Riccardo Orioles, i “siciliani” non si arrendono

Katya Maugeri

CATANIA – “La cosa peggiore non sono i morti ammazzati, ma le anime ammazzate, quelle persone che sono state costrette a diventare dei vigliacchi perché stanche, scoraggiate. Non provo rabbia, ma dolore”.  Il tono di Riccardo Orioles è quello di un giornalista che non demorde, un uomo coraggioso che senza giri di parole, filtri e timore punta dritto al discorso con passione disarmante. Storico giornalista de “I siciliani”, fondato con Pippo Fava, continuò a denunciare e contrastare la mafia in Sicilia evidenziando le attività illecite di Cosa nostra in Sicilia, “I cavalieri”, la massoneria, la mafia e la politica: erano questi i temi principali di un giornalismo che si proponeva autorevolmente nelle inchieste e nel mestiere di informare i cittadini. Pippo Fava venne ucciso da Cosa nostra, a un anno dalla nascita del giornale, ma la  missione continua a vivere: lavorare più di prima per mettere alle strette la mafia.  Rappresentò,  e rappresenta, sempre un giornale di rottura, in un’epoca in cui ancora in tanti negavano persino l’esistenza della mafia e continuò ad essere pubblicato, nonostante tantissime difficoltà economiche.

Per il suo impegno costante nella lotta alla mafia, nel marzo di quest’anno, ha beneficiato della Legge Bacchelli: alla petizione, lanciata su Change.org, hanno aderito anche i presidenti di Camera e Senato. Da sempre considerato l’unico giornale dell’epoca a denunciare gli affari illegali di Cosa nostra, una pietra miliare nel giornalismo a Catania e non solo.

Nei giorni scorsi, proprio nell’anniversario della strage di via D’Amelio, una busta è stata rinvenuta sotto la porta del Gapa, il centro d’iniziativa sociale che ospita la redazione: delle minacce, ancora una volta. “Per noi non è certo una novità – dichiara Riccardo Orioles a Sicilia Network -: fa parte della partita” La busta contenente una copia della rivista ‘Siciliani giovani’ con minacce specificamente destinate al responsabile della redazione catanese, Giovanni Caruso, che pochi giorni prima, presentando il giornale, aveva annunciato che ai Siciliani erano stati assegnati beni confiscati alle famiglie mafiose catanesi, tra cui quello che i Siciliani hanno voluto chiamare ‘Il Giardino di Scida”. La copia di giornale allegata alla lettera minatoria riportava la foto dei redattori alla testa di una manifestazione antimafia indetta dai Siciliani, e dalla foto era stata ritagliata la testa di Caruso. La vicenda non ha ovviamente fermato l’attività giornalistica e di ricerca dei ‘Siciliani giovani’ che continua regolarmente a Catania e in tutte le altre redazioni collegate. “È chiaro, non vogliono che il loro monopolio del quartiere venga messo in discussione – continua Orioles – ma la vera guerra si fa nell’anima di questi bambini: loro vogliono portarli all’inferno e noi vogliamo allontanarli da quell’ambiente”. In una delle ultime interviste fatte a Claudio Fava lo stesso, parlando di Cosa nostra, ha affermato che “la guerra non finita”, “Assolutamente d’accordo – afferma con tono partecipato Orioles – la guerra non è finita, se pensiamo che Contrada è in libertà, e siamo premurosi, però, nell’organizzare regolarmente le manifestazioni annuali per ricordare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma lui è in libertà. Sono contrario alle commemorazioni, sia chiaro, il 19 luglio abbiamo ricordato Borsellino al lavoro, come facciamo ogni giorno. Le ragazze aiutavano i bimbi a fare i compiti – proprio quando abbiamo ricevuto la lettera – e sono orgoglioso del nostro lavoro.

Cosa ne pensa del caso Contrada? “È stato accertato che Contrada ha tradito ed ha avuto rapporti stretti con Cosa nostra ed è moralmente responsabile della morte di quelli che sono caduti con onore indossando la divisa – e continua – a me non interessa se sta dentro o fuori il vero problema è il segnale che ne emerge, tra poco toccherà a Dell’Utri: ovvero una sconfitta della Repubblica. A me dispiace per la Repubblica italiana che non è capace neanche di rispettare i suoi morti. Non mi ribello, ne prendo atto con vergogna. Il fatto che non ci sia un Pertini, un Aldo Moro, un Berlinguer non è una cosa da niente”. E in merito agli atti vandalici che hanno oltraggiato la memoria delle vittime di mafia nei giorni scorsi dichiara, “i segnali sono costanti e clamorosi”. Venticinque anni dalle stragi che hanno sicuramente scosso e cambiato la percezione del nostro Paese, tante verità ancora nascoste, “La verità è che abbiamo avuto una forza politica che ha governato l’Italia raccontata da Marcello Dell’Utri, un vero mafioso, non è un quaquaraquà, un mafioso che lo fa anche capire. Avremmo bisogno di persone che fanno il loro piccolo dovere, e invece la nostra Italia viene presa a calci e a sputi in faccia”. Non è arrabbiato Riccardo Orioles ma deluso, amareggiato quando sulla questione beni confiscati parla di Confindustria, “Mi chiedo come possa parlare di beni confiscati la Confindustria nazionale, come si permette? – continua – che ha il suo rappresentante regionale, Antonello Montante sotto processo per concorso di mafia, si sentono in diritto di affermare cosa va bene e cosa no dei beni confiscati e tutti stanno in silenzio, ecco che i beni confiscati saranno gestiti anche secondo il parere di gente che non dico siano parte della mafia, ma nemmeno nemica. Serve un po’ di giustizia altrimenti la gente si abitua, si stufa e smette di lottare”. Ma racconta anche di quella Sicilia che ama e della quale ha enorme fiducia della gente per bene e “della grandezza popolare che purtroppo non viene ripresa da nessuno, ma esiste e bisogna prenderne atto”, ci racconta del suo “modello”, suo padre, medaglia di argento in guerra ma non per questo un eroe, lo era per il suo lavoro alle 4 del mattino, ricorda il tragitto verso Femmina Morta, provincia di Caltanissetta, per andare a scuola all’interno di un granaio. Ci spiega che crede ai piccoli gesti, quelli umili che anche se impercettibili determinano la differenza, a quanto sia importante “continuare a fare scuola ai bambini, quei bambini non devono essere lasciati soli in qualunque caso, occorre indagare senza timore perché non sono le cose grandi che fanno grandi un Paese, ma le cose piccole. Tutte le volte che agiamo onestamente abbiamo vinto una battaglia e dobbiamo ricordarci che l’eroe non è solo Falcone o Borsellino, ma quel poliziotto della scorta che silenziosamente è morto accanto a loro e solo dopo la morte è stato considerato tale”.

Coraggio e cambiamento è l’umile soldato che non fa un passo indietro ma con orgoglio e determinazione combatte la guerra alla mafia, ogni giorno, con la sua presenza con le sue azioni e con la consapevolezza che “un giorno questa terra sarà bellissima”.

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