Saro Faraci
Siamo in piena Settimana dell’Insegnante, una iniziativa proposta in Italia da YourEducation sulla falsariga della più ben nota Teacher Appreciation Week celebrata negli Stati Uniti per ricordare pubblicamente il valore dell’insegnamento scolastico e il ruolo educativo dei docenti. Con l’hashtag #RingraziaUnDocente è possibile esprimere gratitudine e riconoscenza a quei professori, insegnanti, maestri che hanno lasciato un segno sulla crescita umana, culturale e professionale dei loro allievi.
Dopo aver intervistato l’assessore di Catania Barbara Mirabella che ha ringraziato Suor Rosanna Grasso e dopo aver raccontato la storia del maestro Alfio Emmi tirata fuori dal cassetto dei ricordi del suo alunno Francesco Cannavò che non smetterà mai di ringraziarlo, oggi intervistiamo Domenico Bella, insegnante ormai dai 23 anni. Molto amato dai suoi allievi con i quali sa stabilire un bel rapporto di empatia, il prof. Bella, docente di Matematica e Scienze all’istituto comprensivo Blandini di Palagonia, è un geologo, profondo conoscitore dell’Etna, attualmente impegnato nella perlustrazione metro per metro delle zone colpite dal terremoto di Santo Stefano. La foto che Vi proponiamo in basso lo ritrae per l’appunto, appena due giorni dopo il terribile sisma, dentro la faglia di Fiandaca in un tratto di territorio compreso fra i comuni di Acireale e Zafferana Etnea. Sorridente, perchè questo è il suo tratto distintivo. Per intervistarlo lo abbiamo rincorso fino ad una frazione marinara di Acireale, perchè da geologo è appassionato e conoscitore della Timpa.
- Professore Bella, inizio l’intervista, facendole un regalo che non è allusivo però. Le regalo alcune frasi tratte dal libro di Massimo Recalcati, L’Ora di Lezione, ormai un best seller sul valore educativo ed umano dell’insegnamento. Scrive Recalcati: “Se il sapere umano è attraversato da una faglia, non è perché è impossibile acquisire tutto il sapere, ma perché il sapere è solcato da un limite: il sapere non può venire a capo del senso della vita, non può sapere tutto. L’eccedenza della vita lo esorbita scavando al suo interno una mancanza. Ecco allora da dove sorge un vero insegnamento: quando il maestro sa alludere, evocare, portare alla presenza questo limite, questa mancanza e questa eccedenza, senza mai pretendere di ridurli a un oggetto che possiamo padroneggiare”.
«Mi viene da sorridere. La sa una cosa? Il mio credo è: vuoi capire qualcosa? Immergiti e scopri! Io insegno ai miei ragazzi che nella vita tutto deve essere valutato attraverso il lume della loro intelligenza. Se qualcuno racconta loro qualcosa, devono sempre verificare e documentarsi; a volte bisogna sporcarsi le mani per capire. Conoscere, comprendere, capire, è alla base della conoscenza scientifica, nel senso più ampio del termine, se si vuole arrivare al sapere e per metterlo in pratica ove necessario. Io dico sempre ai miei ragazzi che fortunato è colui che vive di dubbi, perché il dubbio è alla base della ricerca e della conoscenza. Questo fa crescere»
- Insomma, ai suoi ragazzi fa capire che mettersi in gioco è fondamentale.
«E’ essenziale in una società nella quale tutti tendono a deresponsabilizzarsi. La scuola deve essere alla base di una società nella quale si abbia una crescita culturale ed umana, dove tutti possano convivere e aiutarsi, dove tutti siano in grado di leggere criticamente la realtà. Non dobbiamo creare intelligenze ma dobbiamo sviluppare intelligenze, dobbiamo permettere ai ragazzi di donare le loro risorse alla società: tutti sono importanti, ognuno con le loro propensioni!»
- Quindi ho fatto bene a regalarle questo brano tratto dal libro di Recalcati. Ai suoi figli, che sono studenti, da genitore prima ancora che da insegnante cosa si sentirebbe di dire a proposito di Scuola, professori e programmi scolastici?
«I miei figli sono sempre stati le cavie del mio essere insegnante. A loro insegno il rispetto di sé e degli altri, la lettura critica della realtà, la libertà e la consapevolezza di essere in grado di riuscire a raggiungere gli obiettivi grazie all’intelligenza e al duro lavoro. Insegno loro che l’istruzione rende liberi e che attraverso questa si possono raggiungere tutti gli obiettivi della vita, avendo sempre passione per ciò che si fa. Ho sempre detto, da genitore, che l’insegnante è il collante della classe, colui il quale fornisce gli strumenti utili alla futura vita professionale e che, insieme ai genitori, è fonte di ispirazione, come lo è stato per me. Dico anche che, se si vuole migliorare la società, bisogna partire dalle conoscenze di base, scolastiche e procedere verso il futuro senza aver paura di essere valutati, in quanto la valutazione è il metro del sapere e del non sapere. Attraverso le opportune valutazioni, soprattutto grazie a quelle negative, un ragazzo capisce cosa ancora deve fare per migliorare e migliorarsi. Ogni insegnante è un pilastro dell’edificio che sarà la loro vita! Imparare significa approcciare con umiltà alla conoscenza che un insegnante impartisce ai discenti dall’alto della sua formazione, e pertanto bisogna interagire con rispetto»
- Pur dentro i rigidi paletti definiti dal Ministero in materia di programmi scolastici che vincolano la libertà di insegnamento, cosa Lei fa oggi e in che modo lo fa per rendere più interessante la disciplina che insegna ai suoi studenti?
«Noi non parliamo da tempo di programmi scolastici; con la riforma della scuola targata Luigi Berlinguer, dalla seconda metà degli anni 90, presa a modello”da tutte le altre e, a volte, ripetitive riforme scolastiche, la programmazione è diventata il mezzo per declinare le indicazioni ministeriali e per permettere all’insegnante quell’autonomia che in precedenza forse non aveva. Questo elemento, in assenza di opportuni strumenti di lavoro, porta l’insegnante a inventare delle lezioni. La dicotomia insegnamento – apprendimento, in precedenza orientata sull’insegnamento adesso è protesa verso l’apprendimento. Pertanto il linguaggio deve essere vicino a quello dei ragazzi, la didattica deve essere vicina al mondo dei ragazzi grazie all’utilizzo di strumenti informatici e attraverso anche la capacità di raccontare storie, emozionando. Giocare per far studiare! Questo è il metodo che si deve adottare e che adotto affinché i ragazzi apprendano con gioia anche quelle discipline a loro ostiche»
- É la settimana internazionale del docente. C’è un insegnante che più degli altri lei ricorda con piacere e che ha contribuito alla sua crescita personale e professionale? Qualcuno che invece le ha trasmesso la passione per l’insegnamento?
«Istituire una settimana internazionale del docente è stata un’idea eccellente. È importante ricordare e valorizzare il lavoro di tanti insegnanti che hanno dato e continuano a dare lustro, silenziosamente, alla Scuola ed all’Università italiana permettendo, con il loro lavoro, la crescita umana e culturale delle giovani generazioni. La scuola rimarrà sempre punto di riferimento per tutti, famiglie e ragazzi, anche quando verrà additata, ingiustamente ed ingiustificatamente, come responsabile di molti mali della società. A scuola si insegna il rispetto della persona, le regole di convivenza civile, l’abilità allo svolgimento di lavoro individuale e collettivo, il valore del dubbio come strumento di conoscenza e di approfondimento. Per raggiungere tali obiettivi, bisogna suscitare emozioni. Tale processo”avviene grazie alla passione dell’insegnante, l’amore che egli ha per questo lavoro che diventa, poi, specie di questi tempi, una vera e propria missione»
- Professore Bella, non mi ha risposto però. Chi ringrazierebbe tra i suoi docenti?
«Nel mio caso devo ringraziare tanti miei insegnanti, alcuni in particolare: la Maestra Costarelli alle elementari; la mia professoressa di Italiano alle scuole medie, Prof.ssa Nunzia Ragonesi, divenuta anche mia collega a scuola, e il mio prof di Italiano alle scuole superiori, il Liceo scientifico di Acireale, il compianto Prof. Paolo Leanza. Costoro mi hanno insegnato anche come trasmettere, attraverso l’oratoria, i contenuti di un argomento. Queste persone sono state importanti per la mia formazione e li ringrazio per avermi trasmesso le emozioni che sono state il motore per i futuri obiettivi umani e professionali. Questi mi hanno trasmesso l’amore per la conoscenza, la passione verso tutto ciò che si produce intellettualmente e che mi è servita per gli studi universitari di Geologia , oltre che nella mia attività di insegnante. I giovani devono essere emozionati e devono trovare nei docenti dei punti di riferimento, oggi più di ieri»
- Lei oggi insegna. In cosa è cambiata la Scuola da quando lei la frequentava come studente?
«La scuola è cambiata tanto; le famiglie sono cambiate tanto. Innanzitutto nel rapporto con l’insegnante, visto spesso come un nemico e non un alleato nell’azione educativa. Oggi molti genitori vengono a scuola non per conoscere l’andamento didattico e disciplinare dei propri figli bensì per imporre il loro pensiero, indipendentemente dai risultati conseguiti dagli alunni. Il rispetto verso l’insegnante è diventato merce rara in quanto la scuola viene vista più come una imposizione e mai come opportunità e ciò, poi, si ripercuote nel mondo lavorativo e nel mondo universitario. Una volta il professore era il professore, il maestro era il maestro mentre oggi viene considerato, e me ne rammarico, un lavoratore privilegiato: e questo non è giusto! Noi siamo passati dalla scuola delle conoscenze alla scuola delle competenze. Il sapere è stato abbandonato per far posto al “saper fare”. La conoscenza degli argomenti, delle lingue, della matematica, delle scienze è stata sostituita con una sorta di manuale di istruzioni dove tutto è finalizzato al saper fare, senza considerare le basi da cui si parte»
- E secondo Lei, tutto questo a cosa porterà?
«Secondo me il tentativo di abbandono di alcune discipline, considerate ormai opzionali nella scuola, come Geografia, Storia, Educazione civica, come anche il Latino, sta impoverendo il sapere dei giovani. Immagini lei: è come insegnare ad un giovane ad utilizzare un computer o un telefonino, senza comprendere, di quegli strumenti, la natura e la struttura., senza sapere, anche genericamente, in cosa consista il linguaggio dei programmi che il giovane utilizza e ignorando di quali materiali sia costituita la componentistica. Ormai raggiungere il successo formativo significa ottenere un titolo, indipendentemente da tutto, e l’insegnante è nel bene e nel male un dispensatore di voti positivi e titoli, spesso poco meritati dagli alunni. Certo, bisogna guardare anche alla qualità dell’insegnamento. Essa passa, indubbiamente, dalla formazione ma anche dalla presenza di strumenti adeguati, spazi adeguati, e risorse adeguate. Non si tratta solamente di quanto un insegnante percepisce, si tratta di cosa lo stesso abbia a disposizione per essere un docente preparato alle sfide del futuro. Immagini che nelle scuole le norme di sicurezza spesso sono disattese, sono assenti computer e reti internet adeguati, spesso mancano i laboratori e aule insegnanti attrezzate con strumenti informatici e periferiche. Noi dovremmo essere i prof 2.0 ma gli edifici e le strutture sono antiquate, vetuste, inadeguate»