Saro Faraci
La Settimana italiana dell’insegnante, appena iniziata, celebrata in Italia da YourEducation, è l’occasione per proporre storie belle, commoventi, d’altri tempi in cui gli insegnanti erano a tutto tondo Maestri di vita e grandi educatori, non soltanto rigidi ed inflessibili docenti che pretendevano la miglior preparazione possibile dai loro allievi.
La storia che raccontiamo oggi l’ha tirata fuori dal cassetto il dottor Francesco Cannavò, geologo di Linguaglossa, esperto di valutazione di impatto ambientale alla Regione Siciliana, uno dei massimi conoscitori dell’Etna perchè innamorato a tutto tondo del Vulcano più alto d’Europa. Ha raccolto subito il nostro invito ad esprimere il #RingraziaUnDocente.
«Il mio pensiero non può che andare al mio caro Maestro che mi ha seguito nei cinque anni di scuola elementare», esordisce Francesco Cannavò
– Cosa c’è di nuovo, dottor Cannavò? Tutta la nostra generazione ha un debito di riconoscenza verso i Maestri delle elementari.
«Le racconto un particolare. Il Maestro Alfio Emmi nell’anno 1968 iniziava il suo ultimo quinquennio che lo avrebbe portato alla pensione. Era scapolo e viveva con la sorella nel mio stesso paese, Linguaglossa. Possedeva una bella Fiat 1100 che teneva in maniera impeccabile, così come impeccabile era il suo vestire e impeccabili i suoi modi di porsi con le persone».
– Immagino che, come tutti i Maestri di mezzo secolo fa, doveva essere un tipo duro e inflessibile.
«Era un po’ rigido, questo sì, e pretendeva da noi ragazzi rispetto, educazione ed impegno. Ricordo ancora le “punizioni faccia al muro” per chi non imparava a memoria le tabelline, e qualche volta anche la bacchettata sulle mani. Ma erano altri tempi, e quelle erano le regole. Parliamo degli anni 1968-72»
– Non credo che sia per questi motivi che Lei vuole ricordarlo. Sicuramente il Maestro Alfio avrà avuto un animo buono.
« Il ricordo inizia con i primi giorni della prima elementare, allora la scuola iniziava il 1° ottobre. Il giorno del mio onomastico, il 4 ottobre, di ritorno dalla vendemmia ho pensato bene di fare una scappatella da casa per giocare al pallone con i miei compagni. La serata finì per me all’ospedale con una gamba rotta saltando da un muro alto per andare a recuperare il pallone. Avevo appena conosciuto il Maestro che mi avrebbe seguito per i prossimi cinque anni ed i miei compagni di classe. Dopo qualche giorno ricevetti la visita del mio Maestro in ospedale, il quale era preoccupato che una lunga degenza mi avrebbe comportato un ritardo di apprendimento rispetto ai miei compagni di classe. Così fu, perché per complicazioni sopravvenute rimasi per parecchie settimane in ospedale»
– Un gesto nobile, bellissimo. E poi?
«I cinque anni passarono in fretta, il Maestro andò in pensione e per noi ragazzi iniziavano nuove esperienze, ma non dimenticai mai gli insegnamenti di vita che avevo ricevuto. Egli non si limitò a trasferire nozioni prettamente scolastiche, spesso ci parlava di tante altre cose con cui ci saremmo confrontati da grandi e che avrebbero avuto pari importanza nella vita. Ogni tanto ci incontravamo in paese e sempre si premurava di chiedermi come andavo negli studi e cosa pensavo di fare da grande. In uno di questi incontri gli comunicai che stavo per laurearmi. Vidi i suoi occhi brillare di gioia e mi abbracciò con orgoglio come se fossi suo figlio »
– Non mi dica che il Maestro…