Santo Stefano, il ladro è entrato di notte nelle case e si è portato via preziosi valori

Santo Stefano, il ladro è entrato di notte nelle case e si è portato via preziosi valori

Un anno di distanza. Una terribile scossa di magnitudo 4.8 derubricata sbrigativamente e quasi cinicamente come il “terremotino”. Soltanto perché non ci sono stati morti né feriti e nemmeno colossali crolli esterni, a parte qualche eccezione. Il grosso si è verificato all’interno delle abitazioni, dove sono venuti giù tramezzi e pareti e le crepe attraversano ancora oggi muri, scale, pavimenti delle case man mano alleggerite di arredi e suppellettili. Per fortuna, però né morti né feriti.

Insomma, a Santo Stefano dello scorso anno è come se inaspettatamente fosse entrato un ladro nelle case etnee e le avesse velocemente svaligiate dei più preziosi valori delle famiglie, non solo quelli materiali, portandosi via anche la fiducia e la speranza che sono i “preziosi” più difficili da ottenere indietro. Un furto con scasso, non un vero e proprio terremoto? Ho come l’impressione che è così che lo hanno in fondo trattato molti soggetti pubblici preposti prima all’emergenza e da poco alla ricostruzione. Dunque, se c’è un furto, il più colossale degli ultimi tempi, la più grande preoccupazione è risarcire il prima possibile i danneggiati, ripagarli con la moneta per alleviare il disagio di qualcosa che non potranno riavere più indietro. Tutto chiaro, tutto lineare come ragionamento; peccato però che si è trattato di un vero terremoto, perché la terra si è squarciata e tutto intorno è come se quella notte due mani avessero avvolto le case e le avessero agitate ripetutamente per una manciata di secondi fino a romperle dall’interno.

Un furto dunque; la risposta pubblica ad un furto, di conseguenza. Il problema è che l’ossessione di esser costretti a risarcire anche quei pochi che il furto non l’hanno subito ha finito per prendere il sopravvento sulla responsabilità, morale prima ancora che giuridica, di pagare subito e velocemente i molti che invece il danno l’hanno realmente subito. E tuttora ne patiscono le conseguenze. Soprattutto gli operatori economici, di cui nessuno ha compreso la gravità dei loro disagi.

Sono volati via così, quasi inutilmente, dodici mesi in cui il “mostro della burocrazia” ha ingessato il desiderio, il bisogno, la volontà, la promessa di ripartire subito. Ma la burocrazia non è impersonale, non è un insieme di procedure e regole applicabili in modo quasi cibernetico ad un evento calamitoso. Altrimenti avrebbero inventato l’algoritmo del terremoto con la quantificazione dei danni e l’elencazione dei risarcimenti. La burocrazia è fatta di persone e dunque ha nomi e cognomi. Non tutti sono sullo stesso piano, per fortuna. Chi ha agito nell’ottica del risultato e non solo del mero adempimento ha risolto molti problemi; chi ha fatto il contrario ha soltanto moltiplicato i problemi.

Dodici mesi sono passati. Oggi è il giorno del ricordo. Anche del ringraziamento, perché grazie a Dio non è morto nessuno. Alle 3.19 del 26 dicembre 2018 sono bastati pochi secondi per seminare paura e distruzione. Anche per attivare una lunga serie di disagi che, a distanza di un anno, sono diventati enormi problemi sociali. Ci sono intere comunità quasi cancellate, dove ritessere la trama dei rapporti sociali, economici e inter-personali è difficilissimo, seppur non impossibile. Molta gente se n’è andata via, quando invece avrebbe dovuto fare ritorno subito nelle case, così come era stato loro promesso. In giro però si sentono ancora parole e parole, c’è una retorica del terremoto persino peggiore di uno sciame sismico che non si ferma mai. L’aritmetica della burocrazia prende il sopravvento: si assommano i problemi, si moltiplicano le carte e diminuiscono le persone di buona volontà.

Chi è rimasto però non si arrende. Ed in queste ore, lo sta dimostrando in tutti i modi. Per dare il buon esempio, contagiare positivamente gli altri e fare da contraltare alle cattive prassi.

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