Nuova Delhi: i contadini indiani protestano

Nuova Delhi: i contadini indiani protestano

di Carlotta Costanzo

La Cina non è più la sola grande economia dei paesi orientali, al suo fianco si inserisce l’India spingendo la zona est del mondo tra le economie mondiali più forti. Cina e India, insieme, rappresentano circa il 35% della popolazione mondiale e muovono un enorme mercato basato soprattutto sul settore terziario e le esportazioni.

La politica “Make in India” di Narendra Modi si basa sul rendere il paese un hub nell’export (riporta ISPI) di strumenti militari verso l’Africa e l’America Latina. Tuttavia, se da un lato il governo indiano sta cercando di realizzare politiche volte al miglioramento del mercato nazionale, dall’altro non bisogna dimenticare che una larga parte della popolazione indiana ricava il proprio reddito dal settore primario, in particolare dall’agricoltura (secondo i dati di Repubblica il numero di famiglie dipendenti dal lavoro agricolo ammonta al 70%). 

Ed è infatti dal Punjab – il granaio dell’India – che sono sorte le proteste iniziate a settembre 2020. Tali proteste sono nate in seguito all’approvazione del Parlamento indiano di una riforma agricola che liberalizza il mercato agricolo: gli agricoltori indiani possono vendere ora a chiunque a qualsiasi prezzo, invece di essere obbligati a cedere i raccolti a depositi statali a un prezzo fisso (Repubblica, 27 novembre 2020).

Sembra quasi una bella notizia, ma i coltivatori della zona non sono affatto contenti. La loro paura, tramutata in protesta nelle strade verso Nuova Delhi, è mossa dall’idea che questa riforma, celata dietro parole di libertà, potrebbe portare i piccoli contadini a rincorrere i prezzi dettati dai colossi monopolistici. La liberalizzazione del mercato agricolo, infatti, smantella il vecchio sistema basato su un regime di prezzi concordato a tutela delle piccole e medie imprese. 

La protesta generata dall’approvazione di questa riforma non è solo conseguenza di incertezze nel settore economico, ma anche rappresentazione di pratiche democratiche poco trasparenti. Sembra, infatti, che l’approvazione della riforma in Parlamento sia avvenuta senza consultare i rappresentanti degli agricoltori. Alla riduzione dei processi democratici prima dell’approvazione, si aggiunge il regime repressivo nei confronti dei protestanti. Le mobilitazioni, partite sul web, sono state bloccate con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni, con un blocco immediato dei servizi Internet e con recinzioni attorno agli accampamenti dei manifestanti. 

Le sofferenze del paese sono il retaggio dei grandi fallimenti agricoli promossi durante il secolo scorso, mostrando l’inefficienza di un settore che è fortemente frammentato. 

New Delhi: Indian farmers are protesting

China is not the only big economy in the eastern countries anymore, India is on its side pushing the area towards the strongest global economies. China and India, together, represent almost 35% of the global population and move a huge market mainly based on the service sector and exports. Narendra Modi’s “Make in India” policy is based on making the country an export hub (says ISPI) of military tools toward Africa and Latin America. Nevertheless, if from one hand, the Indian government is trying to realize those policies aimed at improving national markets, from the other, we should not forget that a large majority of Indian population’s income derives from the primary sector, mainly from agriculture (according to Repubblica the number of families dependent upon agriculture amounts to 70%).

Therefore, on September 2020, protests emerged from the Punjab – Indian barn – just after the Parliament approved the agricultural reform which liberalized the agricultural market:

Now Indian farmers can sell to everyone at any price, instead of being obliged to give up their harvests to national deposits at fixed prices (Repubblica, 27th November 2020). 

It seems quite a good news, but farmers are not happy at all. Their fear, transformed in protests along New Delhi streets, is moved from the idea that this reform, hidden by words of freedom, could lead small farmers to run after monopolistic giants’ prices. Liberalization of the agricultural market, indeed, dismantles the ancient system based on a regime of concerted prices that protected small and medium enterprises. 

The protest emerged from this reform is not only the consequence of the uncertainties in the economic sector, but also a representation of unclear democratic practices. It seems, indeed, that the approval of the reform in the Parliament occurred without consulting agricultural representatives. To the reduction in the democratic processes before the approval, it is possible to add the repressive regime against protesters. The demonstrations, which started from the web, have been blocked with water cannons and tear gases, with a sudden block of the internet services and fences around protesters’ camps. 

The sufferings of this country are the inheritance of big agricultural failures fostered during the last century, thus showing the inefficiency of an economic sector which is sharply fragmented.

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