Psicofarmaci: dipendenza e male di vivere

Psicofarmaci: dipendenza e male di vivere

di Andrea Bruzzi
educatore comunità Eden – Il Delfino

Nella storia della stragrande maggioranza dei tossicodipendenti, la presenza di benzodiazepine compare spesso e con costanza, impregnando lunghi periodi della loro storia clinica. Oggi la loro diffusione è talmente vasta ed omogenea da interessare ambiti e categorie di individui che possono spaziare dall’area delle dipendenze da sostanza al clinico/medico ed alla sfera privata. Indubbiamente, il loro utilizzo risulta essere curativo pur non essendo somministrabili- sulla carta- per lunghi periodi, poiché la grande controindicazione di queste molecole è la dipendenza che essa genera in coloro che le utilizzano, motivo per il quale- da protocollo- vengono somministrate per periodi molto circoscritti e con cautela. La comparsa delle benzodiazepine sul mercato farmaceutico, la dobbiamo al Valium (diazepam) nel 1960, pur considerando che pochissimi anni prima era stato già commercializzato con il nome di Librium. Il suo utilizzo entrò rapidamente nell’immaginario collettivo come panacea per i disturbi di ansia non meglio generalizzati. Le molecole di benzodiazepine sono state utilizzate nel corso dello sviluppo medico, anche per il trattamento dell’insonnia e come rilassanti, ma nel campo delle dipendenze da sostanze stupefacenti il loro ruolo cambiò molti equilibri- in chiave positiva e negativa-.
La loro interazione funge da complemento con l’ambito terapeutico/farmacologico alla gestione di sintomi di craving ed astinenza ed inoltre spesso vengono utilizzate come collante tra lo scalaggio di un farmaco e l’approccio all’interruzione ragionata e programmata di una terapia sostituiva.

La grande difficoltà nella gestione delle stesse è data dalla loro duplice natura: da un lato quella di dare effetti molto repentini sui sintomi, dall’altro quello di produrre assuefazione e dunque abuso/tossicomania in modo importante. Nello specifico, la gestione di benzodiazepine per il trattamento di ansia o stati tossicomanici, produce a seguito di lunghi periodi di assunzione, stati di alterazione della percezione e di cattiva gestione del controllo di impulsi dovuti alla falsa sensazione di benessere che induce il cervello a reputare fondamentale  l’assunzione di benzodiazepine pur in assenza di sintomi duraturi: questo si verifica poiché il cervello si abitua, quasi fosse memoria muscolare o percettiva, al benessere indotto dalla somministrazioni iniziali. Si verifica così una sorta di abitudine/dipendenza all’effetto prima che alla prospettiva risolutiva del problema. Da questo, si evince quanto le benzodiazepine possano avere capacità attrattiva nei confronti di soggetti con deficit di dipendenza e quanto questo potere ammaliante, unito all’effetto di assuefazione possa condurre il tossicodipendente ad un parziale e duraturo blocco della capacità critica di gestire l’assunzione.

La conseguenza è che farmacologicamente, le benzodiazepine diventano brevemente una dipendenza esse stesse, con il risultato che individui assuntori di oppiacei o droghe classiche virano, variano, trasferiscono il loro interesse patologico semplicemente su una nuova “sostanza”. Generalmente la familiarità delle benzodiazepine è tale da rientrare nel gergo con il nome (molto generico ma indicativo di quanto estesa e vasta è la loro area di intervento) di psicofarmaci. L’abuso di benzodiazepine induce ad effetti collaterali molto consistenti, tra i quali perdita di memoria, alterazione psicofisica, variazione dell’umore, stati soporosi, percezione della realtà alterata, disturbi di memoria, irritabilità e generalmente dolori muscolari, crampi e ansia generalizzata.

La correlazione tra stati di ansia, tossicodipendenza e diffusione delle benzodiazepine, è dunque, molto influenzata dalla loro grande capacità attrattiva a livello sensoriale e psicologico, ma il grande problema resta la frequente leggerezza con cui vengono prescritte, la diffusione nel sottobosco del mercato nero e la sensazione di diffondere un farmaco universalmente atto a lenire disturbi che non hanno spesso un filo comune chiaro e definito, ma appunto generalizzato, senza dimenticare che le stesse in condizioni di abuso possono aumentare tendenze suicidarie, depressione, la stessa ansia vanificando dunque il principio iniziale del farmaco.

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