Parlateci dell'amore

Parlateci dell'amore

di Erica Donzella
editor e scrittrice

Credo che uno dei libri più coraggiosi della storia della letteratura sia La verità, vi prego, sull’amore, scritto da W.H. Auden. Una raccolta di poesie – in Italia pubblicata da Adelphi – che passa in rassegna l’amore nella sua tenerezza e nella sua terrificante illusione. Non voglio entrare nel merito di questo libro che ho letto anni fa: basti solo immaginarmi studentessa universitaria, seduta all’ombra di un albero e abbastanza disillusa. Quanto possono essere pericolosi alcuni libri. Dopo una serie di sigarette insieme a Auden, decisi di troncare una storia che si trascinava malamente da mesi.

Galeotto fu il libro.

Il punto della questione che mi porta a ragionare, e a scrivere di conseguenza, è stato nutrito da un articolo letto pochi giorni fa: non parliamo più d’amore, ne scriviamo sempre meno, ce ne vergogniamo parecchio. A fronte di una narrazione totalmente succube della contemporaneità, della performatività mediata dai social e della pretesa egoica di essere costantemente al passo con qualsiasi tipo di polemica, ci siamo scordati dell’amore (o cerchiamo di nasconderlo molto bene). Scherzi? Il mondo si scioglie, i fascismi tornano in auge, le persone muoiono in mare, e tu vorresti concederti il lusso di parlare d’amore? Io credo che buona parte dei problemi della società contemporanea derivi anche da un isolamento emotivo, da un mancato nutrimento del “sé” – del tutto lecito dannazione, siamo essere umani – da questo senso di colpa che proviamo rispetto all’essere vivi. Non voglio qui parlare di amore in stile Harmony (meravigliosi anni ottanta) o dell’ossessione romantica del desiderare a tutti i costi che la nostra esistenza venga costellata necessariamente da un legame indissolubile con qualcuno. Siamo diventati aridi e cinici – per carità, capisco sia complesso sentirsi in armonia con l’altro se nel frattempo mi devo difendere da razzismo, omofobia e fascismo –, e parlare d’amore nei confronti del mondo risulta quasi rivoluzionario. Ma non è forse questo il limite che ci ha spinti sin qui? 

Non amiamo l’ambiente, non amiamo il prossimo – lo scrivo da atea –, non abbiamo nessuna coscienza dei processi umani che ci hanno portato in questo scenario pre-apocalittico. Non abbiamo coscienza di come ci stiamo in questo universo liquido. E se per molto più di un attimo e a voce alta riconsiderassimo il valore incredibile dell’amore? Non sarebbe ancora Rivoluzione? Non sarebbe ancora e sempre Resistenza? Se smettessimo di vergognarci, se andassimo dalla persone che amiamo e glielo dicessimo, se abbracciassimo di più i nostri figli e i nostri genitori, se avessimo il coraggio di scusarci per i nostri errori e se tutto questo fosse nutrito dalla consapevolezza che non c’è nessun peccato originale da scontare, non saremmo molto più centrati rispetto all’immobilità che ci incattivisce e che dà vigore alla paura?

Parlateci dell’amore, vi prego, scriviamone e discutiamone, per resistere e per considerare ancora l’idea – legittima e necessaria – che in fondo non abbiamo niente di più vero.

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