Sisma di Santo Stefano, quanto vale la ricostruzione economica che sta per partire nei nove comuni

Sisma di Santo Stefano, quanto vale la ricostruzione economica che sta per partire nei nove comuni

FLERI – Dal disagio ad un nuovo assetto è stato il titolo di una tavola rotonda promossa a Fleri dalla comunità parrocchiale Maria Ss. del Rosario e dedicata ad una riflessione “a più voci” sul dopo terremoto di Santo Stefano, ad un anno dall’evento sismico che ha colpito nove comuni della faglia di Fiandaca.

Una voce importante della ricostruzione, che si appresta a partire, è quella economica o delle attività produttive. In questi giorni, sui siti dei comuni è stato pubblicato il modello-tipo del questionario rivolto alle imprese per segnalare i danni alle attività produttive che fa seguito ad una informativa del Commissario Straordinario Salvatore Scalia del 19 dicembre. Si prova in questo modo ad effettuare un accertamento sommario dei danni subiti dalle imprese, prima di emettere la relativa ordinanza che consenta di ristorare le attività produttive per danni alle scorte, ai beni strumentali, agli immobili ad uso industriale e commerciale, a condizione che tali danni siano riconducibili al sisma di Santo Stefano del 2018. Il termine per presentare l’istanza è domani 8 gennaio.

Il tema della ricostruzione economica è stato largamente sottovalutato dalla Protezione Civile regionale durante tutta la fase emergenziale. Più intenta ad occuparsi della questione abitativa privata e degli edifici pubblici, che rappresenta ancora la vera priorità per migliaia di famiglie – tra contributi di autonoma sistemazione, di ripristino delle abitazioni fino a 25.000 euro e sistemazione degli sfollati negli alberghi – la Protezione civile non è mai riuscita a quantificare con precisione i danni economici conseguenti al terremoto, se non limitatamente alla segnalazione degli immobili ad uso commerciale o industriale effettivamente resi inagibili, in tutto o in parte, dall’evento sismico.

Ad esempio, a Fleri risultano tuttora inagibili i locali commerciali che ospitavano prima del sisma la farmacia della dottoressa Giusy Di Leo e lo studio fotografico di Rosario Cavallaro: entrambi hanno ricollocato da altra parte la propria attività, la farmacista nella piazza Barbagallo in una struttura temporanea posta di fronte la Chiesa e il fotografo in un locale preso in affitto al centro di Zafferana Etnea. Le ricollocazioni, seppur all’interno dello stesso territorio, hanno generato per i titolari costi aggiuntivi, anche di gestione ordinaria. Ha sospeso invece del tutto l’attività la titolare della macelleria sita in via Vittorio Emanuele, la signora Grazia Pennisi, il cui immobile, inagibile a seguito del terremoto, è stato successivamente abbattuto perché pericolante e pertanto dovrà attendere nuove disposizioni su dove e quando potrà essere ricostruito insieme alla abitazione soprastante. Sono decine e decine le attività imprenditoriali e commerciali che si trovano tuttora o si sono trovate nelle medesime condizioni. In alcuni casi, i titolari di alcuni esercizi, effettuati i primi lavori di riparazione e di ristrutturazione, hanno deciso di ripartire ugualmente per non compromettere definitivamente la continuità dell’attività economica. Così ad esempio hanno fatto la signora Concetta Ferlito titolare di un negozio di generi alimentari, la macelleria di Giovanni e Chiara Cavallaro, o i titolari dei bar La Svolta e Blue Bar ed altri ancora. Tanti altri sono si trovano in una “condizione sospesa” che non fa bene alla salute finanziaria delle proprie attività. Ad esempio, Stefania Coco e la sua famiglia che a Poggiofelice gestiscono un’attività di produzione del miele e per alcune fasi del processo produttivo, vedi la smielatura, sono stati costretti a rivolgersi altrove.

Lo spettro dei danni si allarga ancora di più se si considerano anche le attività che, pur non colpite direttamente dal terremoto per danni agli immobili, hanno risentito di tutte le condizioni negative associate al sisma: nei giorni immediatamente successivi, l’effetto panico che ha portato tanti turisti a cancellare le prenotazioni nelle piccole ma dinamiche strutture ricettive dell’area etnea; poi il problema della viabilità lungo l’arteria principale che collega Monterosso a Zafferana Etnea che di fatto ha scoraggiato tantissimi a recarsi sia a Zafferana centro che nelle frazioni per via delle difficoltà logistiche. Su tutti ha pesato e sta pesando l’effetto oblìo, cioè il fatto che il territorio è come se fosse caduto nel dimenticatoio a seguito del sisma, nonostante stia facendo di tutto per rialzarsi.

I danni economici conseguenti al terremoto sono stati considerevoli, sebbene non ancora adeguatamente quantificati.  Per ristorare gli imprenditori, nella legge sulla ricostruzione è prevista una somma di poco superiore ai 4 milioni di euro. Ad occhio e croce, si comprende bene che quelle risorse finanziarie sono insufficienti, soprattutto se bisognerà includere anche il minor fatturato conseguito nei tre mesi successivi al sisma, che molti operatori economici colpiti dal sisma sono in grado di poter dimostrare.

L’area dei nove comuni che rientrano nel cratere del sisma di Santo Stefano è un territorio economicamente importante e il terremoto ha lasciato purtroppo un’impronta forte che ne mette a repentaglio il suo futuro. Abitato da oltre 142.000 persone, che rappresentano quasi il 13% di tutta la popolazione dell’intera provincia di Catania, quel territorio, che si estende dalle Aci fino a Milo passando per i comuni della fascia etnea inclusa la città di Zafferana, conta più di 13.000 unità produttive che sono per lo più di piccole e piccolissime dimensioni, dunque più fragili. Ovviamente non tutte sono state colpite dal terremoto, ma parecchie hanno registrato una flessione dei ricavi o sono andate incontro a costi più elevati per l’onda lunga di disagi venutasi a creare dopo il sisma di Santo Stefano. In quel territorio, dove la forbice tra redditi da lavoro dipendente e redditi da lavoro autonomo è di appena 9.000 euro l’anno, si fa impresa spesso per necessità e per sostenere le famiglie. Non mancano pure le imprese più grandi, quelle con fatturato superiore al milione di euro sono più di trecento e danno lavoro a diverse migliaia di persone, quasi 7.000. Non c’è dubbio che se qualcuna di queste è andata incontro a forti perdite economiche per via del terremoto, a rischiare non sono soltanto i titolari, che si vedrebbero costretti a chiudere, ma soprattutto le decine e decine di dipendenti per ciascuna azienda che rimarrebbero senza lavoro a seguito di eventuali licenziamenti

L’elenco dei danni potrebbe continuare se calcolassimo tutti i maggiori costi (compresi quelli della burocrazia) cui sono andati incontro gli imprenditori dei nove Comuni che, nel frattempo, continuano a pagare tasse, contributi e interessi bancari. Per il terremoto dell’Emilia Romagna del 2012 sono stati stanziati fino ad ora quasi 2 miliardi di euro per la ricostruzione economica nei 59 comuni interessati da quegli eventi sismici. Il paragone non regge, perchè quella porzione dell’Emilia Romagna, con tutte le imprese stanziate lì, vale il 2,5% del PIL dell’intera Italiana. Dunque c’è stata una mobilitazione di tutti i soggetti pubblici, Stato, Regione ed Unione Europea per rilanciarla ed effettivamente adesso la crisi è stata superata. Però tra i quasi 2 miliardi per l’Emilia Romagna e le poche briciole previste dallo Sblocca cantieri per i nove comuni posti lungo la faglia di Fiandaca passa una distanza abissale.

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