipo criminale in ambiti territoriali più o meno ampi”. In merito ai rapporti tra le cosche catanesi e quelle palermitane si sottolinea il tentativo in corso da anni, sponsorizzato da alcune famiglie palermitane, di creare una seconda famiglia che possa soppiantare i Santapaola, clan ‘storico’ operante sul territorio.
Non sono dati rassicuranti, è chiaro, si tratta quindi di un allarme rosso al quale non ci si dovrebbe abituare consapevoli che Cosa nostra a oggi “resta una struttura unitaria organizzata secondo le sue ‘regole’ tradizionali come quelle sull’affiliazione dei nuovi componenti e quelle che regolano la gestione dei territori”, e continua a rappresentare un male da estirpare.

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