Riscossione Sicilia verso la liquidazione: meglio l’uovo oggi o la gallina domani?

|Saro Faraci|

Proviamo a leggere in modo diverso la liquidazione di Riscossione Sicilia, approvata dall’ARS che si è espressa in modo contrario alle decisioni del governo regionale. La liquidazione è prevista per la fine del 2018. Sul piano politico, i segnali di un orientamento in tale direzione erano già presenti da tempo, da quando, verso gli inizi di aprile di quest’anno, la commissione Bilancio all’ARS aveva approvato la norma di previsione della messa in liquidazione già a partire dal primo luglio del 2017.

Già in quelle settimane, infatti, il dibattito politico, al di là della frattura determinatasi nei rapporti con il Presidente di Riscossione Sicilia, si era incentrato sulle politiche di gestione dell’attività di riscossione fino ad allora promosse dall’ente nonchè sulle problematiche che dalla eventuale liquidazione di Riscossione Sicilia sarebbero potuto derivare, specialmente per l’occupazione dei dipendenti dell’ente. La questione diventava, pertanto, di natura politica per capire se tenere in vita o meno l’ente.

Senza entrare in eccessivi tecnicismi, va detto che il punto di partenza è una valutazione economico-aziendale dell’ente basata su quanto è possibile dedurre dai documenti ufficiali, cioè i bilanci di esercizio al 31 dicembre 2015 (Presidente Avv. Antonio Fiumefreddo) e 2014 (Presidente Avv. Lucia Di Salvo). I dati sono ricavabili dallo stesso sito web di Riscossione Sicilia.

Va detto subito che il contesto generale è caratterizzato dalla riduzione degli aggi di riscossione, passati dai 70 milioni del 2014 ai 65 del 2015. In questo quadro, l’esercizio 2015 è stato caratterizzato da manovre di efficientamento dei costi che, pur riequilibrando la cosiddetta gestione caratteristica, non hanno impedito però una perdita di esercizio pari a 9,8 milioni di euro. Dunque, l’attività tipica di Riscossione Sicilia, cioè la riscossione di tributi, ha prodotto nell’ultimo anno un margine positivo di poco meno di 2 milioni, mentre nel 2014 il margine era negativo per quasi 5 milioni. Tuttavia, la perdita di esercizio è rimasta consistente.

Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Oltre questa domanda, ce n’è un’altra da porre. Da cosa deriva allora la consistente perdita d’esercizio che ha fatto tanto tremare i polsi dell’azionista Regione al punto da spingere l’ARS, attraverso la commissione Bilancio prima e in aula poi, ad optare per la liquidazione della sua società partecipata?

Tralasciando gli aspetti di gossip politico irrilevanti per affrontare un tema così delicato, il vero problema potrebbe essere rappresentato dall’ “indebitamento verso enti creditizi” che ha raggiunto l’incredibile cifra di quasi 330 milioni di euro generando oneri finanziari, cioè interessi, pari a 7,33 milioni. Ciò significa che tale costo, molto consistente ed addirittura pari all’11% dei ricavi, unitamente alla presenza di oneri straordinari per 4,3 milioni ha concorso alla fortissima perdita di quasi 10 milioni di euro. In queste condizioni, qualsiasi azionista non può rimanere inerte ed è chiamato ad intervenire. Anche quando l’azionista è pubblico e risponde al nome della Regione Siciliana.

Pertanto, la valutazione conseguente sulla scelta se mantenere in vita o liquidare l’ente è diventata strategica, presupponendo due ordini di analisi: 1. è possibile generare maggiori margini, in grado di coprire il costo dell’indebitamento? 2. lo stock di indebitamento, cioè la massa debitoria, è coerente con le esigenze finanziarie della società o è possibile ridurla?

Qui tiriamo in ballo il bilancio consolidato di Equitalia, cioè la sommatoria degli agenti di riscossione presenti sul territorio nazionale al netto di Riscossione Sicilia, e lo assumiamo come riferimento, quanto meno per rispondere al primo dei due quesiti posti prima, cioè se con margini superiori dalla attività tipica si possa coprire il costo dei debiti. Ora se a 100 euro di ricavo di Equitalia corrispondono 9 euro di margine operativo, e da 100 euro di Riscossione Sicilia ne scaturiscono soltanto 3 (mentre nel 2014 se ne perdevano anche fino a 7), forse qualcosa sarebbe stata possibile farla. Ma siamo nel campo dei se e dei ma e ci vorrebbero tempi lunghissimi e soprattutto sarebbe necessaria una più elevata produttività della forza lavoro. Infatti, scendendo un po’ più nel dettaglio si nota che mediamente un dipendente di Equitalia produce 130 mila euro di ricavo mentre il suo omologo siciliano si ferma a 94. Sarebbe possibile innalzare questo livello di produttività?

In base alle dichiarazioni del Presidente Antonio Fiumefreddo rilasciate l’11 aprile 2017, la rottamazione delle cartelle (appena conclusa) dovrebbe produrre un aggio di ulteriori 50 milioni di euro che potrebbe riportare l’ente in equilibrio economico. Oltre al positivo effetto reddituale, la conclusione della procedura di rottamazione potrebbe agevolare la riduzione dell’enorme mole di crediti commerciali da finanziare (nel 2015 pari a 618 milioni: 10 volte il fatturato) e conseguentemente dell’indebitamento finanziario. E qui troverebbe risposta la seconda domanda: tutta la massa debitoria forse potrebbe essere ridotta. Col beneficio di inventario, il forse ha una sua rilevanza per il futuro.

In queste condizioni, l’azionista Regione si è dunque trovato davanti ad un bivio: scommettere sul rilancio dell’ente attraverso ulteriori manovre di riequilibrio economico-finanziario che ricalchino quelle finora intraprese o affidare l’attività all’agente di riscossione italiano, cioè ad Equitalia.

La prima strada sopra delineata, che preserverebbe i margini di autonomia siciliana in materia di riscossione, presuppone l’assunzione di un notevole costo in termini di ricapitalizzazione dell’ente da far gravare sui cittadini. Tra l’altro la società si trova infatti nell’ambito delle previsioni dell’art. 2246 del codice civile, cioè della riduzione del capitale per perdite. La seconda strada, invece, ha un maggiore appeal economico, è sicuramente più gradita a Roma, ma lascia scoperta la Sicilia sulle politiche di riscossione che per lungo tempo non sono mai state gestite all’altezza del compito.

Ecco, dunque, la scelta finale tutta di natura politica, cioè la liquidazione. E che lascia aperto un altro interrogativo, meno legato a tecnicismi, ma più pragmatico sulle scelte compiute. E’ meglio l’uovo oggi o la gallina domani?

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