Raccontare la "pandeconomia" del Paese al tempo del coronavirus tra crisi e speranza

Raccontare la "pandeconomia" del Paese al tempo del coronavirus tra crisi e speranza

di Saro Faraci

E’ iniziato l’ultimo mese di questo annus horribilis. Un anno quasi interamente segnato dalla pandemia e dall’emergenza sanitaria, economica e sociale che è conseguita alla diffusione del coronavirus.

Con molta onestà intellettuale, stante la situazione attuale, cosa ci attenderà nei prossimi mesi non è dato saperlo. Nonostante l’attenuarsi dei provvedimenti di restrizione alla mobilità delle persone, la seconda ondata di pandemia non è ancora finita. La situazione degli ospedali rimane sempre critica.

E’ sempre incombente il rischio di una terza ondata. Soprattutto se nel periodo delle imminenti festività natalizie, si ripeteranno comportamenti più leggeri e disinvolti, come è accaduto durante l’estate scorsa.

La quantità di informazioni, spesso contraddittorie fra loro, che ci piovono addosso giornalmente non favorisce sempre la capacità di discernimento.

Il mondo dell’informazione

Eppure il giornalismo gioca un ruolo importante nella corretta informazione su fatti ed eventi. Anche il giornalismo specializzato ha la sua valenza.

Ad esempio, come raccontare l’economia del Paese in tempi di Covid? Come provare a spiegare che, nella complicatissima gestione di questa pandemia, il nostro come gli altri governi dei principali Paesi occidentali stanno provando a  raggiungere un difficile equilibrio fra salute dei cittadini ed economia dell’intero Paese? E alla ricerca di questo equilibrio fra salute ed economia sono sempre in affanno nel tutelare la prima e preservare la seconda?

In che modo descrivere ciò stanno vivendo le imprese in questo momento, soprattutto le piccole e piccolissime che rappresentano da sempre il tessuto vitale dell’economia italiana? E via discorrendo.

Su questa testata, nella sezione economia del giornale, in questi mesi abbiamo provato a descrivere da molteplici punti di osservazione la “pandeconomia”, se ci è consentito usare questo termine prendendolo a prestito dal libro di Tonino Perna.  Guardando ora all’oggettività della crisi, ora alle aspettative di speranza.

La crisi

Con l’aiuto di tantissimi report e studi pubblicati da centri di ricerca ed associazioni di categoria, analizzandone attentamente i contenuti, abbiamo seguito l’evoluzione dell’impatto dei primi provvedimenti di lockdown sulle imprese.

Districandoci tra tanti numeri, talvolta non precisi, abbiamo letto la crisi delle imprese in termini di redditività, fabbisogno di liquidità e capacità di garantire sia i livelli occupazionali che quelli produttivi.

Analizzando i provvedimenti di sostegno all’economia varati via via dal Governo, abbiamo provato a capire se c’è stato effettivamente un effetto di mitigazione della dura crisi che ha colpito imprese.

Il dilagare della seconda ondata della pandemia e i nuovi provvedimenti restrittivi alla mobilità hanno inferto un altro duro colpo alle imprese. Specie in alcuni settori che stanno pagando più di altri un prezzo altissimo di questa crisi.

E che dire dei consumi, che per effetto di nuove abitudini delle famiglie e di comportamenti rimodellati dall’andamento della pandemia, hanno fatto crollare i ricavi di tantissime aziende, trascinandosi dietro anche il loro indotto?

O ancora del lavoro, tenuto in vita surrettiziamente dal massiccio ricorso alla cassa integrazione guadagni e dal blocco dei licenziamenti? Lavoro che rimane a fortissimo rischio di dissanguamento quando, dopo la pandemia, non sarà più possibile utilizzare quelle misure di sostegno.

E poi come parlare della longa manus della criminalità organizzata nell’economia, diventata una sorta di “Stato sociale” dentro lo Stato?

La speranza

A fronte di questi fatti oggettivi, la “pandeconomia” ha regalato anche tantissime storie di speranza. Raccontate in questo giornale, sono anche tra le più lette.

Storie di imprenditori che hanno mostrato una capacità reattiva straordinaria. Sebbene colpiti duramente dalla crisi, sono stati capaci di reinventarsi e proseguire con grande dignità l’attività imprenditoriale in attesa di tempi migliori.

Ma anche storie di imprese più giovani. Di start up ad esempio, che combinando insieme alcuni elementi di novità introdotti dalla pandemia hanno apportato innovazione anche in un momento così difficile per la società e per l’economia. Lo smart working ha cambiato le modalità di organizzazione del lavoro.

Storie di chi non molla, di chi non vuole piegarsi alla crisi. Di chi, con determinazione e pazienza, è capace di fare “surfing” tra tanti provvedimenti governativi spesso anche inefficaci rispetto alle reali criticità delle imprese.

La speranza si lega anche al modo in cui il Governo saprà utilizzare le risorse comunitarie del Recovery Fund, del programma di aiuti dell’Unione Europea che guarda al mondo che verrà con maggior attenzione al green e al digitale.

La speranza è sempre l’ultima a morire. O forse, sarebbe il caso di dire in questo momento, la prima a nascere. Ecco dunque perchè ogni “nascita” è salutata sempre con grande gioia.

 

 

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