Singolare Femminile: una, nessuna, centomila


 
 
 
Susanna Basile

CATANIA – Per la rassegna Te’Atro creata dal Teatro L’istrione nella persona di Valerio Santi (attore, regista, scenografo e anima del teatro) ha debuttato nel suo nuovo spettacolo “Singolare Femminile” Giovanna Criscuolo che ripeterà la prova domenica 4 marzo alle ore 17.00. “Si tratta di un appuntamento che Valerio rinnova ogni anno insieme al tè e i pasticcini, infatti il teatro cambia vestito ci sono i tavoli le sedie disposte a circolo e l’atmosfera diventa molto più intima tanto che il genere del monologo raggiunge il suo aspetto migliore. Certo in realtà essendo sola e avendo poco tempo a disposizione devo conquistare subito il pubblico altrimenti rischio di perderli…” ci confessa in un’intervista video che troverete (link)

Ma Giovanna Criscuolo ci conquista e ci affascina tutti: lei è “una, nessuna, centomila” col suo monologo Singolare Femminile ci racconta le varie tipologie di donne: dalla donna che non vuole invecchiare e sottopone ad interventi chirurgici, dal nuovo tabù che è la dieta; dalla carnivora formosa e grezza che si incontra in palestra o a scuola, alla raffinata e smunta vegetariana o vegana, una serie di stereotipi su cui sghignazzare e ridere che è un modo per tenere lontani i fantasmi, di queste nuove tribù e di questi indigeni metropolitani. Scommettere infatti sul Monologo, e questo fa L’Istrione, non è cosa da poco. Che sia divertente, ironico, politico, drammatico o commovente quando il narratore è ‘autodiegetico’, cioè racconta i fatti in prima persona, ed è protagonista della storia rivolgendosi direttamente allo spettatore, come se stesse conversando con lui, entra direttamente in contatto con la sua parte interiore. Spesso non è facile da digerire perché non sempre vogliamo entrare in contatto col nostro spazio interiore. Da un punto di vista psicologico il monologo è l’espressione della nostra parte inconscia nascosta che viene fuori, la nostra parte irrazionale, che paradossalmente influenza (ormai è scientificamente dimostrato) la nostra parte razionale, quella quotidiana. Così la Criscuolo ci fa riflettere utilizzando sapientemente le sue “maschere” da consumata e istrionica attrice utilizzando musiche e luci per sottolineare il passaggio tra “evento esterno”, cioè la narrazione dei fatti dalle emozioni provocate a se stessa e chi lo sa forse pure al pubblico ignaro.

Alla base del monologo di qualsiasi natura c’è una frazione di pensiero pirandelliano, non me ne vogliano i puristi del teatro classico, c’è una concezione vitalistica della realtà: tutta la realtà è vita, perpetuo movimento vitale, inteso come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all’altro. Se Pirandello fosse vissuto nel nostro tempo sarebbe stato pure lui vittima di facebook degli smartphone e di internet: il pettegolezzo, l’ipocrisia, il sentirsi inadeguati e fuori dal coro…

E tutto ciò che si stacca da questo flusso, e assume forma distinta e individuale, si rapprende, si irrigidisce, e comincia secondo Pirandello a morire. Così avviene per l’uomo: si distacca dall’universale assumendo una forma individuale entro cui si costringe, una maschera (“persona”) con la quale si presenta a sé stesso. Non esiste però la sola forma che l’io dà a sé stesso; nella società esistono anche le forme che ogni io dà a tutti gli altri. E in questa moltiplicazione l’io dei personaggi femminili di Giovanna Criscuolo perde la sua individualità, da «una» diviene «centomila», quindi «nessuna».

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