Settimana italiana del docente con connessa iniziativa che gira sui social dal titolo #RingraziaUnDocente. Questa volta l’intervista è con Marco Pappalardo, catanese, amatissimo docente di materie umanistiche al Liceo Don Bosco di Catania, autore di un libro sul mondo della Scuola che già ha un largo seguito fra i lettori.
«Insegno da 17 anni» – ci dice subito.«Ho iniziato con la scuola secondaria di primo grado in un contesto che accoglieva minori affidati dal Tribunale e vi sono rimasto per circa tre anni; al contempo ho vissuto delle intense esperienze pomeridiane nella formazione professionale per adulti; tutto il resto presso il Liceo Classico e Scientifico “Don Bosco” di Catania, in cui insegno Italiano, Latino e Greco. Annualmente tengo un laboratorio su tematiche giornalistiche presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania e presso l’Istituto Teologico San Tommaso di Messina su questioni educative e new media»
– Professore Pappalardo, la classica domanda rivolta a tutti. Considera il suo lavoro una vocazione e dunque una chiamata; una vocazione e dunque un impegno rivolto a fini sociali; o più semplicemente un mestiere come tanti altri, in cui contano etica e senso del dovere?
«Se lo ritenessi solo un mestiere, avrei da tempo cambiato mestiere! Mi piace parlare più di “professione”, nel senso di impegno preso per un fine più alto, di dichiarare apertamente la passione educativa, la narrazione della bellezza, la condivisione della cultura, il valore del l’impegno a partire da ciò che si è, si sa, si ha»
– Ha pubblicato di recente, per i tipi della San Paolo Editrice, un libro dal titolo “Diario (quasi segreto) di un Prof”, edito da San Paolo. Quale è il messaggio di questo libro? A chi si rivolge in particolare?
«È un romanzo che racconta un anno di scuola con lo sguardo del prof. e la voce degli studenti, tra sogni e vita reale, tra letteratura di ieri e quella di oggi, con ironia e schiettezza, senza nascondere le difficoltà ma neanche facendosi abbattere, sempre dunque con la speranza nella cuore. Si rivolge ai docenti di ogni ordine e grado, agli studenti di medie, superiori, università, ai genitori, nonni ed educatori, a quanti hanno nostalgia della scuola e a quelli che non l’hanno apprezzata più di tanto»
– Lei è molto amato dai suoi studenti e in diverse occasioni lo abbiamo pure constatato personalmente. Ora metta caso che i suoi studenti dovessero ringraziarla pubblicamente, e sicuramente lo faranno, per quale aspetto del suo lavoro, per quale lato del suo carattere, per quale caratteristica del suo essere docente dovrebbero farlo?
«Dico sempre che questa domanda andrebbe fatta a loro e che sono io a doverli ringraziare, poiché danno un senso alla mia vocazione/professione; così riporto il commento di un’ex alunna dopo la lettura del mio libro: «E io le dico davvero grazie prof, di cuore… sempre! Perché è difficile crescere, perché “è passare dall’emozione alla meraviglia, dalla meraviglia al desiderio, dal desiderio all’affezione, e infine non avere paura di ricominciare la prima volta, come ogni volta”; ma lei ha contribuito nel rendere meraviglioso questo mio percorso di crescita».
– Una domanda secca, l’ultima. Ma una “buona Scuola” oggi cos’è, al di là del titolo solenne con cui l’ha evocata una recente riforma?
«La scuola è buona se contempla dentro la vita, l’amicizia, la passione educativa, le domande di senso, l’ascolto delle domande e chi le possa suscitare, il tempo dedicato reciprocamente, la ricerca di qualcosa di grande per la vita, le esigenze di cambiamento degli studenti, la creatività del docente; tutte cose che costituiscono una “bella scuola”! Per essere “buona” è necessario allora che la scuola sia anche “vera” e “bella dentro”, che sia un luogo – come scrivono un gruppo di liceali catanesi in una lettera aperta – «capace di accendere i ragazzi, di sostenere il loro cammino, di mantenere un orizzonte aperto a tutte le dimensioni del reale».
Saro Faraci