Rieducare i violenti in famiglia

CATANIA – Come tutti sappiamo la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è ogni giorno. Questa commemorazione è stata proclamata dalle Nazioni unite nel 1999 attraverso Amnesty International ed ha previsto una giornata di mobilitazione speciale tutti i giorni in tutto il mondo. Questa data ricorda vari omicidi e sparizioni di donne ma soprattutto ricorda il brutale assassinio avvenuto il 25 novembre del 1960 di tre sorelle dominicane, Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, attiviste politiche conosciute come les Mariposas uccise dalla polizia segreta dell’allora dittatore Rafael Trujjlio. Il ritrovamento dei cadaveri in fondo a un pozzo suscitò una profonda emozione non solo in patria e contribuì all’unificazione delle forze politiche dell’opposizione di quel paese. La data fu individuata dal primo Centro Femminista latino americano che denunciò le torture riservate alle donne in ambito domestico, sul lavoro e in carcere. Si celebra questa giornata di mobilitazione speciale perché “la violenza sulle donne è una delle forme di violazione dei diritti umani più diffusa ed occulta nel mondo” e perché ancora l’impunità nel mondo regna sovrana! Le tutele delle vittime sono sorte negli anni ’70 ( la prima fu realizzata a Londra nel 1972 ).

Subito dopo nacquero i “Centri ascolti”, i Centri Antiviolenza e ora le Case Rifugio ecc…ecc…) Da allora si testimonia solidarietà alle donne violate ogni giorno. E tutto questo perché crediamo che la dignità della persona sia inalienabile! La dignità non ha colore politico, di pelle o di religione, pertanto tutti dobbiamo tendere sempre al rispetto della persona, alla libertà di pensiero e di locomozione, al diritto alla salute fisica e mentale, al diritto al benessere, alla qualità della vita, al diritto all’istruzione, al diritto di scegliere liberamente come si vuole vivere la propria vita e con chi si vuole fare famiglia. Gli operatori sociali credono che questa mobilitazione sia la migliore occasione per propiziare una mobilitazione totale che abbassi il livello di assistenza e di rifugio e che permetta una liberazione dalla schiavitù dall’uomo e dalla violenza. E’ ogni giorno l’inizio della fine? Ogni momento dobbiamo continuare a lavorare perché non ci siano mai più: corpi imprigionati, donne schiave donne infibulate, donne invisibili. Purtroppo in tante parti del mondo essere femmina significa ancora rischiare la vita. Il Ministero della Giustizia si è sempre posto il problema dell’esecuzione della pena e della sua funzione rieducativa anche se solo appena 30 fa con la legge n. 354 del 1975 se ne occupa più proficuamente. Si pensi che fino al 1975 quando è intervenuta la civilissima legge 354/75 non si investiva sull’aspetto umano e sociale della funzione risocializzante della pena e non si intravedevano progetti di prevenzione e prospettive di risocializazione per i soggetti meritevoli di reinserimento nel circuito normativo! Invece oggi c’è da evidenziare che la detenzione non può e non deve costituire soltanto la restrizione punitiva della libertà ma deve essere il momento privilegiato in cui l’individuo, relazionandosi con le istituzioni dello Stato attraverso un percorso educativo, impari a dare risposte valide alla sua stessa vita prima, alla sua famiglia e alla società. E questo anche quando trattasi di carnefici!

Gli operatori sociali della Giustizia pensiamo che sarebbe una follia credere che il carcere da solo, senza la collaborazione della società esterna possa risolvere i problemi del disagio criminale!!! Loro credono nell’integrazione fra carcere e società. Credono che solo questa sia la migliore scuola di umanità e il migliore rimedio per lo stato di disagio di questa società. Infatti Come recita l’art. 27 della Costituzione “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato e devono assicurare il rispetto e la dignità della persona”. Questo dettato costituzionale è difficilissimo da realizzare non solo nei casi cosiddetti “ normali ” ma…è difficilissimo persino organizzarne il progetto per casi “ speciali ”. Anche perché tutt’ora c’è un residuo di barbarie nel pensiero collettivo nel momento in cui si crede che la pena debba essere scontata al chiuso e in condizioni di afflittività in quanto qualunque altra modalità di esecuzione potrebbe rappresentare un pericolo per la società. Diceva Carter “Sono solo due le cose che possiamo sperare di dare ai nostri figli: Una sono le radici l’altra le ali. Ma si domanda Martin L. King “Ma come facciamo noi adulti a dare radici e ali ai nostri giovani se abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di amarci come fratelli ?”

Lucia Brischetto, già funzionaria del Ministero della Giustizia

 
 

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