Nella meravigliosa danza di Alice

| Martina Strano| 

MASCALUCIA – Ballerina per Hugo Boss, Rai e vincitrice della borsa di studio miglior ballerina Hip-Hop International Italia 2011, capo delegazione per l’Italia all’ ”Hip-Hop International” 2011 di Las Vegas, Alice Sapienza è una ballerina e coreografa Hip-Hop dallo stile deciso. Un sogno che inizia sin da piccola e che si trasforma in un vero e proprio lavoro. Ogni movimento esplode fuori dal suo corpo con una forza travolgente e impetuosa.

Quando inizia questa tua avventura con la danza?

«Ho iniziato a 4 anni con la danza classica che in realtà non amavo molto. Mi sentivo quasi costretta a fare qualcosa che in realtà non mi rappresentava affatto. Ho provato così tantissimi sport, in particolare il calcio ed ero anche tanto brava. Poi grazie ad una mia amica mi sono riavvicinata al mondo della danza e finalmente ho conosciuto l’Hip-Hop e ho capito che era quello che volevo fare.»

Dalla passione all’insegnamento. Da cinque anni hai anche una tua scuola. Come ci sei riuscita?

«Mi sono trovata ad avere contatti con personaggi davvero forti del mondo della danza. Una volta, in occasione dei miei esami per il diploma con la FID (Federazione Italiana Danza), mi è stato chiesto appunto come mai avessi scelto di fare questo lavoro. Ho risposto che in realtà io non ho scelto niente. Questo lavoro ha scelto me. Non potrei fare altro nella mia vita se non questo. Insegno dall’età di diciotto anni, ho fatto tata gavetta con le sostituzioni e piano piano sono cresciuta. Nel 2012 ho aperto la mia scuola di danza, la “Moonwalk Dance Studio”, che oggi conta circa 85 alunni. Insegno in altre dodici scuole di danza. È una vita piena di sacrifici, ma che mi rende profondamente soddisfatta e felice. Riesco a gestire la mia scuola e garantire il mio insegnamento in altre strutture grazie anche ai miei collaboratori. In Moonwalk ho inserito anche quattro insegnanti per le altre discipline: classico e contemporaneo, pilates, breakdance e latino americano. Inoltre riesco a afre tutto grazie al prezioso aiuto di mia madre, Donata.»

Avete in previsione la partecipazione a gare o concorsi?

«In realtà sul territorio ci sono veramente troppe gare e concorsi. Sono delle vetrine e vengono organizzate di continuo. Tutti sono campioni di qualcosa. Io cerco di “tenere buoni” i miei alunni. Voglio che non si gasino troppo per tutto. Cerco di farli partecipare ai concorsi ufficiali. Nel corso degli anni abbiamo vinto diverse volte, anche all’estero. Un mio allievo ad esempio ha vinto all’età di sette anni, nella categoria Under 8, la competizione mondiale. In Italia è tutto più complesso quando si parla di Hip-Hop. Ad esempio in Nuova Zelanda è uno sport nazionale. Dispongono quindi di strutture adeguate, palazzetti, di tutto un circuito che permette a questa danza di avere il rispetto che merita e di non essere considerata una disciplina di categoria B. Da noi in Italia ha anche chiuso la Compagnia dell’Arena di Verona. Penso che un ragazzo che oggi inizia a fare danza si possa trovare in serie difficoltà pensando ad un futuro.»

Come nasce una tua coreografia?

«Dipende. C’è una frase del film “La Grande Bellezza” che secondo me rappresenta perfettamente la condizione di un coreografo: Bisogna stare attenti ad essere bravi perché si rischia di diventare abili. Secondo me questo è esattamente quello che succede. A volte non hai neanche l’ispirazione. Succede perché lo sai fare, perché sei trasportato. Chiaramente la differenza la fanno quelle coreografie che rappresentano una sorta di folgorazione, in cui permetti a te stessa di uscire fuori, di raccontarti. È difficile perché siamo soggetti a critica, siamo sottoposti a giudizio. E questo rischia di frenarti a volte, perché sai che con quel pezzo magari ti metti a nudo di fronte ad un pubblico che di te non sa davvero nulla.»

Esiste un confine tra tecnica e improvvisazione?

«L’Hip Hop è un mondo diverso rispetto al classico o al contemporaneo. Questa disciplina nasce dall’improvvisazione su strada. Chiaramente si è evoluta e quindi oggi esiste tutto l’aspetto coreografico. Ma essendo free style io lascio liberissimi i miei alunni di improvvisare. Voglio che tutti riescano a spiccare grazie a quello che fanno meglio. Non esiste una prima, una seconda o una terza fila. È una crew, un gruppo, si collabora e ci si mette in evidenza a vicenda.»

Ti senti figlia di qualche maestro in particolare?

«Sicuramente di Margherita Vasselli. Mi ha guidato quando ero piccolina e ancora oggi continua a darmi grandi chance, grandi opportunità. Adesso stiamo seguendo una gara all’Argentario. La direzione artistica è sua e di Sergio Japino. Io sarò lì con i miei gruppi e farò parte anche dello staff e terrò dei workshop insieme a nomi importantissimi del settore.»

Per l’Hip Hop c’è più spazio nei teatri o in tv con i reality show?

«Il problema dell’Hip-Hop è che in Italia non è né l’uno né l’altro. Le possibilità in teatro sono pressoché inesistenti e in tv tutto si vede tranne che l’Hip-Hop. Non si può pensare di chiedere ad un ballerino Hip-Hop di ballare sulle punte o di essere perfettamente “classico”. Non è sbagliato dire che il classico è la base. C’è un fondo di verità. Le aperture sono la base, conoscere il proprio corpo, conoscere i propri muscoli e saperli utilizzare. È la base perché conoscere i movimenti classici ti permette poi di riuscire a fare completamente l’opposto.»

Da ballerina a coreografa, ti occupi quindi tutto l’aspetto scenografico…

«Certo. Musica, luci, costumi, la scenografia in generale sono fondamentali e devono essere seguiti dal coreografo che ha in mente la sua opera e sa bene cosa deve trasmettere con ogni strumento. Secondo me questo minimalismo che si riscontra nella danza oggi è andato un po’ oltre. Questa ricerca dell’opera complessa, priva di musica, costumi, finisce con l’allontanare il pubblico, avvicinando solo lo spettatore che spesso finge di aver compreso il senso della coreografia. La meraviglia della danza è invece la sua semplicità per me, la sua spontaneità. La cultura Hip-Hop è molto più rilassata, più alla mano, spontanea.»

Spesso i tuoi spettacoli traggono ispirazione dal repertorio classico. Quanto può essere complesso riadattarli, dargli nuova vita con l’Hip-Hop?

«È difficile, davvero. Ma a me piace troppo. In realtà penso di essere diventata ballerina anche per il mio grande amore verso la musica, tutta. Tutto inizia da li. Parto dalla musica, mi lascio ispirare. E queste contaminazioni strane mi piacciono tanto.»

Quanto influisce la tecnologia oggi?

«Tantissimo. Oggi il coreografo è anche scenografo. La tecnologia mi permette di realizzare da sola i mix delle musiche, di ottenere degli effetti particolari attraverso i suoni o le luci. Riesco a mettere in risalto ciò che voglio.»

Puoi dirci qualcosa del prossimo saggio di fine anno?

«Quest’anno ho deciso di presentare sempre una parte tecnica. È giusto che i genitori dei miei allievi si rendano conto di quanto lavoro c’è dietro ad ogni spettacolo. Devono conoscere il lavoro svolto in sala. La seconda parte è invece una mia rivisitazione de “Il Piccolo Principe” che ho realizzato anche grazie all’aiuto del Teatro Stabile di Mascalucia che mi ha sostenuto e mi ha guidato. Si sono occupati diciamo della parte “teatrale” dello spettacolo.»

Danza, manifestazioni e comuni. Le porte sono aperte o chiuse?

«Se penso al mio paese, Mascalucia, mi rendo conto di come le cose siano cambiate rispetto a quando ero piccola. Una volta le porte per l’arte in generale erano davvero aperte. Mi piacerebbe vedere questo. Chiaramente per la danza in particolare vorrei che le porte fossero aperte e non socchiuse. Sarebbe bello organizzare manifestazioni, spettacoli, anche perché sul territorio sono presenti validissime scuole di danza che sarebbero disposte ad esibirsi. Mi auguro che in futuro si possa dare maggio risalto e importanza a chi come me lavora sul territorio e crede ancora nell’importanza e nel valore dell’arte.»

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