Portiamo a Milano l'apertura mentale dei catanesi. La sostenibilità è la nuova sfida per le imprese italiane

Portiamo a Milano l'apertura mentale dei catanesi. La sostenibilità è la nuova sfida per le imprese italiane

di Saro Faraci

Merita un approfondimento il rinnovato interesse e la crescente attenzione delle imprese verso il tema della sostenibilità. E non soltanto perché é il tema clou nell’agenda politica delle Nazioni Unite e di molti Paesi, oppure perché é il monito ricorrente di Papa Francesco in tutti gli appelli pubblici per salvare il pianeta.

Le imprese che investono oggi nella sostenibilità sono molto apprezzate dai mercati e hanno più lunga vita rispetto a quelle che prendono alla leggera questo tema. Ne abbiamo parlato con l’ingegnere Angelo Freni, 60 anni, che tra Milano e Catania vive, come lui stesso ci dice, «con la passione per un mondo sostenibile per me e per gli altri»

«Vengo dal mondo industriale, dai grandi impianti per la precisione, in cui prima da dipendente, poi da imprenditore, facevo “l’ingegnere vero” che costruiva centrali elettriche e sottostazioni. Poi ho deciso di rendere sostenibili le imprese italiane, facendole crescere con il concetto della “spinta gentile”, con le splendide certificazioni ISO fatte dai miei due enti di certificazione. Oggi sono cosciente di dover fare ancora tanto lavoro»

– Lei è stato uno dei pionieri nella certificazione di qualità, quando ancora questo termine non era entrato nel lessico delle aziende e delle organizzazioni. Cosa l’ha spinta allora ad abbracciare questo campo di attività professionale?

«La scelta di fare le prime certificazioni di qualità – le ISO 9001 per intenderci – nasce con l’intento di “aiutare” nel far fare prodotti/servizi “compliant”, cioè conformi ai requisiti espressi o impliciti dei consumatori e degli utilizzatori. All’epoca, era il 1994, non avevo ancora ben chiaro che si trattava di una forte spinta alla sostenibilità di governance e sociale»

C’è qualche risultato professionale che ricorda con più soddisfazione di quegli anni?

«Si certo. Aver aiutato aziende agroalimentari ad aprire nuovi mercati con le certificazioni ISO, aiutando il leader a definire il proprio perché, e ad analizzare il contesto in modo proficuo per la Famiglia dell’Imprenditore e per i dipendenti»

Dalla certificazione dei prodotti delle attività manifatturiere si è poi passati a quella dei processi nelle aziende di servizi. Quali sono gli ostacoli che ha maggiormente riscontrato in questo campo?

«La componente immateriale del servizio ha giocato un ruolo importante nelle difficoltà che le aziende hanno avuto con la certificazione. Solo quando si è riuscita a gestirla, la certificazione ha consentito di ottenere risultati tangibili, anche in termini di EBITDA (“utili prima degli interessi, delle imposte, del deprezzamento e degli ammortamenti”, n.d.r.)»

A proposito di certificazione, è possibile sperimentare un percorso, eventualmente anche a livello legislativo, per certificare il cosiddetto “made in Sicily” in modo da assicurargli maggiore tutela anche a livello internazionale? Penso a tanti settori dell’agroalimentare, ma anche alle produzioni artigianali.

«Qui rischio di essere lungo, essendo una mia passione. Ho una grande esperienza nella certificazione “food Italy” (materia prima italiana, lavorazione fatta in Italia, no OGM), che noi attuiamo da diversi anni. Ci siamo scontrati con forti pressioni perché in alcuni settori non amano tutta questa trasparenza»

Qualche risultato concreto?

«Coloro i quali sono stati certificati (le piccole imprese) hanno avuto “spalancato” il mercato internazionale, con ottimi risultati di vendita. È auspicabile che si possa certificare il “made in Sicily”, strumento dirompente sul mercato sia nazionale che internazionale, a vantaggio proprio dei ns. piccoli artigiani che fanno la vera eccellenza agroalimentare e non»

Di recente lei ha intrapreso un’altra strada a livello professionale, la certificazione della sostenibilità delle imprese. In generale, parlo a livello Paese, c’è consapevolezza della gente sull’importanza dei temi della sostenibilità, di cui ha parlato persino Papa Francesco nella sua prima Enciclica Laudato Si’?

«Oggi non si può non tener conto della sostenibilità, se vogliano fare impresa in questo mercato con contesto estremamente mutevole. Per noi sostenibilità significa compliance agli aspetti di sostenibilità ESG (environmental social governance), che sono a loro volta correlati ai requisiti delle norme ISO applicabili (es. per l’environmental alla ISO 14001 e alla ISO 50001), agli SDGs (obiettivi di sostenibilità) dell’ONU e ai GRI Standards internazionali»

– Sembrano modelli di aziende ideali, non reali. Se ne trovano in giro?

«Vi assicuro che trovare aziende che siano allineate è ancora difficile, ma quelle che si sono certificate con noi, con dati rilevati al 30 ottobre 2020, hanno avuto, rispetto al 2019, performance migliori dal 33% al 42%, proprio durante questo periodo pandemico. Le persone oggi sono consapevoli dell’importanza della sostenibilità e sono anche disposte a pagare di più per aver prodotti con questa caratteristica immateriale: ad esempio sono disposti a pagare il latte qualche decina di centesimi in più per averlo da allevamento sostenibile e da azienda agricola sostenibile»

Il termine sostenibilità richiama anche i 17 obiettivi SDGs delle Nazioni Unite. Questi obiettivi, secondo Lei, sono meglio declinabili a livello Paese o di un territorio, o si possono declinare anche nelle imprese e nelle organizzazioni?

«Le imprese possono fare molto in termini di SDGs, per la loro attività diretta e indiretta sul territorio. È chiaro che a livello Paese dobbiamo orientare le scelte in termini di sostenibilità; le imprese sono disposte a fare la loro parte. Noi con la certificazione della sostenibilità assegniamo alle aziende i singoli SDG, fornendo anche una misura alla data dell’audit. Inoltre, tenendo conto dei risultati complessivi sui 17 SDGs, assegniamo un ESG Rating su una scala comprensibile ai più (da “D” azienda non sostenibile a “AAA+” azienda sostenibile)»

Andiamo alla certificazione della sostenibilità nelle imprese. In cosa consiste? Ci sono riferimenti normativi? 

«La nostra certificazione della sostenibilità è oggettiva, perché basata sui requisiti delle norme ISO accettati a livello mondiale. Nessuno oggi potrebbe contestare ad esempio, una valutazione sull’aspetto environmental supportata da una certificazione ISO 14001 sotto accreditamento. Inoltre, il cross reference attuato con gli SDGs e i GRI Standards consente alle imprese di fare una rendicontazione non-finanziaria inattaccabile, perché valutata e certificata da una terza parte indipendente»

– Ci sono alcuni settori che l’hanno abbracciata prima degli altri?

«I settori che hanno abbracciato immediatamente la sostenibilità sono: l’agroalimentare (latte, carne, formaggi), il settore dei servizi “global service” ed il settore degli integratori alimentari»

Ci può raccontare qualche caso che lei recentemente ha seguito direttamente?

«Si, sono tre eccellenze per la produzione di latte da allevamento sostenibile (sia della filiera del Grana Padano che del Parmareggio). Ubicate in Lombardia e in Veneto hanno scelto di misurare le emissioni di CO2, stabilendo strategie di riduzioni delle emissioni, investendo in tecnologie sostenibili e meno intensive nell’emissioni di CO2. Hanno scelto inoltre di introdurre efficaci sistemi di sicurezza sul lavoro, di garantire la salubrità e sicurezza alimentare dei loro prodotti; con l’introduzione di soluzioni innovative e brevettate, hanno scelto di ridurre l’impatto ambientale delle attività produttive e l’uso di prodotti chimici inquinanti, e di investire in innovazione per sviluppare tecnologie nuove, che abbiano impatto positivo sulla popolazione»

Un dubbio aleggia sempre nella testa dei più critici. Ma non è che alcune imprese stiano sposando la logica della sostenibilità perché è un po’ di moda?

«Alcune imprese fanno un’attività che noi chiamiamo greenwashing, cioè si danno una “pittura di verde” nelle comunicazioni verso terzi, in modo da far ritenere ai più, che l’azienda è sensibile ai temi ambientali, sociali e di corretta governance. Questo lo fanno perché presentare l’azienda e/o i propri prodotti come sostenibili, consente di aumentarne la reputazione oltre che la vendita, ad un prezzo maggiore»

– Ma prima o poi queste aziende saranno smascherate.

«Esatto. Oggi queste bugie hanno le gambe corte ed i clienti/consumatori sono perfettamente in grado di comprendere se questo sia vero o no. Di fatto il greenwashing diventa un’arma che si ritorce contro l’azienda stessa, creandole una perdita reputazionale tale da danneggiarla nel mercato. Le aziende che attuano la vera sostenibilità, la hanno “incorporata” nella loro mission (che noi chiamiamo politica), ed è il modello con cui operano per fare business; e lo fanno … come EBITDA docet!»

Se un’azienda si “riconverte” pienamente alla sostenibilità, secondo Lei è opportuno che faccia il passo di avviare la trasformazione in società benefit, una nuova forma giuridica d’impresa?

«Un’azienda sostenibile (certificata sostenibile) è già di fatto una società Benefit; ha già oltre agli obiettivi di profitto (sostenibilità economica/finanziaria), lo scopo di avere un impatto positivo sulla società (sostenibilità sociale) e sulla biosfera (sostenibilità ambientale), che va al di là del passaggio formale di trasformare la propria forma giuridica da quella di società for profit a ‘società Benefit’. Attualmente non ci sono vantaggi concreti per le Benefit, cosa diversa per le sostenibili che, con la certificazione della sostenibilità capitalizzano un valore immateriale che si ripercuote nella valutazione d’azienda (ad es. per l’acquisizione da parte dei fondi d’investimento), sull’accesso ai capitali, sulla riduzione di rischio per l’ente finanziario (quindi sul pagare meno il costo del denaro). Inoltre, la sostenibilità apre nuovi mercati e consente di arrivare a nuovi segmenti di clientela a vantaggio di migliori performance dell’EBITDA»

In tempi di Covid-19, come quelli attuali, le imprese sono in grande affanno, alcune rischiano di chiudere. In che modo, secondo Lei, è possibile fronteggiare la crisi e prepararsi a tornare alla normalità?

«Io sono un inguaribile ottimista e penso che le aziende debbano utilizzare questo periodo per prepararsi … a cosa? Ad un boom economico che avremo, come la storia ci insegna, dopo questo periodo pandemico-recessivo. E quale strada maestra devono seguire? Quella dettata dai tre megatrends: innovazione (di prodotto, di processo e di sistema), trasformazione digitale e sostenibilità. Alcune aziende da noi certificate sostenibili, hanno reinventato il prodotto/servizio facendo innovazione, modificando il processo anche introducendo la digitalizzazione, mettendo al centro del loro “perché” (del loro scopo) la sostenibilità. In tal modo stanno fronteggiando questa recessione, ma soprattutto si stanno preparando a fronteggiare gli effetti importanti sull’economia che avrà il prossimo Black Swan (Cigno Nero … effetto imprevisto) che è il Green Swan (cigno verde) che tutti conosciamo col nome di cambiamento climatico»

Lei è da sempre un fautore della formazione continua e svolge attività di formatore. In tema di sostenibilità per le imprese, quali sono attualmente i temi che interessano maggiormente imprenditori e manager?

«Senza alcun dubbio temi come la leadership di sostenibilità, il modello di business ISO che produca risultati sostenibili, l’XCHART (modello per rappresentare obiettivi a 3 anni – 1 anno), il controllo di gestione semplice per la sostenibilità economica/finanziaria, la corretta pianificazione fiscale ed gli aspetti ESG per raccogliere capitali per lo sviluppo d’impresa»

Ultima domanda. Milano versus Catania. Lei conosce professionalmente entrambe le realtà territoriali, così differenti fra loro. Cosa potrebbe imparare l’ecosistema milanese da Catania e viceversa quello catanese dalla capitale economica e finanziaria del Paese?

«Milano dovrebbe acquisire l’apertura mentale dei catanesi, dotati di estro creativo ed innovazione; di contro Catania, dovrebbe acquisire la metodicità lavorativa e l’orientamento al raggiungimento degli obiettivi dei milanesi. Io ho la fortuna di lavorare in queste due città, e vi assicuro che mettere insieme questi due mondi, fa emergere il meglio del nostro Paese: gli Italiani»

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