Salute mentale, Carmelo Florio: “per nuovi approcci terapeutico-riabilitativi destinati ai pazienti psichiatrici autori di reato serve una coralità istituzionale”

Salute mentale, Carmelo Florio: “per nuovi approcci terapeutico-riabilitativi destinati ai pazienti psichiatrici autori di reato serve una coralità istituzionale”

di Katya Maugeri

«Va ripreso e rilanciato il confronto inter istituzionale tra i vari attori: Magistrature, Sorveglianza, Cognizione, Dipartimento di salute mentale, Comunità, UDEPE, Forze dell’ordine, Carcere, Ordine professionale degli Avvocati, Comuni, Enti del Terzo settore. Il tema è la complessità e la partita si gioca e si vince se si fa sistema». Spiega Carmelo Florio, direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’Asp di Catania, dopo il convegno “Nuovi approcci terapeutico-riabilitativi per pazienti psichiatrici autori di reato” tenutosi nei scorsi giorni all’Hotel Nettuno di Catania.

Come ha ricordato il presidente del Tribunale di Catania dr. Mannino nell’apertura del dibattito, serve costruire “alleanza di cervelli”.

«La legge 81 del 2014 ha focalizzato la problematica non sostituendo agli Ospedali psichiatrici giudiziari, le Rems ma sottolineando come sia la rete dei servizi sanitari e sociali di una comunità che è chiamata a farsi carico della persona a cui sono riconosciuti doveri (aderire a prescrizioni del giudice) ma anche diritti e garanzie. Il Dipartimento di salute mentale dell’ASP di Catania ha prodotto un forte impegno in questa direzione attraverso un protocollo d’intesa tra Uffici Giudiziari della Corte di Appello di Catania (primi in Sicilia) tra gli attori e partner già citati, ma l’emergenza Covid ha prevalso rispetto alla reale implementazione del protocollo che individuava le parti deboli del processo ad esempio il necessario raccordo tra il DSM che è il titolare del processo di cura e il perito del Giudice, ma prima ancora la conoscenza reciproca dei servizi. C’è un gap comunicazionale che è la premessa da cui partire, per non parlare della necessità di intercettare l’autore di reato con problemi psicopatologici nella fase iniziale delle indagini».

I dati mersi dal convegno sono allarmanti per quanto riguarda i disturbi della condotta già nella popolazione degli adolescenti e per il crescente consumo di sostanze che si correla a comportamenti devianti e ciò impegna non solo servizi, ma anche la scuola e le famiglie: dunque un’attenzione crescente al lavoro di prevenzione.

«Ma non dimentichiamo la cogenza di potenziare le risorse dei dipartimenti di salute mentale, troppo fragili e inadeguate alle nuove sfide, pensando e implementando percorsi diagnostici e terapeutici per gli autori di reato con disturbo mentale, utilizzando per esempio anche i budget di salute (nuovo strumento di accompagnamento verso inclusione sociale) su cui il DSM sta già lavorando proficuamente). Ma attenzione: evitiamo di ritornare alla delega tout court alla psichiatria anche laddove la psichiatria non abbia indicazioni alla cura . Ad esempio mi riferisco ai disturbi antisociali della personalità e a condizioni in cui il disturbo mentale è assolutamente marginale rispetto a profili francamente criminali».

Un percorso terapeutico- riabilitativo interno alle strutture per accompagnarli a un graduale reinserimento sociale sul territorio. È possibile? «Sì, è possibile e a volte riusciamo ad accompagnare un reale processo di reinserimento del reo folle ma oggi va recuperata la dimensione della reale valutazione globale dell’utente sia sotto il profilo clinico e criminologico, guardando anche al tema dell’appropriatezza della cura e della valutazione degli esiti».

Se la cura è solo un contenitore, un “dove”, una struttura (qualunque essa sia) pur di trovare il posto, allora è già un fallimento. Troppo spesso gli autori di reato vengono trasferiti in comunità in attesa di un posto in Rems, che prevede tempi di attesa troppo lunghi e questo crea seri problemi di sicurezza nelle strutture anche per altri utenti non autori di reato e rischi per gli operatori.

«Su questo anche la norma ha lasciato pericolose incertezze e vuoti su cui gli stessi magistrati hanno le loro difficoltà. Da mesi si sta lavorando sulla formazione degli operatori e su strumenti di assessment per verificare se sussistano ad esempio indicatori di alta pericolosità sociale».

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