di Katya Maugeri
Giornate ricche di polemiche a causa della scarcerazione di alcuni boss. Durante il lockdown sono 376 i detenuti mandati ali arresti domiciliari, tra cui figurano importanti boss e trafficanti di droga.
«Le scarcerazioni di detenuti al 41 bis avvenute in questi giorni non dipendono dalle nuove misure adottate per contrastare la diffusione del virus in carcere facendo calare il numero dei detenuti» a spiegarlo è Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione e dei progetti di ricerca nazionali ed internazionali. «Da quelle misure sono esclusi non solo i detenuti al 41 bis, ma anche molte altre categorie di detenuti per fatti gravi. Dunque, non sono polemiche contro il decreto Cura Italia.
Si tratta di scarcerazioni avvenute in base alle normative preesistenti. Poste a tutela del diritto alla salute delle persone più anziane e malate per le quali la detenzione in carcere non è più possibile. Non hanno nulla di automatico. Sono sottoposte al vaglio della magistratura e se ne sono registrate anche in passato. A meno che non si voglia pensare che i magistrati italiani siano improvvisamente diventati amici dei mafiosi, immagino non sia nemmeno questa la polemica. Allora di che si parla? Vogliamo discutere nel merito se la decisione relativa a tizio o a caio è corretta? Io non credo di averne la competenza. Non ho in ogni caso visto la documentazione che ha visionato il giudice. Quindi, mi fiderei della sua valutazione più che di quella di altri».
Ma qual è la situazione attuale nelle carceri italiane travolta dal Coronavirus? «Ci siamo approcciati a questa emergenza sanitaria con una condizione di sovraffollamento, con strutture vecchie, disagi strutturali importanti, condizioni igieniche rilevanti e una popolazione detenuta molto fragile anche da un punto di vista sanitario. I detenuti, in media, pur essendo giovani presentano problemi sanitari frequenti e complicati: dalle dipendenze alla salute mentale, alle malattie infettive. Si tratta di una popolazione molto problematica».
Sono 60.439 i detenuti presenti nelle carceri italiane al 30 aprile 2019, secondo il XV rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione (anno 2019). Quasi 10.000 in più dei 50.511 posti letto ufficialmente disponibili – cui si debbono sottrarre gli eventuali spazi momentaneamente in manutenzione – per un tasso di affollamento ufficiale che sfiora il 120%. Le donne sono 2.659, pari al 4,4% del totale. Il 33,6% è composto da detenuti stranieri, che in numero assoluto sono 20.324. L’Italia è il primo paese dell’UE per incremento della popolazione detenuta tra il 2016 e il 2018, in controtendenza rispetto al resto del continente (che presenta un trend negativo).
«Adesso la situazione legata al Covid-19 è in evoluzione. Si stanno attrezzando con dei protocolli per l’isolamento e per la prevenzione del contagio. Abbiamo assistito a casi drammatici e da quelle esperienze occorre imparare. Ma «ricordiamo che la maggior parte degli istituti hanno numeri bassi o contagio zero. Adesso serve pensare a come convivere con il virus e riprendere in sicurezza la normalità. Pensiamo alle comunicazioni con l’esterno, con i familiari, a riprendere le lezioni scolastiche. Anche il carcere ha bisogno di questo».
L’associazione Antigone sin dagli anni Ottanta lotta per “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, «lottiamo per il rispetto della legge. Cerchiamo di portare trasparenza e conoscenza. Per gestire e governare il carcere serve conoscerlo altrimenti si rischia di ragionare su stereotipi, pregiudizi e preconcetti che non hanno a che fare con la realtà. Sarebbe un grave e pericoloso corto circuito mettere i pregiudizi al posto dell’analisi. Si rischierebbero scelte inevitabilmente sbagliate».
“Ed è proprio dall’articolo 27 della Costituzione che Antigone vuole ripartire” – si legge nel rapporto di Antigone – “dal suo affidarsi a tre concetti fondamentali: 1) la non coincidenza della pena con il carcere; 2) il divieto assoluto di inflizione di pene disumane e degradanti; 3) la costruzione di una pena che abbia un senso di inclusione sociale”. Rapporto che non potrebbe esistere senza l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, che dal 1998 entra nelle oltre duecento carceri italiane ed è strumento di conoscenza per chiunque si avvicini alla realtà penitenziaria: media, studenti, esperti, forze politiche.
Manca la consapevolezza reale del problema carcerario, la conoscenza di una realtà che in tanti proiettano a una idea astratta perché «nell’immaginario collettivo il carcere è identificato con il mafioso, ovvero una tipologia diversa. Su una popolazione detenuta di 60mila detenuti circa 700 sono al 41bis. Quindi è evidente che si rischia di perdere il fenomeno reale».
“Una delle prime cause dell’eccessiva presenza di persone detenute è da ricercare senz’altro nell’inefficace e repressiva legislazione sulle droghe – si legge sul Rapporto di Antigone – che rappresenta una delle principali cause di ingresso e permanenza in carcere. Al 31 gennaio 2018, il 31,1% delle persone detenute era ristretto per violazione del Testo Unico sulle droghe: circa un terzo del totale. La media europea è del 18%, 13 punti percentuali in meno. In Germania i detenuti per droga erano il 12,6%, in Francia il 18,3% e in Spagna il 19%”.
Molti dei detenuti con problemi di dipendenza o legati alla salute mentale, restano in carcere per la mancanza di risorse e per una lenta burocrazia che li vedrebbe invece collocati in strutture idonee alle loro patologie, «i detenuti tossicodipendenti sono quelli che andrebbero seguiti in modo diverso. Quando un reato è commesso per dipendenza, se la patologia non viene curata, chiaramente sarà recidivo. Il percorso idoneo è fuori, non dentro. Le vittime durante le rivolte, nelle scorse settimane, sono morti per overdose di metadone. La fragilità della popolazione detenuta è tale che quando si perde il controllo l’unico pensiero è andare in farmacia, acquistare del metadone e lasciarsi andare».
La gente è in carcere perché ha violato la legge, non si può pensare che la reazione sia illegale. «È importante che tutto il percorso penale, dal processo all’esecuzione della pena venga eseguito nel rispetto dei diritti delle persone, ovvero nel rispetto della legge. Se cade questo cade tutto. È fondamentale conoscere il fenomeno reale, ovvero quello di una grande massa di persone che commettono reati spesso recidivi, spesso non alla prima carcerazione perché un intervento efficace è mancato e dove probabilmente la sfida è ancora da compiere. In che modo? Offrendo l’informazione e delle scelte alternative. Molti di loro affermano “Io non voglio più farla questa vita” e in quel momento lo pensano davvero. Affinché possano rivoluzionare davvero le loro vite servono valide alternative, strumenti concreti. È un bivio al quale si ritrovano non appena scontata la pena. Non è una sfida facile ma viene combattuta in tutta Italia».
L’associazione Antigone è presente anche in Sicilia e nonostante il periodo complicato non ha abbandonato la sua missione.
«Sono giorni difficili per chi sta in carcere – spiega Pino Apprendi presidente di Antigone Sicilia – non solo per la pena che ciascuno deve scontare e per il rischio contagio Covid19, ma perché è stato alimentato un clima giustizialista che dilaga senza avere conoscenza delle leggi dello Stato. I contatti maggiori di questi giorni, da parte dei familiari dei detenuti sono avvenuti a causa della mancanza di colloqui e quindi di notizie dei congiunti ristretti e per verificare se, per chi ne avesse diritto, ci sono opportunità di lavoro. Purtroppo la risposta è sempre negativa perché la legge è cambiata alcuni anni fa, e l’imprenditore non trova alcuna convenienza ad assumere detenuti.
C’è stato un periodo, prima che cambiasse la legge, che molti dei detenuti riuscivano a trovare opportunità d’inserimento in cicli produttivi che erano utilissimi a un recupero sociale completo. Adesso tutto è bloccato e il recupero diventa un percorso molto più complicato. Chi fa le leggi non mette nel conto che si parte da un pregiudizio nei confronti del detenuto e se l’imprenditore non trova convenienza evita di crearsi ulteriori problemi burocratici dei quali già è vittima».
Il carcere è un luogo al buio ed è importante che si faccia luce e attenzione a quello che succede lì dentro.