Ricami e parole


| Salvo Reitano |

E’ una notte di luglio percossa da un caldo a folate, torrido, caparbio e tutto proteso a sgominare ogni ansia di tonica e corroborante freschezza. Pare che batta alle porte e alle finestre aperte l’estate delle illustrazioni: alberi alti su distese di grano sfalciato con il sottofondo di cicale che friniscono.
Mi ha preso solo l’urgenza di alzarmi dal letto e riparare in terrazza con gli occhi puntati al cielo. C’è da aspettare agosto per godere dello sciame di corpi celesti sul palcoscenico della notte. Dicono gli esperti che lo show delle perseidi è gia cominciato. Intanto la volta celeste è un fotogramma fermo e così chiudo gli occhi nel buio, con la sdraio che sembra un vascello, e ripenso a una signora che mi scrive una mai da un remoto paesino siciliano. Si dice emozionata perché la consonanza tra noi che non ci siamo mai veduti, va perfezionandosi nel tempo. Ai tempi di internet le mail e le chat sono facili strumenti per aver un contatto diretto con uno che scrive parole condivise, la signora li utilizza perché vuol farsi l’idea che non sono diverso da quanto annoto in questi elzeviri domenicali al colmo di un giornale online rivolto ad altro.
Mi scrive festosamente e diventa naturale che io risponda chiedendo:”Ma lei di cosa si occupa nella vita?”. “Sono laureata in architettura e faccio la ricamatrice. Lavoro quasi dieci ore al giorno, ago filo e l’arte pregiata del ricamo a mano”. Aggiunge: “Ci vuole pazienza, precisione, manualità e soprattutto una grande passione per realizzare preziosi e bellissimi lavori”. Scopro, continuando nella lettura, che ha ereditato dalla mamma i segreti di questo mestiere: un lavoro antico, delicato e prezioso. Una di quelle attività che un tempo si svolgeva soprattutto a casa e che oggi è diventata una rarità. Va avanti la signora:”Lenzuola, tende, federe, tovaglie, asciugamani, corredi e centrini per i mobili. Un lavoro lungo che richiede tante ore con precisione e attenzione, quando finisco sono distrutta ma non mi lamento perché c’è da aiutare la famiglia e l’indomani si ricomincia”.
Indago per capire e la riposta non tarda ad arrivare e spiega che certi lavori costano cari perché si compongono di mille risvolti da mettere insieme con creatività e garbo. E’ come un puzzle di merletti, una fatica a incastri. La gentile signora precisa: “Nonostante la laurea mi sono scelta questa parte nella vita, cerco di interpretarla al meglio, un lavoro antico da tramandare al tempo che verrà”.
Rispondo con quel che mi vien in mente: “Mi creda , gentile signora, se vuole può farmi la stessa domanda visto che sono, per certi versi, un ricamatore anch’io. Come? E’ presto detto. Prelevo momenti, scorci di vita, facce, pensieri, riflessioni, piccole storie, esperienze minute, tratti di convivenza e metto tutto insieme come fa lei sul telaio. Sul ricamo che cresce, con procedimento da artigiano, il mio prodotto, che lei e gli amici lettori apprezzate, è questo. Parole messe insieme con la colla della speranza. E’ l’ingrediente principale per tenere compagnia a qualcuno lontano dalle tristi cronache che attanagliano i giorni del nostro vivere.
La risposta appare sul monitor: “A me la tiene tanto”. Mando una smile con la faccina che sorride e la signora capisce. Ormai comunichiamo da vecchi conoscenti, le mani sapute, un tocco di confidenza, seppure virtuale, e la certezza del riconoscersi.
Albeggia sulla terrazza. L’orologio si sente escluso. Nascono e si compongono le parole dello stare insieme e riconoscersi. Sono queste le occasioni del mio lavoro in corso dove m’è dato di sfiorare parvenze di felicità e sorridente quiete. Dirsi, parlarsi, confidarsi, mettersi a parte, concedersi all’abbandono della trasparenza e vegliare finche il tempo disponga.

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