Maledetto il tanto sapere!

 

 
 
  | Giuseppe Mazzaglia  |

NICOLOSI – Questo era il saluto con il quale ogni volta che incontravo il signor Turi Gemmellaro detto Ciappazza (scomparso lo scorso 28 marzo) iniziavamo i nostri infiniti discorsi. Un frase coniata circa 100 anni fa da don Salvatore Germanà detto Cozza, assessore all’Anagrafe in una giunta defeliciana del Comune di Nicolosi, delegato dal sindaco socialista Gaetano Sambataro, a celebrare i matrimoni civili quando ancora non era entrato in vigore il matrimonio concordatario dei Patti Lateranensi del 1929. Infatti ogni volta che una coppia di sposini si dovevano sposare in municipio lo andavano a cercare nella sua vigna di Mompileri e lui, semianalfabeta, si sentiva importante nella sua funzione politica ed esclamava: «Maledetto il tanto sapere!». Era questo uno dei tantissimi aneddoti che Turi Gemmellaro mi ha raccontato con il suo sorriso sornione. Turi era nato a Nicolosi il 7 novembre 1934, in una casa dell’attuale via Martiri d’Ungheria (al tempo via Sant’Antonino, anche questo ricordato da lui), nel punto dove finisce l’attuale via Vittorio Veneto e a pochi passi quando la via si congiunge con la via Giovanni Milana. I suoi genitori si chiamavano come lui Turi e Salvatrice Pulvirenti detta Tudda, quest’ultima originaria di Pedara (al tempo non era stato ancora emanato il RD n. 1238 del 9 luglio 1939 sull’Ordinamento dello Stato Civile, che impediva di mettere ai figli lo stesso nome del genitore).

Come la gran parte dei suoi coetanei, non ebbe la fortuna di studiare (rimarrà sempre il suo più grande cruccio) conseguì con fatica la licenza elementare. Seguì presto le orme del padre che di mestiere faceva l’imbianchino (u pitturi nel dialetto nicolosita) anche se a detta di Turi si adattava un po’ a tutti i mestieri compreso quello di contadino o manovale. Il padre fin da ragazzo sognava di fare l’artista ed essendo amico dello scultore nicolosita Vincenzo Torre (1889 – 1970) accettò l’invito di andarlo a trovare nel suo studio romano, ma resosi conto delle difficoltà a cui andava incontro ritornò presto nel paese natio. Erano gli anni tristi della seconda guerra mondiale, come ricordava spesso Turi, furono anni in cui si ritornò indietro, il progresso che vi era stato subito dopo la fine della Grande Guerra del 1915-18 andò del tutto perduto. Ma l’amore che il padre aveva verso l’arte non finì e in quegli anni di guerra a Nicolosi lavorarono sia Giuseppe Barone che affrescò l’interno della Chiesa Madre sia Sebastiano Consoli che affrescò l’interno della Chiesa di Santa Maria delle Grazie sia della Madonna del Carmine, ed entrambi furono ospiti a casa dei Gemmellaro. E grazie a questi incontri e all’ammirazione che ebbe per il padre, che in Turi maturò la sua passione per l’arte e la storia, soprattutto di Nicolosi, successivamente nacque anche la sua vera e grande passione: la fotografia. Andando a lavorare nelle case della gente a Nicolosi e nei paesi viciniori, iniziò a fare domande ad ascoltare i discorsi degli anziani, a collezionare cartoline, libri, foto, che in tanti gli donavano su sua richiesta.

Innamorato di Nicolosi e in particolare della Chiesa Madre, quest’ultima divenne il centro della sua attenzione e della sua curiosità. Finito il servizio militare a Bari nell’aeronautica, a metà anni Cinquanta fu nominato presidente dell’Azione Cattolica quando fu parroco monsignor Lucio Rapicavoli, quest’incarico fu l’orgoglio della sua vita, né parlò sempre sino alla fine, mentre non volle mai interessarsi di politica e men che mai volle far parte di confraternite e commissioni di feste patronali.

Fu in quel periodo che iniziò a conservare spezzoni di giornali che riguardavano Nicolosi, a fotocopiare libri, dove era citato Nicolosi, che non poteva acquistare o che erano fuori commercio e soprattutto scattava e raccoglieva foto e diapositive (il suo archivio contiene oltre 3.000 foto tutte ben catalogate con tanto di didascalie, che aggiornò sino all’ultima sera della sua vita), conservava tutto, dai calendari profumati, alle tessere di partito, cartoline postali, poster, opuscoli, immaginette sacre, copertine di riviste (Corriere della Sera, Epoca) giornali locali come il Gazzettino dell’Etna soprattutto del periodo quando faceva parte del direttivo della Proloco di Nicolosi. Conservava tutto per categorie e per argomenti. Geloso delle foto in suo possesso, era lui che decideva a chi fare le copie e in tal senso fu molto generoso rendendo felici tante persone. Aiutò tanti ragazze e ragazzi universitari nelle loro tesi di laurea e tanti autori di importanti libri locali come Salvatore Nicolosi o Giancarlo Santi.

A Nicolosi sono rimaste memorabili le sue straordinarie mostre fotografiche a partire dall’inizio degli anni Settanta sempre del secolo scorso. Le curava amorevolmente e le realizzava a tema: sulle chiese, sui personaggi famosi di Nicolosi, sul Gran Tour. Aveva foto per tutti gli argomenti (guerra, feste patronali, battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni, luoghi, mestieri, santi, personaggi e cosi via). Sposato con Lucia ebbe due figli Giuseppe e Agata sposatisi con Katia e Salvo e cinque nipoti, Toti, Lidia, Cristina, Simona e Antonio. Circa dieci anni fa  rimase vedovo nello stesso periodo, chi scrive è stato nominato assessore alla Cultura nell’Amministrazione del sindaco Nino Borzì e senza accorgercene è iniziata una profonda e proficua collaborazione che grazie alla sua determinante collaborazione ha permesso di realizzare oltre venti pubblicazioni che spaziano dalla storia delle nostre chiese, alla storia dell’emigrazione nicolosita nelle Americhe, al teatro, alla poesia, ai personaggi famosi e ai sindaci di Nicolosi con la creazione di una loro galleria fotografica all’interno del palazzo comunale, suo orgoglio.

Momenti indimenticabili di gioia per lui furono la ricollocazione della lapide in marmo nell’aula consiliare (l’originale) mentre una copia in pietra lavica ceramizzata fu collocata nello stesso luogo dove Mario Gemmellaro l’aveva posta nel 1818 che disciplinava l’uso dell’acqua della cisterna comunale. Ancora il restauro dell’organo settecentesco della Chiesa Madre, il posizionamento di un pannello in pietra lavica ceramizzata sulla facciata del municipio riproducente gli edifici abbattuti nel 1961 e infine non posso dimenticare la sua immensa gioia e soddisfazione quando, insieme al parroco don Antonino Nicoloso, il figlio Giuseppe con la collaborazione dell’arch. Antonio Mazzaglia abbiamo ripristinato sull’abside della Chiesa Madre (cancellata nel 1947), la scritta voluta nel 1886, dopo lo scampato pericolo dell’eruzione dell’Etna, dal preposito Mario Tomaselli su suggerimento del Beato Card. Dusmet: “Il fuoco dell’Etna ci ha disperso, il fuoco dello Spirito Santo ci ha riunito”.

Non sembra vero che Turi Gemmellaro non sia più fra noi, per ogni nicolosita che passava dinnanzi casa sua, lui aveva una battuta e il suo retro garage era diventato una sorta di circolo culturale dove ci riunivamo insieme al dottore Messina, all’avvocato  Sambataro, ai professori  Fallica e Galvagno, con Pippo Lanzafame e Pippo Di Gregorio e si discuteva e si progettavano nuove ricerche e futuri libri su Nicolosi e sulla sua poco conosciuta storia che grazie a Turi Gemmellaro oggi è un po’ più nota.

Grazie signor Turi Gemmellaro per tutto quello che hai fatto per Nicolosi.

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