“Pagine sparse… Storia e storie di Sicilia …Conoscere per Riconoscersi”

“Pagine sparse… Storia e storie di Sicilia …Conoscere per Riconoscersi”

CATANIA – Quest’ultima fatica letteraria di Salvatore Musumeci, dirigente scolastico e giornalista pubblicista. L’opera presenta un’originale storia della Sicilia e dei siciliani nello stesso tempo, che partendo dalle origini giunge al primo periodo dei Borbone. Dal Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia. Dal primo dopoguerra a Portelle della Ginestra e fino ai giorni nostri. Un excursus ricco, piacevole , trascinante, tra ethos popolare e religiosità, tra vicende avvincenti e folklore, in una terra, la Sicilia, che possiede una storia plurimillenaria che ha contribuito allo sviluppo identitario del popolo siciliano, una sorta di laboratorio d’esperienze storiche, prodromiche per uno sviluppo più attento e sostenibile sia di tutto il continente europeo sia dei paesi che insistono sulle coste del mar Mediterraneo. Lo scrittore Gesualdo Bufalino, si chiedeva “Quante Sicilie esistono?” e non poteva che rispondere: “Molte”. , come spiega Musumeci “Vero è che le Sicilie sono tante, non finiremo mai di contarle: vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava; vi è la Sicilia babba, cioè mite, fino a sembrare stupida e la Sicilia sperta, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode; vi è una Sicilia pigra e una frenetica, una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale e una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso d’abbagliato delirio…”. Di tutte queste Sicilie e dei molti modi d’essere siciliani Musumeci ha cercato di offrire un repertorio straordinario e coinvolgente, attraverso un testo di storia della Sicilia, ma anche di storie dei siciliani. Musumeci presenta al lettore una galleria di fatti e personaggi da leggere dall’inizio alla fine, o dalla fine all’inizio, o cominciando in un punto qualsiasi e prendendo qualsivoglia direzione, verso il passato o verso il presente. Una galleria di racconti dentro cui passeggiare, lasciandosi guidare solo dal piacere della lettura e della scoperta o riscoperta d’avvenimenti, personaggi, luoghi. Non manca l’indagine storica, ovvero la ricerca di quegl’indizi che possono comporre un quadro storico attendibile e condivisibile della Sicilia. Un’Isola, raffinata ma al contempo selvaggia, ammantata sia di tenebrosità sia di solarità, divisa tra ascetismo e paganesimo che quasi si fondono in un dualismo atavicamente inscindibile. In essa convivono tutte le contraddizioni: la violenza mista a una spiritualità incarnata; una sublime bellezza che spesso è stata deturpata nelle sue forme più armoniose; l’opulente ostentata ricchezza che coesiste con una tangibile miseria capace di pregiudicare seriamente la dignità morale o sociale d’un’intera comunità; una voglia di riscatto come reazione a un angosciante dolore vissuto sulla propria pelle. Essendo stati molti i popoli che l’hanno contesa, è diventata essa stessa un coacervo di religioni, usanze e quant’altro che l’hanno resa il centro propulsore di quella che, poi, è diventata la cultura che ha permeato l’intera Europa. Vi cuntu chiddu ca sacciu (vi racconto quel che so) con un “taglio” giornalistico e quasi romanzato, sempre supportato dalla ricerca archivistica e dalla lettura di autorevoli storici, noti e meno noti. Pagine sparse… Storia e storie di Sicilia, in realtà, raccoglie una serie di saggi, che seguono rigorosamente la linea del tempo, apparsi (nell’arco di oltre due lustri) sulla “terza pagina” del settimanale regionale Gazzettino di Giarre (oggi Gazzettinonline), su Effemeridi e su altre testate. Non avendo un carattere “accademico”, ma semplicemente divulgativo, è stato ridotto al minimo l’uso delle note, mentre i corsivi delle citazioni provengono dagli originali consultati. Sotto ogni titolo è presente un occhiello introduttivo, a volte, riporta un aforisma d’illustre autore, altre volte, (ove manca l’autore) è una nostra breve notazione. Spiega l’autore stesso: “In un periodo particolarmente problematico della mia vita, tra il 2016 e il 2017; per non deprimermi, sollecitato da diversi amici, in modo particolare dal collega Domenico Cacopardo (docente di Storia e Filosofia, che curato la presentazione dell’opera), ho cominciato a catalogare, ritoccare e scriverne di nuovi, tutti i miei saggi storici, per inserirli in uno o più volumi, che in realtà sono diventati quattro. L’idea l’avevo accarezzata da tempo poiché i lavori giornalistici finiscono sempre nell’oblio. Il desiderio imperante era di affidare la pubblicazione a un editore siciliano, competente di storia e coraggioso: l’ho trovato in Algra Editore. Poi, gli anni del covid ci hanno consentito di curare i volumi nei minimi particolari, corredandoli di foto provenienti dai migliori archivi fotografici pubblici e privati. Una particolare gratitudine va ai prefatori: Luigi Simanella, Nino Prastani, Orazio Mellia, Sr Ivana Sanfilippo Scimonella; alle correttrici delle bozze: Agata Donzuso e Carmelinda Villeri; a Zelinda Di Gricoli e a Mirella Pappalardo che coordinano l’organizzazione delle presentazioni dell’opera. Preziosissimi, ai fini di questo lavoro, sono stati il mio studio-biblioteca, i faldoni dei documenti rinvenuti negli archivi storici isolani e nazionali, dove mi ritrovo sempre la sera ad interrogare le mie fonti dirette e indirette. Soprattutto nelle ore notturne mi dedico alla riflessione e alla scrittura. La mattina presto, prima di recarmi al lavoro, rileggo quanto scritto precedentemente. Una scelta importante, che impone ulteriore studio di approfondimento e anche dei sacrifici. Perché? “In un’epoca di imperante globalizzazione è facile perdere la memoria del proprio passato, soprattutto se di esso si conosce ben poco. L’essere ‘cittadini del mondo’ non significa rinunciare alla propria identità, ma promuovere e coniugare positivamente le diversità. Purtroppo, una damnatio memorie impera da oltre 160 anni sulla Sicilia e i siciliani, consolidando l’assunto che l’Isola sia sempre stata una colonia con un popolo incapace e sottomesso. Di conseguenza è risultato facile ridurre i lemmi Sicilia e siciliani a sinonimi di povertà economica, culturale e spirituale; arretratezza; sottosviluppo; assistenzialismo… e se poi si aggiunge mafia e mafiosità, non rimane più nulla di salvabile. Per cancellare un popolo basta togliergli la lingua parlata e la memoria storica: perderà l’indentità e l’orgoglio di essere. Infatti, abbiamo perso tutto! Siamo stati deculturalizzati, desicilianizzati e colpevolizzati; e tutto ciò è avvenuto con la complicità della classe politico-dirigente siciliana. Come spiega il giornalista Pino Aprile (nel suo Terroni, ed. Piemme 2010): ‘È accaduto che i meridionali (nel caso nostro, i siciliani) abbiano fatto propri i pregiudizi di cui erano oggetto. E che, per un processo d’inversione della colpa, la vittima si sia addossata quella del carnefice. Succede quando il dolore della colpa che ci si attribuisce è più tollerabile del male subìto. Così, la resistenza all’oppressore, agli stupri, alla perdita dei beni, della vita, dell’identità, del proprio paese, è divenuta vergogna’. Verosimilmente, proprio per nascondere questa presunta ‘vergogna’ – continua lo scrittore – abbiamo preferito studiare (leggasi: siamo stati costretti), la storia scritta dai vincitori – su manuali pubblicati altrove –, relegando la storia della nostra Isola nel dimenticatoio, quasi come atto d’abiura identitaria. Dopo il 1860, i siciliani abbandonarono subito le grandi speranze suscitate dalla ‘invasione’ e dalla successiva e incondizionata annessione al Regno del Piemonte. Si accorsero, presto, che le speranze riposte nelle nuove etichette politiche si rivelavano per quelle che effettivamente erano, e cioè, etichette straniere nuove appiccicate ai soliti e vecchi vasi, e in una logica gattopardiana era proprio necessario che tutto cambiasse affinché tutto restasse come prima. La stessa cosa è accaduta all’indomani della promulgazione dello Statuto Siciliano (15 maggio 1946), vero patto tra la Sicilia in armi contro lo Stato italiano, concesso solamente per fugare una possibile secessione e non per migliorare le sorti politico-economiche dell’Isola. Non si spiegherebbe altrimenti la mancata emanazione dei decreti attuativi – riguardanti soprattutto gli articoli più sostanziali –, che attendiamo da ben 77 anni. E, guai a parlarne… si viene subito tacciati di eresia! Mi auguro che l’intreccio storico costruito da vite di uomini, da fonti documentali e bibliografiche, risulti avvincente e dia, nel contempo, a ciascun lettore le risposte più ‘interattive e immediate’ sui grandi personaggi e sui fatti salienti della storia di Sicilia, dalle origini e fino ai giorni nostri e con uno spazio dedicato alla Cultura popolare, alla religiosità e al folklore.” I volumi Storia e storie di Sicilia, ponendosi in sintonia con la ratio della Legge Regionale n. 9, del 31 maggio 2011, “Promozione, valorizzazione ed insegnamento della Storia, della Letteratura e del Patrimonio Linguistico siciliano nelle scuole”, rappresentano un sussidio per docenti e s sussidio per docenti e studenti e per quanti hanno voglia di “conoscere per riconoscersi”. Turpe est in patria vivere et patriam ignorare, (Plinio il Vecchio). Nel primo tomo vengono sviscerate le storie intrecciate di grandi protagonisti come Fenici, Greci e Romani . (…) Particolarità dei greci di Sicilia, così come anche nella comune terra d’origine, era il frequente dissidio fra loro stessi e le conseguenti guerre fra le città siceliote. Se, infatti, esse trovavano spesso una certa convergenza e compattezza per combattere contro i comuni nemici, per il resto erano sovente in lotta fra di loro. Per tale motivo non riuscirono mai a unificare l’isola in un solo grande Stato, preferendo le “Città-Stato”. Sicelioti e cartaginesi furono in guerra quasi permanentemente. I sicelioti fecero di tutto per conquistare le terre d’occidente e similmente i cartaginesi provarono sempre a conquistare le terre d’oriente. Questo interminabile conflitto durò circa 300 anni. Particolarmente celebre è rimasta nella storia la battaglia di Imera (480 a.C.), un vero trionfo per i sicelioti che, nel trattato di pace, imposero ai cartaginesi l’abolizione dei sacrifici umani, presenti nei loro riti religiosi. Intanto, per la prima volta nella storia della Sicilia, il principe Ducezio (Noto, 488 — Caronia, 440) provò a creare una federazione tra le città dell’isola sotto la guida d’un solo re costituzionale. Egli dominò la scena politica e militare per più di 10 anni e fu l’antesignano di tutti coloro che, nei secoli e nei millenni futuri, avrebbero promosso iniziative per fare della Sicilia uno Stato sovrano e un territorio a disposizione solo dei siciliani. Morto Ducezio, ogni città tornò nel proprio particolarismo e la Sicilia fu nuovamente esposta alle ambizioni degli stranieri. La coscienza della comune patria siciliana ricominciò a germogliare circa vent’anni dopo, soprattutto nella parte orientale dell’isola, quella culturalmente più evoluta. A Gela, considerata storicamente la prima “capitale” della Sicilia, nell’anno 424 a.C., si tenne il congresso costituente d’una federazione tra tutte le città dell’isola per stabilire una pace stabile e per creare un esercito comune contro le aggressioni nemiche. Lo stratega siracusano, Ermocrate, tenne per l’occasione un discorso memorabile, che sanciva l’identità nazionale del popolo siciliano(…). Nel terzo tomo il doloroso eccidio di Portella della Ginestra, che cambiò la storia d’Italia. (…) La rilettura dei fatti di Portella della Ginestra, considerato ciò che è emerso dall’analisi dei recenti documenti americani desecretati, secondo l’autore, ci porta a concludere che quanto per tanti anni si è dato per scontato non è più credibile. Ciò rende doveroso un severo accertamento sulle complicità e sulle responsabilità che determinarono tanti delitti. In realtà, la strage di Portella della Ginestra e la serie di attentati che la seguirono assumono via via i connotati di una “Strage di Stato”. Di uno Stato, la cui sovranità viene limitata e calpestata dalla prevaricazione dei Servizi Segreti degli Stati Uniti, interessati più che mai a tutelare la loro leadership sull’area mediterranea. In questo quadro di squallidi intrecci tra politica, mafia, Servizi Segreti Italiani e Americani, si esaurì l’avventura del bandito Salvatore Giuliano, che a soli 28 anni non poteva comprendere la pericolosità del grande gioco nel quale era stato coinvolto, non già come protagonista, ma oggetto d’una trama che veniva da lontano. Fu ucciso a tradimento, secondo la versione ufficiale, nella notte tra il 4 e il 5 luglio 1950. Di fatto, Giuliano venne assassinato almeno 24 ore prima che il suo cadavere fosse portato nel cortile dell’avv. Gregorio Di Maria a Castelvetrano, dove il capitano dei carabinieri Antonio Perenze, sotto l’abile regia del colonnello Ugo Luca, inscenò il falso conflitto a fuoco. (…) Gaspare Pisciotta, detto Aspanu, condannato ingiustamente pur essendo estraneo ai fatti di Portella, a sua volta venne avvelenato nel carcere di Viterbo il 9 febbraio 1954, dopo aver preannunciato clamorose rivelazioni sui mandanti della strage. Eliminato il luogotenente di Giuliano, seguì una serie di morti misteriose. Nell’arco di un decennio, furono assassinati o si suicidarono tutti i depositari dei segreti di Portella della Ginestra. (…) Alla richiesta di verità fu contrapposta l’ “Omertà di Stato”, che da quel momento avrebbe influito nella vita della nascente Repubblica, consolidando la machiavellica “Ragion di Stato”, in nome della quale si può fare qualsiasi cosa. Inevitabilmente, l’uccisione di Giuliano e l’inchiesta sulla strage di Portella vennero subito dichiarate “Segreti di Stato”. Infine nel quarto tomo, Musumeci spiega perché la “Sicilia è la chiave di tutto!”( Nonostante l’integrazione del modo di vivere e del costume nel progressivo appiattimento generalizzato della società contemporanea, religiosità, arte, usanze e tradizioni rimangono elementi determinanti per la conoscenza dell’isola e dei suoi abitanti. Si conserva ancora nella vita del Popolo Siciliano un peculiare folklore identitario che, attraverso espressioni molteplici, riecheggia le mescolanze d’antichi popoli e gli incroci di etnie diverse. Il continuo inserimento di nuove civiltà ha creato una sedimentazione di credenze, riti, modi d’essere, canti, che, tramandati per lo più oralmente, testimoniano il vasto patrimonio di cultura popolare diversificato, ma convergente, nei tratti essenziali delle differenti aree geografiche isolane. In Sicilia, religiosità e folklore sono vissuti in tutte le loro manifestazioni. In essi si fondono e s’intrecciano fantasia e realtà, paganesimo e cristianesimo, superstizione e incredulità, gentilezza e prosaicità, mondo antico e mondo moderno. Tutto è storia nella religiosità e nel folklore dei siciliani. I normanni infusero nel popolo uno dei sentimenti più forti e radicati: il senso della cavalleria che, ancora oggi e soprattutto con l’Opra dei Pupi e con la decorazione dei carretti, genera espressioni artistiche d’insospettata potenza e rara raffinatezza. Le multiformi tradizioni popolari sono, nella più parte, chiari esiti dello stratificarsi di culture diverse: greca, latina, bizantina, araba, normanna, francese, spagnola, le quali nel tempo hanno connotato l’etnos di vere e proprie giustapposizioni sincretiche. Col diffondersi del cristianesimo, alle formule indicanti divinità e azioni da esse compiute, se ne sostituirono altre aventi come personaggi i Santi e la Sacra Famiglia o Dio stesso. Da qui il popolo, non distinguendo fra preghiera – che è soltanto un’invocazione a Dio o a un Santo – e scongiuro – la cui recita, secondo credenza, determinerebbe ciò che l’individuo desidera – chiama anche gli scongiuri preghiere, laddove essi tali non sono. (…) Le sovrapposizioni di culture diverse emergono pure nel dialetto, non tanto in quello letterario (vera e propria lingua), quanto in quello parlato che si rifrange nelle molteplici vulgate, a parte le vere e proprie “isole” linguiste greco-albanese e gallo-italica. (…)

La foto Salvatore Musumeci, è dello Studio Fotografico Russotto – Zafferana Etnea

Mario Pafumi

Send a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *