"Oltre il virus", il nuovo rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione. Dati e analisi sulla realtà carceraria

"Oltre il virus", il nuovo rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione. Dati e analisi sulla realtà carceraria

di Katya Maugeri

«La pandemia ha colpito duro anche il mondo del carcere. Da luogo chiuso per eccellenza si è trovato ancora più isolato dal mondo esterno». Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone racconta questo anno appena trascorso nelle carceri italiane. Un anno che ha rivoluzionato il modo di essere delle persone in libertà e quelle detenute.

Un anno di Covid che per i detenuti ha significato una pena ulteriore rispetto a quella che già stanno scontando.

È stato presentato nei giorni scorsi il XVII rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia, Oltre il virus, che fotografa perfettamente la condizione reale nelle carceri, tra fragilità, solitudine e soluzioni concrete da attuare.

«In alcuni casi la pandemia ha rappresentato anche un’occasione, ad esempio ci ha dimostrato che prevedere alternative alla detenzione in ampia misura non mina la sicurezza; che le dotazioni tecnologiche – tablet, cellulari, pc – non sono impossibili da gestire. Per questo bisogna guardare oltre la pandemia, per non tornare indietro ma, al contrario, andare avanti sulla strada di riforme che consentano al carcere di essere sempre più in linea con il dettato costituzionale».

Dall’inizio della pandemia 18 detenuti sono morti per Covid. I decessi fra il personale di polizia penitenziaria sono 10. Gli ultimi tre sono avvenuti nell’ultimo mese nel carcere di Carinola nel quale si era sviluppato un focolaio che aveva coinvolto detenuti e personale. Il numero degli attualmente positivi in carcere sul numero del totale dei detenuti è più alto dello stesso dato relativo all’Italia in generale in tutti e tre i mesi nei quali lo abbiamo calcolato, ovvero aprile 2020, dicembre 2020 e febbraio 2021.

Vaccini

Tra fine febbraio e inizio marzo è finalmente iniziata la campagna vaccinale nelle carceri italiane, anche grazie alle richieste provenienti dalla società civile e dai Garanti delle persone private della libertà. Di norma, prima viene vaccinato il personale (amministrativo e di polizia), successivamente i detenuti. Al 9 marzo 2021 i detenuti vaccinati erano 927. La campagna vaccinale ha preso il via, già a fine febbraio, in Friuli, Abruzzo (a L’Aquila), e Sicilia (a Catania).

Per quanto riguarda la Sicilia, anche negli istituti palermitani (Pagliarelli e l’Ucciardone) e in quello di Siracusa è iniziata la somministrazione al personale di polizia penitenziaria. Faranno seguito la popolazione detenuta e il personale amministrativo. In Calabria le vaccinazioni hanno preso il via nei giorni scorsi. In alcuni istituti si stanno somministrando i vaccini al personale amministrativo e a quello in divisa. In altri, come quello di Palmi, la somministrazione è iniziata anche per la popolazione detenuta. In Puglia e Campania l’avvio della campagna vaccinale è previsto per metà marzo.

Il sovraffollamento

Il sovraffollamento, da condizione oggettiva di trattamento degradante, è diventato anche questione di salute pubblica. Al 28 febbraio 2021 i detenuti erano 53.697. Erano 61.230 il 29 febbraio del 2020, a pochi giorni dalla scoperta del paziente zero di Codogno. L’Italia non era ancora in lockdown. Dunque in dodici mesi il calo è stato pari a 7.533 unità, corrispondente al 12,3% del totale. Una diminuzione che ha riguardato condannati e persone in attesa di giudicato in modo non troppo differente. Oggi la percentuale dei condannati è del 68%. Le persone che non hanno ricevuto neanche il primo giudizio sono pari al 16,5%

Suicidi in carcere

Sono 61 le persone che si sono tolte la vita all’interno degli istituti di pena italiani.

Nel 2020 tale tasso è risultato significativamente superiore agli anni passati, attestandosi a 11 casi di suicidio ogni 10.000 persone. Erano quasi vent’anni che non si registrava un numero così alto. Guardando l’età, vediamo come nella maggior parte dei casi si è trattato di persone giovani: l’età media delle persone che si sono tolte la vita in carcere nel 2020 è di 39,6 anni. La fascia più rappresentata – con quindici decessi – è infatti quella delle persone fra i 36 e i 40 anni, tristemente seguita da otto decessi di ragazzi con un’età compresa tra i 20 e i 25 anni. I più giovani erano due ragazzi di 22 anni morti a pochi giorni di distanza, uno a Benevento e l’altro a Brescia.

La persona più anziana era un uomo di 80 anni deceduto nel carcere di Cagliari. L’istituto dove sono stati registrati più casi di suicidio nel corso dell’anno è la Casa Circondariale di Como con tre decessi fra il mese di giugno e quello di settembre, seguono con due casi ognuno gli istituti di Benevento, Brescia, Napoli Poggioreale, Palermo Pagliarelli, Roma Rebibbia, Roma Regina Coeli e Santa Maria Capua a Vetere. 13 i morti dopo le rivolte. Un numero tragico che non ha precedenti nella storia repubblicana.

La tortura nelle carceri italiane 

Una parte del rapporto di Antigone è dedicata al reato di tortura, introdotto nel 2017 e ne ricostruisce nove casi. Il primo riguarda un agente penitenziario in servizio al carcere di Ferrara, condannato con rito abbreviato, lo scorso 15 gennaio.

I fatti risalgono al 2017, quando 3 agenti di polizia penitenziaria sono entrati nella cella di una persona detenuta nel carcere di Ferrara per una perquisizione. Mentre uno stava di guardia in corridoio gli altri due si trovavano all’interno. Uno di questi avrebbe fatto inginocchiare la persona detenuta per poi ammanettarla e pestarla. Il detenuto avrebbe reagito con una testata, che pagava poi con un ulteriore pestaggio. Gli agenti si sarebbero allontanati lasciandolo ammanettato in cella. L’agente condannato (a tre anni di reclusione) è l’unico ad aver optato per rito abbreviato per tortura. Gli altri due hanno optato per il rito ordinario. Subirà il processo anche un’infermiera della struttura, accusata di falso e favoreggiamento. Gli altri episodi citati, riguardano le strutture di San Gimignano, Torino, Palermo, MIlano, Melfi, Santa Maria Capua Vetere, Pavia e Monza.

Le donne delinquono poco

Secondo il Rapporto sono il 4,2%. Erano 2.250 le donne presenti negli istituti penitenziari italiani al 31 gennaio 2021, 27 delle quali con figli al seguito: solo il 4,2% del totale della popolazione detenuta. Le quattro carceri femminili presenti sul territorio italiano (a Trani, Pozzuoli, Roma e Venezia) ospitano 549 donne, meno di un quarto del totale. L’Istituto a custodia attenuata di Lauro, unico Icam autonomo e non dipendente da un carcere ordinario, ospita 7 madri detenute. L’associazione di stampo mafioso pesa sulle donne detenute per il 3%, mentre la percentuale sale al 5,7% se guardiamo alla popolazione reclusa generale. A fine 2020, erano 13 le donne sottoposte al regime speciale di cui all’art. 41 bis o.p. (l’1,7% dei 759 detenuti complessivi sottoposti a quel regime)

Sono 27 i bambini in carcere con le mamme

Al 28 febbraio 2021 erano 27 i bambini in carcere con le proprie 25 madri, 14 dei quali stranieri. Erano alloggiati nell’Icam di Lauro (8), nell’Icam affiliato al carcere di Torino (3), nel carcere femminile di Rebibbia (5), nelle carceri di Venezia (4), Salerno (3), Milano Bollate (2), e nelle carceri di Foggia e Lecce (un unico bambino per ciascuna delle due strutture). Siamo a uno dei minimi storici. Un anno prima i bambini in carcere erano 57.

Detenzione minorile

A metà gennaio 2021, erano 281 i ragazzi detenuti nei 17 Istituti penali per minori, 119 minorenni e i 162 giovani adulti. I giovani in Ipm costituiscono il 22% dei 1.276 che vivono in strutture residenziali della giustizia minorile e il 2,11% dei 13.282 in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni, tra questi 2.149 sono in messa alla prova.

Tra i 281 ragazzi in carcere a metà gennaio 2021, si contano 104 minorenni tra i 16 e i 17 anni, 118 giovani adulti tra i 18 e i 20 e 44 nella fascia 21-24. Gli italiani sono 158, gli stranieri 123.

Le ragazze sono 13 (4 italiane e 9 straniere), ospitate nelle sezioni femminili di Nisida e Roma e nell’unico Ipm tutto femminile di Pontremoli, con attualmente 8 donne. Sono 148 i ragazzi che hanno una sentenza definitiva, il 52,7% del totale, mentre il  20,6% è in attesa di primo giudizio.

L’emergenza Covid è stata affrontata con relativa facilità da quasi tutti gli Ipm. Molti istituti, però, hanno avuto difficoltà nell’organizzare la didattica a distanza. Diverse anche le modalità nelle quali si sono organizzati i video-colloqui tra ragazzi e familiari, ovunque garantiti.

La scuola interna e Università: l’educazione come stimolo contro la lotta alla recidiva

I detenuti che frequentano la scuola sono circa un terzo del totale. Nell’anno scolastico 2019/2020 gli iscritti erano 20.263 (il 33,4% del totale). E molti ne rimangono esclusi. Poco meno della metà (9.176) erano stranieri. Se entriamo nel dettaglio dell’offerta scolastica vediamo che una parte consistente della popolazione detenuta frequenta corsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana. Nel 2019/2020 vi partecipavano 4.820 persone detenute, poco meno di un quarto del totale degli studenti. Si trattava per l’88% di persone detenute straniere.

Gli iscritti al primo periodo didattico invece (scuole elementari e medie) erano 6.674 persone, un terzo del totale degli studenti. 3.963 di questi erano iscritti alle scuole elementari, 2.711 alle scuole medie. Alle scuole elementari gli stranieri erano il 60% del totale, alle scuole medie il 28%. Infine al secondo periodo didattico (scuole superiori) erano iscritti in 8.769, di cui il 20% erano stranieri. I promossi per il primo periodo didattico sono il 40% degli iscritti, mentre per il secondo sono oltre il 70%

La Conferenza Nazionale dei Delegati dei Rettori per i Poli Universitari Penitenziari, istituita presso la CRUI il 9 aprile 2018, rappresenta la formalizzazione del Coordinamento dei responsabili di attività di formazione universitaria in carcere. In questi anni un numero crescente di Università si è impegnato a garantire il diritto allo studio agli studenti detenuti o sottoposti a misure di privazione della libertà personale.

Sono attualmente 24 gli Atenei coinvolti, con attività didattiche e formative in poco meno di 50 Istituti penitenziari e circa 600 studenti iscritti, una fetta di popolazione detenuta minoritaria ma che cresce a ritmi sostenuti (raddoppiata tra il 2015 e il 2019), e che ha grandi ulteriori potenzialità di crescita, visto il numero di diplomati. Si tratta di studenti in parte coinvolti nelle attività dei 27 poli universitari presenti in carcere in pianta stabile, che si trovano in sezioni apposite, e in parte (nel 44% dei casi) iscritti all’Università senza che questa abbia poli appositi. Ad oggi gli studenti universitari sono distribuiti in 70 istituti penitenziari.

I costi del carcere

Il bilancio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) è cresciuto del 18,2%, passando da 2,6 a 3,1 miliardi: una cifra che batte tutti i record degli ultimi 14 anni, e che rappresenta il 35% del bilancio del Ministero della Giustizia. Il bilancio del Dipartimento di Giustizia Minorile e di Comunità (DGMC) è molto più contenuto: ad esso vengono assegnate meno di un decimo delle risorse del DAP. E si tratta di un sistema che deve occuparsi di minori, giovani adulti e ’area penale esterna. Il bilancio ammonta tratta di 283,8 milioni, 10 milioni in più rispetto all’anno scorso – e quasi 50 rispetto al 2017.

Personale penitenziario: mancano il 12% di agenti e il 18% di educatori 

Su un organico di 37.181 unità, ad oggi sono 32.545 gli agenti di polizia penitenziaria realmente operativi. La differenza fra personale previsto e personale effettivamente presente è pari al 12,5%: leggermente in aumento rispetto al 12,3% rilevato nel precedente rapporto (2019). La carenza di agenti rispetto all’organico non è però equamente distribuita a livello nazionale. Abbiamo provveditorati con un sotto organico superiore al 20%, come in Sardegna e in Calabria, e altri invece con un numero di unità effettive leggermente superiore al numero delle previste, come in Campania e in Puglia-Basilicata. Con un organico previsto di 896 unità, sono ad oggi 733 i funzionari giuridico-pedagocici effettivamente presenti negli istituti penitenziari. Il sotto organico totale è pari quindi a più del 18%, a fronte del 13,5% registrato a metà 2020. I provveditorati con carenze di organico più significative sono la Campania e l’Emilia Romagna- Marche.

Anche per quest’anno Antigone non rinuncia ad abbozzare alcune linee di intervento utili alla giustizia penale e penitenziaria: nel XVII Rapporto ne vengono elencate quattro: un nuovo Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario, più risorse per le misure alternative e per la giustizia di comunità, più risorse per modernizzare e migliorare la vita interna, più risorse da investire nel capitale umano. Affinché il carcere possa davvero educare e non punire.

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