Bellezza e degrado del patrimonio archeologico di contrada Santa Panagia di Siracusa


 
 
Stefano Agnello

Fondata nel 733 a.C. dai Corinzi guidati dall’ecista Archia, Siracusa fu caratterizza sin dall’inizio da più nuclei abitativi, che giustificano sin dall’origine il suo nome al plurale Syrakousai (Siracuse) e in seguito l’epiteto di Pentapoli. Purtroppo l’enorme patrimonio archeologico lasciato in eredità è oggi spesso preda di figure vandaliche come i cacciatori di tesori e ancor peggio di tombaroli attivi in molteplici scavi clandestini, intenti a recuperare reperti nascosti di storico e intrinseco valore, in barba ai danni irreparabili che essi posso arrecare al contesto topografico circostante. Reperti la cui destinazione finale, nel rispetto morale delle regole, dovrebbe essere l’esposizione museale per la pubblica fruibilità piuttosto che arricchire le collezioni private, alimentando esponenzialmente il mercato nero delle antichità. Ma ancor peggio è il disinteresse e l’incuria dei cittadini e delle autorità che dovrebbero provvedere alla tutela di questo patrimonio.
In tale prospettiva vorrei analizzare dettagliatamente alcuni dei tanti esempi clamorosi che Siracusa offre nel suo contesto: il patrimonio archeologico di contrada Santa Panagia, vittima del quotidiano e devastante degrado culturale tale da comprometterne la stessa esistenza.
L’attuale contrada Santa Panagia è situata all’interno della circoscrizione di Tiche a Nord-Ovest di Siracusa, corrispondente quasi certamente all’antico territorio della città-quartiere che componeva la Pentapoli greca. Il nome deriva letteralmente dal greco Pana-ghia (Παναγία): πᾶν = tutta e ἃγια = santa, cioè Tutta Santa, attributo che il mondo orientale cristiano usava per identificare Maria, la madre di Gesù, citata anche nei cerimoniali ecclesiastici della chiesa ortodossa, in quanto rappresentava la genitrice del pane consacrato per il rituale eucaristico dell’ultima cena (ἄρτος τῆς Παναγίας = pane della Tutta Santa). Questo forte legame con la chiesa orientale si giustifica ulteriormente, quando, Siracusa fu di fatto capitale dell’impero bizantino dal 663 d.C. al 668 d.C.
Da un punto di vista geomorfologico l’area siracusana presenta una composizione del suolo di tipo carsica, tipica del comprensorio ibleo, e quindi ben adatta al fenomeno degli ingrottamenti naturali e ricca di sorgenti d’acqua dolce. Due sono le fonti d’acqua attestate nel suo sottosuolo, una si trova sotto il centro abitato, chiamata Fonte di Gelone; la seconda sgorga all’esterno del quartiere, nei pressi della baia omonima ed è nota come Fonte Acqua e Palummi (palummi nel dialetto siracusano significa “colomba”), in quanto il sito è sede di sosta migratoria molto ambita da numerose specie di volatili. A differenza della ben più nota Fonte Aretusa nel cuore di Ortigia, questa fonte mescola le sue acque dolci direttamente con l’acqua salata, tale da formare un proprio ecosistema marino tanto unico quanto fragile e quindi bisognoso di attenzioni particolari. Inoltre la presenza di numerose grotte naturali, suggerisce, che siano state usate come luoghi di sepoltura dal periodo preistorico fino all’epoca paleocristiana, le cui tracce archeologiche, evidenziano la presenza di alcune grotticelle artificiali databili all’epoca bizantina.
Degna di nota è l’Oratorio di Santa Panagia segnalato per la prima volta da Giuseppe Agnello nel 1960. La chiesetta presenta una pianta pressoché circolare con soffitto voltato a cupola depressa, mostrando un ciclo di affreschi che ne ricoprivano le pareti in buona parte guasti. Di fronte all’ingresso, in posizione sud-ovest, si trova una grande edicola rettangolare scavata nella roccia fiancheggiata da entrambi i lati da edicolette usate molto probabilmente come dispensari per le offerte votive; poco più a destra si trova una seconda edicola rettangolare, mentre la parete d’adito è integrata da muratura. Su ipotesi dello stesso Agnello, la chiesa si data tra il XIII-XIV secolo e pertanto la fabbrica non è bizantina; ciononostante, il nome popolare con cui è nota, deriva da un attributo dedicatorio alla Madonna molto comune negli ambienti sociali di epoca tardo-bizantina. Nel tempo l’area ha subito lo sfregio di essere usata non solo come discarica abusiva, ma è stata preda ambita di scavi illeciti nel tentativo goffo, di ricavarne preziosi tesori da piazzare sul mercato nero. Attualmente è gestista dall’associazione Natura Sicula che con regolari interventi di pulizia volontaria, ne garantisce una facile fruizione per tutti coloro che hanno interesse nel visitarla.

Adiacente all’oratorio rupestre si trova la Tonnara di Santa Panagia già adibita in passato alla pesca del tonno dai tempi di Ruggero II intorno al 1100. Dal 1655 la gestione fu ceduta a privati e poco tempo dopo nel tremendo terremoto del 1693 venne distrutta completamente; la riedificazione integrale dell’edificio avvenne nel 1700 e dal 1871 fino al suo esproprio negli anni ’80, incrementò i propri commerci grazie al nuovo tracciato ferroviario costruito nelle vicinanze (dove ora sorge la nuova pista ciclabile dedicata a Rossana Maiorca, figlia del grande Enzo Maiorca). Oggi versa in un desolante abbandono, semi diroccata per le inefficienze di chi ha il dovere di valorizzarla e renderla fruibile. Dopo lunghe e tribolanti vicende alterne, si è proposto di recuperare il sito storico e di trasformarlo in un contenitore socio-culturale quale Museo del mare. Nel 2012 il progetto prese maggior rilievo grazie all’attivazione di fondi della comunità europea destinati al restauro del sito, ma fino ad oggi i lavori non sono ancora cominciati, mentre il sito versa nel più totale degrado.
Attorno alla tonnara esiste un ricco patrimonio archeologico di grande rilevanza. All’ingresso Nord di Siracusa, in contrada Targia (viale Scala Greca), dove un tempo era ubicato l’Exapylon, un ingresso monumentale caratterizzato da ben sei aperture, due grandi aperture grottali sono state interpretare come Santuario rurale dedicato alla dea Artemide. Sia a Nord che a Sud della tonnara si possono individuare numerosi tratti basamentali delle Mura Dionigiane, di dimensioni piuttosto larghe e invalicabili, opera di straordinaria valenza militare fatta edificare da Dionisio I per difendere Siracusa dai continui attacchi perpetuati dai cartaginesi. Non meno interessanti sono le tracce di Carraie greche la cui presenza viene giustificata archeologicamente dall’antico approdo greco del Trogylon, dove l’acqua di mare si incanalava maggiormente nella parte finale di una piccola valle (u Vadduni i Bonagia). Veniva usato come approdo per le imbarcazioni di mercanti e marinai agevolati dalla presenza intorno alla cala del proasteion (piccolo abitato suburbano), avente la funzione di una stazione di sosta mercantile per ottemperare ai servizi di prima necessita richiesti dai naviganti.
Infine da un punto di vista militare, grazie alla sua posizione avanzata, il capo di Santa Panagia è stato considerato un luogo d’importanza strategico: durante la seconda guerra mondiale ha ospitato la batteria più potente del Mediterraneo di cui ne sono testimonianza le Casematte militari sparse nella zona e oggi considerate patrimonio urbano poiché rivestite di grande valore storico.

Ma come per il resto, anch’esse, condividono il triste destino del degrado e preda di incivili che ne hanno deturpato la struttura con la presenza di scritte prive di ogni contesto e di rispetto del monumento. Stesso discorso per la necropoli greca di Viale Santa Panagia datata tra il VI sec. a.C. e il V sec. a.C.; una scoperta di comodo solo per pochi studiosi, giacché le poche sepolture visibili lungo lo spartitraffico che delimita l’omonima via, versano in un vergognoso degrado, il più delle volte usate come discarica di rifiuti, senza che vi sia stato alcun intervento di bonifica da parte delle autorità competenti.
Se da un lato bisogna gioire della presenza di questi inestimabili gioielli, incastonati nel comprensorio di Santa Panagia, dall’altro non si può restare indifferenti alle molteplici carenze gestionali e ambientali di cui quest’area patisce un profondo degrado ogni giorno. Essendo situati in un’area periferica del perimetro cittadino, ha subito lo sfregio di essere usata come discarica abusiva e come punto di scarico delle acque reflue fognare, nella più vergognosa incuria e indifferenza perpetuata non solo dagli amministratori locali ma anche dagli stessi cittadini. Totalmente inadeguata risulta la mancanza di una più responsabile educazione sociale sulla valorizzazione dei beni culturali e ambientali; il sito rappresenta un grande serbatoio ad alto potenziale culturale nel favorire il rinvigorimento del settore turistico, che qui può apprezzare le meraviglie paesaggistiche e archeologiche che la zona può offrire.
L’istituzione di un parco archeologico integrato a quello di un’area marina protetta, garantirebbe non solo la riqualifica di una zona destinata all’inserimento nei più importanti circuiti turistici, trasformandosi in risorsa per lo sviluppo del territorio siracusano creando reddito e posti di lavoro, ma permetterebbe di strappare un importante pezzo di storia siracusano dall’oblio della memoria collettiva e da un impiego indiscriminato, da parte di privati speculatori, ad usi personali e privi di qualunque beneficio utile per la collettività cittadina. Ci si potrebbe avvalere, per questo arduo impegno, dell’apporto di associazioni culturali che da anni collaborano con gli Enti Pubblici, e grazie alle loro competenze e buona volontà, potrebbero aiutare gli enti preposti, spesso in difficoltà per insufficienza di fondi economici e di risorse umane di ottemperare ad un compito così gravoso.

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