Il segreto della cassa argentea

 

 

 

 

Introduzione. Questo racconto è ambientato in una splendida città esagonale: Grammichele, un comune in provincia di Catania di circa tredicimila abitanti. La città è conosciuta a livello mondiale per la sua forma perfettamente esagonale. La sua storia è molto antica. Venne fondata il 18 aprile del 1693, tre mesi dopo l’orribile terremoto dell’11 gennaio che distrusse tutto il Val di Noto incluse le città di Catania, Siracusa e con danni maggiori la cittadella di Occhiolà che era un borgo medievale di origini incerte, le prime fonti risalgono al 1100 dopo Cristo ma, secondo alcuni potrebbe essere l’antica pòlis greca “Echetla”, che si trova sotto gli attuali ruderi del borgo. Oggi il borgo è un parco archeologico visitabile.

Il principe Carlo Maria Carafa, principe di Butera, di Roccella e del Sacro Romano Impero, era il signore di Occhiolà. Dopo che il paesino fu distrutto, egli radunò il popolo rimasto (poche centinaia su quasi tremila abitanti) sul suo feudo a cinque chilometri dalla vecchia città: l’attuale Grammichele. Il principe voleva una città perfetta e la progettò di forma perfettamente esagonale, con al centro una grande piazza esagonale attraversata da sei assi viari che terminano in altrettante sei piazzette rettangolari anch’esse perfette perché rettangoli aurici. Gli assi viari dividono la città in sei spicchi perfetti che in gergo vengono chiamati “sestieri”; ogni sestiere conta dieci insulae abitative che moltiplicate per sei da come risultato sessanta (multiplo del sei). Anche qui la città si dimostra perfetta. Inoltre le strade larghe e le grandi piazze erano state progettate dal Carafa in modo da poter resistere ad un eventuale terremoto. Un esempio di architettura ancora oggi studiata nelle Università di Architettura.

Tutti i luoghi, i nomi delle confraternite (esclusa quella della Morte) e i nomi delle chiese sono veri. I fatti e i nomi sono frutto di invenzione dell’autore.

Elia Guccione, autore del racconto, è un ragazzo di quindici anni frequentante il quinto ginnasio del Liceo Classico “B. Secusio” della vicina Caltagirone. Da diversi mesi fa parte dell’ associazione SiciliAntica sede di Grammichele e partecipa attivamente a tutte le attività dell’associazione.

                                       LA CASSA ARGENTEA

Venerdì 26 luglio 1996. Erano stati appena riaperti gli scavi all’ Ucchiulà, quella terra che nessuno considerava e che tanto nascondeva. Gli archeologi, insieme ad alcuni operai e alla soprintendenza, stavano esaminando una delle tre grandi cisterne dietro quella che un tempo era la chiesa Madre. Nessuno si aspettava di trovare granché, semplice vasellame o qualche utensile.

Era intorno mezzogiorno e si doveva tornare in paese per pranzare per poi fare ritorno, mancava l’ultima grande cisterna ma il Sole picchiava forte e nessuno voleva imbragarsi e calarsi là sotto. Decisero di perlustrare la grande cisterna velocemente, sapendo di non trovarci niente come nelle precedenti. Scesero in due. Lo scenario si presentava buio e cupo e con le lampadine dei caschetti si riusciva a vedere solo la polvere sollevata da tutto quell’andirivieni. Arrivati a terra, iniziarono a guardarsi intorno: era una stanza di tre metri per quattro, veramente grande. Non c’era niente, tranne che piante e piccoli animali morti. Un operaio, però, notò qualcosa in un angolino, una cassa. Dato l’ annuncio in superficie furono calate le funi per portarlo su. Riportatolo alla luce si scoprì che era una cassa d argento semplice, senza nessun ornamento e chiusa quasi ermeticamente. Era piccola più o meno ottanta centimetri per sessanta circa . Era troppo tardi per poter denunciare la scoperta perché le pratiche da svolgere erano troppe, allora si decise di rivelarne la scoperta il pomeriggio seguente.

Tornati ad Occhiolà, nel primo pomeriggio, furono firmati i documenti della scoperta e un camion trasportò la cassa nel paese vicino, Grammichele, dove venne riposta in un piccolo e buio garage fuori paese in attesa di essere studiata da un team di esperti. Gli scavi proseguirono per tutta l’estate e non rivelarono tanto: furono riportati alla luce dei ruderi di abitazioni contenenti del vasellame e vari utensili e questa cassa. La soprintendenza non fu felice di questi scavi, soprattutto dopo le grandi parole degli archeologi sulle possibili grandi scoperte e di quegli scavi non si parlò più, nemmeno della cassa che rimase chiusa in quell’ umido garage coperta da un lenzuolo bianco.

13 giugno 2018. Un gruppo di ragazzi dai 14 ai 23 anni, venuti a conoscenza della misteriosa cassa, volevano visitare il garage e vederla. Sono cinque ragazzi, amici da una vita, appassionati di antichità e accomunati dall’ amore per la propria città e per il suo patrimonio culturale. Il capo della banda si chiama Luca, è il più grande e il più tenace. In ordine di età troviamo Michele che ha 17 anni, Francesco, Giuseppe e Matteo che hanno 16 anni e infine il più piccolo Luigi che ha 15 anni.

Un giorno, proprio Luigi, aveva sentito parlare del ritrovamento della cassa ed era riuscito a convincere i suoi amici a provare a vederla. L’ unica persona a cui chiedere per avere maggiori informazioni, era un professore facente parte con loro di una delle confraternite cittadine, il professore Gianfranco Modica, insegnante di latino e greco al liceo classico della vicina Caltagirone. Sapevano che il professore non avrebbe mai detto di no, visto il suo interessamento verso queste cose, ma stranamente non approvò l’iniziativa, i ragazzi però riuscirono a persuaderlo e si misero d’ accordo per l’ indomani alle dieci, di fronte il garage.

L’ indomani nessuno stava nella pelle, tutti erano entusiasti tranne il professore, che mostrava una certa aria seccata. Entrati nel piccolo garage si accorsero subito della cassa, posta al centro e coperta con un lenzuolo e attorniata da scatoloni contenenti tutto il frutto degli scavi, tutto messo lì alla rinfusa, in modo confusionale e caotico, messi lì e dimenticati. Il professore, palesemente seccato, continuava a dire di fare in fretta ma i ragazzi volevano rimanere per fare qualche foto. Lui molto contrariato li prese di forza e li cacciò fuori e, rimesso tutto a posto, uscì soddisfatto. Salutati i ragazzi, si allontanò.

I ragazzi rimasero scioccati da questo suo comportamento, il professore aveva sempre dimostrato un spirito collaborativo, soprattutto in queste cose. Come se ci fosse qualcosa sotto… . I ragazzi, con le poche informazioni raccolte, si avviarono verso la grande piazza esagonale alla volta della chiesa Madre. Entrati nella grande e sontuosa chiesa si misero subito alla ricerca di Giuseppe. Giuseppe Ferla è il sacrestano che si occupa della chiesa, da quando è nato è stato sempre reputato “scimunito”, ovvero stupido; in realtà il giovane ha una grande intelligenza e un’ottima dimestichezza nel datare le cose, passando le sue giornate a catalogare oggetti.

Era la persona adatta a loro. Mentre gli facevano vedere le foto, le poche foto, uscì il discorso dello strano comportamento del professore. Giuseppe non fu per niente sorpreso e disse loro che il professore aveva sempre avuto un atteggiamento strano nei confronti della cassa e proprio per quella cassa loro avevano litigato e aggiunse una cosa alludendo ad un segreto. I ragazzi, incuriositi, vollero sapere di più e, dopo essersi seduti nei comodi alloggi del coro, si misero ad ascoltare il sacrestano.

Il sacrestano raccontò loro che, secondo una leggenda, nel 1400 circa, una vecchia ambulante visitò i giurati dell’antica Occhiolà chiedendo elemosina, ma i giurati, avendo tante cose da fare la ignorarono. La vecchia continuò a camminare e a chiedere elemosina ma nessuno l’ ascoltava, allora la vecchia, presa da un istinto d’ira, raggiunse la piazza antistante San Leonardo e maledisse tutto il popolo occhiolese per tutte le sue generazioni attraverso un oggetto. La vecchia lo lanciò in alto e appena cadde al suolo, la terra cominciò a tremare e il cielo cominciò a farsi scuro. I confrati presero allora l’ oggetto e lo portarono dentro la chiesa e il prete iniziò a fare degli scongiuri con il popolo angosciato. Intanto i terremoti non si placavano e alcuni confrati andarono da un anziano affinché intrecciasse in fretta un cesto di giunchi dove mettere dentro l’ oggetto. L’ idea funzionò e i terremoti si placarono ma non del tutto, bisognava realizzare una cassa d’ argento e farla scomparire perché non rivedesse più la luce. Dopo un mese fu realizzata una cassa in argento e dei giovani tra confrati, chierici e sacerdoti gettarono la cassa non si sa dove.

Finita la narrazione Giuseppe si accorse che i ragazzi erano rimasti a bocca aperta e volevano saperne di più e cosa più importante se la cassa c’entrasse qualcosa. Usciti dalla chiesa volevano subito andare a fare delle ricerche ma non sapevano da dove cominciare. Una così grande ricerca come doveva svolgersi? Come possiamo avere più informazioni? Chi possiamo interpellare? Dove dobbiamo cercare e cosa? Queste domande frullavano ininterrottamente nelle menti dei ragazzi. Nel pomeriggio, si rincontrarono in piazza e cominciarono a valutare la situazione. Non sapevano a chi chiedere, quando a Matteo venne un’ illuminazione: il sig. Gianluca Scacciante, membro della confraternita opposta alla loro, ma con cui avevano una bella amicizia.

Dalla piazza centrale si spostarono verso casa sua, nel quartiere della chiesa dello Spirito Santo. Arrivati, trovarono il signor Scacciante, un uomo sulla quarantina molto intelligente, in compagnia del professore Modica che, guardandoli con aria seccata (come quella della mattina), se ne andò. Scacciante fu molto felice di ricevere i ragazzi, li fece sedere nel piccolo salotto sul divano e chiese a loro il motivo di quella improvvisa visita, loro raccontarono tutta la storia. L’ uomo, sentendo della cassa, cambiò espressione in volto e si chiuse in se stesso. Conclusa la storia, rise di buon gusto dicendo che quella fosse una semplice storiella raccontata ai bambini per non giocare vicino le cisterne per il rischio di caderci dentro. I ragazzi però non volevano credergli e continuavano ad insistere. Allora il signore si arrabbiò e li condusse alla porta dicendo di avere un altro appuntamento. I ragazzi si insospettirono, lo stesso atteggiamento di Modica, capirono subito che qualcosa non andava e rimasero nascosti dietro l’ angolo in attesa dell’ uscita di Scacciante. Dieci minuti dopo, verso le 20.00, uscì con una grande borsa sospetta. I giovani cominciarono a seguirlo, senza farsi vedere. La macchina si fermò dietro la chiesa di San Leonardo, scese Scacciante sempre con la grande borsa ed entrò in chiesa bussando 6 volte sul medaglione bronzeo della piccola porta laterale. Chi apri? Il professore Modica che lo fece entrare velocemente e chiuse subito la porta. Dopo un po’ cominciarono a venire in tanti, tante persone conosciute come lo stendardiere Salvo Anfuso, il confrate Alessandro

Paglia e tanti altri, perfino il parroco della chiesa Madre Padre Matteo Giandinoto. Tutti con la stessa formula ma nessuno nello stesso orario. Tutto molto strano e quando l’ ultimo entrò, Michele fece un balzo e mise un legnetto nella porta. Aspettarono cinque minuti e decisero di entrare. Normalmente la chiesa a quell’ orario era chiusa e non si aspettavano un simile trambusto senza esserne avvisati, anche se facevano parte della stessa confraternita.

Entrati sentirono subito un forte profumo d incenso e strani chiacchiericci ma non c’ era nessuno. Camminando, Samuele si accorse che la botola delle cripte era leggermente spostata e da lì proveniva uno strano ma intenso bagliore, il profumo d’ incenso e i chiacchiericci spaventosi. Decisero di entrare. Scesi quei venti-trenta scalini si trovarono nelle catacombe. Il bagliore però era ancora lontano ma il sentiero era tracciato da piccole lanterne appese ai muri. Dopo aver camminato per cinque metri tra gallerie, stanze, colatoi e sepolture, arrivarono presso questa grande stanza, illuminata da candele e ornata con piccoli turiboli oscillanti. Dentro c’erano dei strani personaggi vestiti con una tunica e una lunga mozzetta nera, il vestito era completato da un lungo cappello a punta con due fori per respirare anch’esso nero. Sicuramente erano le stesse persone che erano entrate precedentemente. Recitavano il rosario in latino tutti composti attorno un tavolo. I ragazzi rimasero in silenzio fuori da questa stanza ma appoggiati alla colonna dell arco che separava i due ambienti. Erano già alla quinta postina e quando finirono, dopo aver fatto un minuto di spirituale silenzio, iniziarono la paurosa riunione.

Prese la parola il fantomatico capo, contraddistinto dalla mozzetta ricca di gemme. “Fratelli della Confraternita della Morte (confraternita mai esistita a Grammichele) il tempo del conclave annuale è giunto. Quest’anno qualcosa è cambiato, si è tornati a parlare della cassa. Un gruppo di giovani è intenzionato a riportare alla luce il segreto e noi non possiamo permetterlo” Tutti iniziarono a parlare e ripresa la parola il capo, continuò dicendo “Non possiamo permetterlo, questa confraternita segreta è stata fondata proprio per questo e non dobbiamo deludere i nostri avi che dal ‘400 hanno custodito il segreto e la cassa”.

Prese la parola uno dei componenti dell’assemblea

“Governatore, chi sono questi ragazzi?”

Ai ragazzi venne un nodo in gola e, in silenzio, continuarono ad ascoltare.

“Sono i giovani della confraternita di questa chiesa. Devono essere convinti a lasciare stare la cassa, dobbiamo far fallire tutti i loro tentativi di svelare il segreto o sapete cosa succederà a tutta la città e a tutti noi qua dentro”.

In questi posti, pieni di umidità e mai restaurati, gli incidenti capitano e proprio quella sera capitarono a quei ragazzi. Matteo, essendosi appoggiato troppo, aveva reso ancora più instabile la colonnina che poco dopo cedette, provocando un grande rumore. Tutti loro sbiancarono soprattutto quando si accorsero che uno dei tanti incappucciati si stava avvicinando sempre più al loro nascondiglio.

Erano nel panico e strisciando il più velocemente possibile incollati al muro provarono a scappare ma l’ incappucciato li vide e si mise a rincorrerli seguito da tutti gli altri. Loro corsero il più velocemente possibile ma la strada era molto accidentata, soprattutto al buio, e i confrati erano sempre più alle loro calcagna fin quando non videro quei venti-trenta scalini che salirono così di fretta che non se ne erano nemmeno accorti. Mentre Luigi e Michele provavano ad aprire la porta, gli altri tre provarono a chiudere la pietra, ma i confrati erano giunti nei pressi della scala e stavano cominciando a salire quando Michele, con un fischio, fece segno di scappare.

Uscirono correndo e si separarono andando chi verso la piazza, chi verso la chiesa del Calvario (poco lontana dalla chiesa di San Leonardo). Non si incontrarono più per quella sera, si sentirono tramite cellulari e si diedero appuntamento per l’ indomani. La notte fu una delle più lunghe della loro vita, continuavano ad apparire nella loro mente le immagini degli incappucciati e delle loro frasi sulla cassa. Passò la notte e spuntò il giorno.

Incontrarsi in giro era troppo rischioso, potevano incontrare il professore Modica, il signor Scacciante e tutti gli altri. Decisero di incontrarsi a casa di Giuseppe intorno alle 10.00. Per andare all’ appuntamento fecero di tutto per non prendere strade principali e per non farsi vedere e, puntuali si incontrarono a casa di Giuseppe. Erano ancora tutti scossi della brutta avventura del giorno precedente e non ne volevano parlare ma dovevano parlare di questo per forza.

Luca propose di andare a parlare con Giuseppe dell’ accaduto ma Matteo lo bloccò alludendo che forse lo stesso Giuseppe fosse coinvolto. Luigi propose di stilare un elenco, una lista nera, in cui mettere tutti quelli presenti quella notte nella cripta. Francesco esordì dicendo di dover tornare a San Leonardo perché, uscendo dalla cripta, aveva preso da una sepoltura un libro che aveva notato già prima all’ingresso. Lo aveva preso e messo sotto l’ altare maggiore nel sacrario e bisognava andarlo a riprendere. Era rischioso ma necessario per proseguire le indagini. Bisognava inoltre, rivedere la cassa e rientrare nel garage. Solo che questi posti erano pericolosi, e se Modica o qualcun’ altro li avesse visti?

Bisognava far passare un po’ di tempo ma non troppo, e se qualcuno trovasse il libro a San Leonardo? Troppo pericoloso! Intanto la mattina passò così. Si organizzarono nel pomeriggio per andare a San Leonardo a riprendere il libro, senza dare però confidenza a nessuno e senza passare dalla piazza dove avrebbero potuto incontrare Giuseppe della Matrice, forse anche lui coinvolto.

Erano le sedici quando si incontrarono nella strada interna di piazza Dante e appena furono tutti partirono verso San Leonardo. Giunti di fronte la chiesa la trovarono aperta ma videro la macchina di Modica parcheggiata come quella dello stendardiere che li aveva inseguiti la scorsa notte. Spiarono un po’ dalla porta e videro una brutta situazione: Modica, Salvo Anfuso e il sacrestano Antonio Mileti che sorvegliavano la chiesa. Serviva un diversivo. Michele,Luca,Francesco e Matteo entrarono attirando su di sé Modica e Anfuso. Luigi, con uno scatto fulmineo, entrò e andò subito dietro l’altare ma trovò una brutta sorpresa: Mileti. Il quale lo bloccò subito, conoscendo la timidezza del ragazzo, e provò a prendergli il libro ma il ragazzo prontamente prese il porta turibolo e glielo gettò ai piedi e seguì con un calcio nello stinco. Mileti cadde a terra e il piccolo Luigi scappò lanciando un fischio ai compagni che lo seguirono dopo aver buttato a terra, ai piedi dei due antagonisti, un portacandele in ferro. Usciti scapparono verso la casa di Giuseppe. Modica prese la macchina e provò ad inseguirli ma erano già troppo lontani per lui che non riuscì a scoprirli.

Il libro era molto bello, aveva una copertina in pelle su cui era scritto “Proprietà della Confraternita della Morte”, custodiva al suo interno tutta la storia della cassa e della maledizione e sanciva tutto lo statuto della confraternita nonché tutti gli spostamenti della cassa, dal primo all’ ultimo del garage. Ora bisognava analizzare meglio la cassa ma dopo i fatti successi era difficile non trovare qualcuno di loro a sorvegliarla.

La sera seguente, intorno alle 23.00 si incontrarono di nuovo verso il garage. La volta precedente si vedeva un po’ la cassa da una finestrella, quella volta non si vedeva niente. Il garage era stato svuotato del tutto e la cassa era sparita. Missione fallita, ma non si persero d’animo. Il gruppetto si salutò e si diede appuntamento per l’indomani al solito posto.

L’indomani di buon mattino si incontrarono di nuovo a casa di Giuseppe, stavolta più lucidi ma più preoccupati. Michele non voleva crederli che Giuseppe Ferla facesse parte della confraternita ma incontrarlo è troppo rischioso, nemmeno Luca e Luigi ci credevano e volevano parlargli. Matteo alle loro parole li rimproverò dicendo loro che dovevano continuare da soli questa cosa e che nessun’ altro doveva essere coinvolto. Nel primo pomeriggio, a casa di Giuseppe, suonò il campanello: era un uomo. La madre di Giuseppe lo fece entrare e lui chiese del figlio, lei lo chiamò ma appena lo vide entrò nel panico, sì era proprio lui: Modica. Era venuto a reclamare il libro rubato. Giuseppe impallidì, intanto Modica si avvicinava verso di lui con la mano destra tesa. Stavolta Giuseppe era solo ma non troppo, sua madre bloccò il professore e disse a Giuseppe di scappare con il libro, lui obbedì e, presa la bicicletta, scappò con il libro. Intanto il professore, bloccato dalla madre nel salotto, si infuriò e con uno spintone la gettò a terra e uscì di casa correndo verso la macchina. La donna rimase lì sola, non volle chiamare la polizia per paura di coinvolgere in qualche modo il figlio ma stette tutto il pomeriggio in pensiero.

Giuseppe scappò lontano verso casa di Luigi, che abitando in periferia, era più difficile da raggiungere. Giunto da lui gli raccontò la triste vicenda e decisero di richiamare i ragazzi ma stavolta a casa di Luigi. Michele ribadì di parlarne con Giuseppe Ferla e stavolta nessuno volle dire di no ma nessuno voleva uscire per paura. Michele,Luca e Matteo partirono alla volta della Matrice per parlare con il sacrestano.

Quando entrarono non c’era nessuno, solo Ferla. I tre si fermarono sotto la cupola, davanti a lui che si trovava sopra l’altare maggiore. Si guardarono intensamente e quando Giuseppe scese verso loro, loro si allontanarono. Giuseppe capì cosa avevano visto e a gran voce si mise a parlare: “Ragazzi, pensate che io faccia parte di quella cosa mostruosa?” Ma i ragazzi “Allora come fai a conoscerli?” e lui “Li conosco perché anche io li ho spiati dieci anni fa e non vi lasceranno in pace finché non prometterete loro il silenzio”,

“Ma loro vogliono anche questo” dissero i tre mostrando il libro,

“O Madonna!” esclamò Giuseppe “Nascondetelo immediatamente, nascondetevi immediatamente”,

“E dove?” gli chiesero e lui “Seguitemi”.

Si incamminarono verso la navata destra, verso la piccola porticina bianca per l’accesso al campanile. Giuseppe aprì la porta, accese la luce e disse “Salite, a metà troverete un corridoio e una stanza, lì vi riparerete con gli altri per questo giorno”. I giovani salirono attraverso questa piccola scomoda scala in muratura a chiocciola, l’ambiente era ombroso e c’era odore di muffa. Trovarono la stanza, era una stanzetta semplice, vuota, i muri erano di color cemento perché lasciati grezzi, era “perfetta”. Richiamato il resto del gruppo, decisero di cercare la cassa escludendo in principio le abitazioni private dei vari incappucciati. C’era chi diceva di cercare nelle cripte di San Leonardo, chi nella cisterna di Occhiolà dove fu ritrovata, qualcuno ipotizzò anche nelle grotte del piccolo bosco nei pressi della città. Tutte belle ipotesi ma bisognava verificarle. Presero della carte di giornale, lasciata lì per spaventare le colombe, e scrissero tutti i posti da visitare. Si era fatto tardi e appena suonarono le sette, scesero e aiutarono Giuseppe a chiudere le porte, esitarono dieci minuti prima uscire e uscirono dal piccolo garage che dava su una strada chiusa e dimenticata da tutti. Si salutarono e si diedero appuntamento per l’indomani. Giuseppe al solito uscì dalla porta secondaria che dava sul corso Roma, quando fu attorniato da Salvo Anfuso e Gianluca Scacciante. Lui fece il finto tonto ma loro arrivarono subito al punto dicendo di sapere che lui li stesse nascondendo ma con tanta disinvoltura li salutò e partì verso casa. I due lo lasciarono perdere in quanto scimunito e si rimisero in macchina.

L’indomani si incontrarono di nuovo nella piccola stanzetta. La notte aveva portato consiglio e i ragazzi stilarono nuovamente la lista dei luoghi in cui cercare la cassa. Decisero che nel pomeriggio avrebbero cercato ad Occhiolà. Il professore Modica, che non voleva arrendersi, si mise ad aspettarli fuori dalla chiesa ma nascosto. Appena usciti (loro non si erano accorti di niente), lui entrò e preso con la forza Giuseppe, si fece condurre nella stanza dove si nascondevano i ragazzi. Salì le scale e entrò nella stanza, trovò subito il foglio. Scese le scale e tornò a casa.

La giornata era nuvolosa e nel pomeriggio il tempo peggiorò, cominciò a piovere e si rimandò tutto all’indomani. Nel frattempo Modica radunò di nuovo il conclave della confraternita e comunicò le scoperte. I confratelli si preoccuparono: la cassa era lì, bisognava spostarla. L’indomani arrivò presto e i giovani partirono con le biciclette verso il borgo distrutto. Li seguivano con la macchina Modica e Scacciante. In realtà Modica voleva scoprire cosa nascondesse la cassa e questa era la volta giusta. Ma Padre Giandinoto, furbo e molto reattivo, aveva capito già da tempo le vere intenzioni di Modica e si trovava già ad Occhiolà per spostare la cassa insieme a Salvo Anfuso e Francesco Amore. Quando arrivarono i ragazzi (il prete insieme ai due se ne erano già andati), si misero a cercarla, salendo subito al castello, Modica li seguì a debita distanza.

Arrivati in cima al poggio provarono a calarsi nella cisterna, avendo visto la cassa. Mandarono giù i due più leggeri: Matteo e Luigi. I due, dopo aver preso la cassa la tirarono su e uscirono. Ma Modica li sorprese alle spalle, insieme a Scacciante, li bloccò con le stesse funi e prese la cassa. “Voi pensavate di poterci sconfiggere così” disse Modica con tono beffardo e continuò dicendo “Il segreto di questa cassa non deve essere rivelato e ciò che c’è dentro non va mostrato alla luce. Sapete la storia no? Nel corso degli anni diverse volte hanno provato ad aprirla, anche qua ad Occhiolà. Secondo voi il terremoto non c’entra nulla con l’apertura della cassa? E tutti gli altri avvenimenti successi a Grammichele? (Si riferisce a varie tragedie successe lungo la storia della città) Quella cassa da sempre ha perseguitato il popolo. Da Occhiolà a Grammichele, lì è rimasta per tanto tempo cambiando ad ogni secolo posto. Negli anni quaranta i nostri avi la riportarono ad Occhiolà in questa cisterna, negli anni novanta fu ritrovata e provarono ad aprirla e, stranamente, crollò la chiesa di San Leonardo uccidendo diversi nostri confratelli. Pensate ancora che questa cassa non sia pericolosa?” Francesco rispose dicendo: “I Grammichelesi devono sapere tutto questo”

Replicò Scacciante: “Mai, chi ha voluto farlo o meglio, chi ha provato a farlo ha trovato la morte. Il vostro amico Giuseppe Ferla vi dice qualcosa? Anche lui si era introdotto nelle catacombe e ci aveva visti ma quando lo abbiamo scoperto, lo spavento è stato così grande che è rimasto, purtroppo, così. Voi non avete avuto la sua stessa sorte ma il segreto non può essere rivelato”. A questo punto Scacciante tirò fuori una pistola, non molto grande, ma pur sempre una pistola e la puntò ai poveri ragazzi.

“Non penso che questi sciocchi ragazzini vogliano rivelare il segreto ora” disse Modica, ridendo di buon gusto.

I ragazzi non sapevano che fare, abbandonare tutto o continuare. Si scambiavano degli sguardi ma non riuscivano a parlare. Luca prese coraggiosamente la parola e promise che il segreto non sarebbe stato rivelato. I due si fidarono di loro anche perché se avessero detto qualcosa sapevano a cosa andavano in contro. Li lasciarono lì e, presa la cassa, se ne andarono. Mentre scendevano dal poggio, Modica con la cassa davanti a Scacciante, il professore cominciò a parlare

“Sai, Gianluca, però la curiosità è tanta e una sbirciatina in un luogo chiuso non fa male anche perché, come tutti sappiamo, la cassa contiene il cestino di giunchi con dentro l’oggetto. Una sbirciata non rovinerà tutto”

“Non vorrai mica aprirla?”

“Sai, siamo solo noi due, possiamo anche farlo, tanto la maledizione dice apertamente che se l’oggetto vedrà la luce, scatterà la maledizione, non dice se verrà aperta”.

“Gianfranco ma sei pazzo? E non pensi che chi apre o rivela il segreto della cassa muoia immediatamente?”

“E’ un compito della confraternita uccidere i trasgressori non della maledizione”.

“Non ti appoggerò mai e dirò tutto al parroco”

“Staremo a vedere” e subito estrasse una pistola e sparò un colpo che colpì Scacciante alla gamba, il quale cadde immediatamente a terra in una pozza di sangue. Modica nascose la pistola nel lungo giubbotto e scappò verso la macchina. Ritornò in paese e andò a casa sua. Si mise nella stanza più buia, illuminata solo da una piccola candela. Con un piede di porco forzò la cassa che, senza fare resistenza, si aprì. Modica era eccitato di conoscere il segreto primordiale su cui si fonda la storia della città ma cambiò subito umore quando scoprì che la cassa era vuota. Preso da un’istinto d’ira scaraventò la cassa e cominciò a piangere pentendosi di quel che aveva fatto.

Intanto padre Giandinoto, Salvo Anfuso e Francesco Amore erano nella chiesa di San Leonardo. La chiesa era chiusa e loro avevano smontato l’altare maggiore. Su una sedia, avvolto in un lenzuolo bianco, si trovava il cestino di giunchi (quello della cassa). Finito il lavoro, presero il cestino e lo misero dentro l’altare, in una piccola nicchia ricavata nel legno. Prima di richiudere però, aprirono il cestino (la curiosità era tanta) e preso l’oggetto lo posarono nella nicchia e rimontarono l’altare.

Modica si era pentito del suo sciocco comportamento e aveva riportato Scacciante e i ragazzi a Grammichele poco dopo l’accaduto. Ma la legge è legge. Passò il venerdì, arrivò il sabato e una cruenta scossa di terremoto si abbattè sulla cittadina. Il povero Salvo Anfuso, che viveva da solo, si spaventò così tanto che ebbe un attacco di cuore e morì all’ istante. La scossa, seppur debole, distrusse qualche casa, inclusa quella di Francesco Amore, che morì schiacciato da una trave. La domenica tutti i Grammichelesi si ritrovarono nelle chiese a pregare per la salvezza. Fu detta una messa a San Leonardo nel primo pomeriggio, celebrata da padre Giandinoto. Sul soffitto erano spuntate tante crepe ma niente di preoccupante. Al momento della Consacrazione, quando il sacerdote alzò l’Ostia e la campanella suonò, si staccò dal soffitto un angioletto di stucco, proprio sopra l’altare, che colpì padre Giandinoto in testa, uccidendolo all’istante.

Chi aveva sbagliato aveva pagato, tutto era tornato alla normalità, ma del cesto di giunchi e del suo contenuto non si seppe più niente, vista la morte delle tre persone che lo nascosero. Nessuno sa dove sia ancora oggi tranne colui che scrive questo scritto in questo libro della Confraternita detta della Morte, unico membro della Confraternita ad aver rispettato l’anonimato. Egli serberà questo segreto fin dentro la tomba affinché di questa assurda storia rimanga un ricordo leggendario, un ricordo segreto che ha causato morti e distruzione, seminando soltanto panico e dolore.

Qui lo scrivo e qui lo prometto, nei secoli dei secoli, amen.

G. Ferla scrisse. A.D. 23 gennaio 2019.

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