Social media: fonti accessibili ai minorenni?

Social media: fonti accessibili ai minorenni?

Carmelo Cataudella
avvocato e responsabile dell’Osservatorio Permanente per i fenomeni di cyberbullismo e tranelli informatici.
Noi sull’Aquilone ONLUS

Oggigiorno, appare sempre più urgente la necessità, per ciascuna agenzia educativa, di disporre di un vademecum di riferimento in merito al corretto utilizzo dei maggiori social media per gli adolescenti posti alla loro mercè, molte volte attirati dallo schermo luminoso e dai tentacoli della rete, che trascinano nell’astrazione dell’impersonalità e del virtuale reale.

A fronte di pericolose situazioni di cyberbullismo, verificatesi in istituzioni scolastiche di quasi tutto il territorio nazionale e che hanno visto vittime adolescenti sempre minori di età, in campo giuridico ci si è posti la domanda della legittimità dell’utilizzo di gruppi Whatsapp da parte di minori di anni 16.

Ciò, in quanto si va diffondendo l’abitudine, a volte cattiva ed insidiosa, di creare gruppi chiusi sulla piattaforma social, i cui partecipanti sono tutti minori ed ammessi sulla base di parametri esteriori e fisici, economici e di notorietà, in rapporto anche al nucleo familiare di provenienza. È allora innegabile come i parametri richiesti creino differenze e discriminazioni, con rilevanti effetti negativi sui partecipanti al gruppo, ma ancor più sugli esclusi, costretti a subire aloni di isolamento nella vita reale. Se, da una parte, il compito richiesto ed affidato alle istituzioni e alle organizzazioni che si occupano di infanzia ed adolescenza è il corretto indirizzamento delle nuove generazioni verso una nuova dimensione di cittadinanza attiva, in cui esercitare consapevolmente libertà, responsabilità e democrazia, dall’altra agli stessi soggetti è posto il dovere di bilanciare la tutela dei minori nell’ambito dell’uso sicuro delle tecnologie dell’informazione con la libertà d’espressione e il diritto all’informazione.

La spinta al bilanciamento è sorta in ambiente europeo e in materia di crescita digitale: si pensi al consenso digitale, il quale impone una giusta mediazione tra il diritto di accesso alla rete e il rispetto della protezione potenziata garantita agli infanti e agli adolescenti. L’art. 8 Reg.UE 2016/679 del Parlamento europeo, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, contiene nuove previsioni relative alle “condizioni applicabili al consenso dei minorenni in relazione ai servizi della società dell’informazione”.

Il primo comma dell’articolo in questione introduce la regola generale per cui il consenso digitale si ritiene lecito solo laddove il minore abbia almeno 16 anni di età. Nel caso in cui, invece, l’interessato abbia un’età inferiore a quella riportata, il trattamento viene considerato lecito soltanto se e nella misura in cui il consenso sia prestato ed autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Tuttavia, è prevista una deroga al limite minimo di età per poter considerare valido il consenso rilasciato dal minorenne, precisando che gli Stati membri dell’UE possano stabilire per legge un’età inferiore a tali fini, purché non al di sotto dei 13 anni. In riferimento all’Italia, che ha recepito le regole del reg.UE 2016/679 con il D.lgs 101/2018, basta richiamare le condizioni contrattuali di Whatsapp per capire che, qualora si vogliano utilizzare i servizi della piattaforma, è richiesta un’età non inferiore agli anni 16, o comunque maggiore. Il problema non è ancora risolto dalla normativa in esame, perché il servizio social può essere utilizzato solamente in combinazione ad una scheda telefonica ed una Sim, che inevitabilmente comporta l’instaurazione di un contratto tra l’utente e il gestore telefonico scelto. E se si rammenta che la parte firmataria del contratto deve essere maggiorenne, si cade inevitabilmente nella questione della responsabilità genitoriale, espressa nella Carta costituzionale all’art.30 e nel codice civile all’art.316.

Custodire, allevare, educare, istruire e rappresentare sono i verbi utilizzati dal legislatore, ma forse sono anche gli unici che rappresentano con forza la pregnanza del ruolo. Dal momento che è sempre più frequente l’utilizzo degli strumenti di comunicazione telematica da parte dei minori, il diritto di ricevere e comunicare informazioni ed idee deve trovare un limite nella tutela della dignità della persona, soprattutto se minore di età, in quanto soggetto debole e bisognoso di apposita tutela non avendo ancora raggiunto un’apposita maturità. I genitori hanno il dovere di vigilare sull’attività web dei figli: gli obblighi inerenti la responsabilità genitoriale impongono il dovere di impartire al minore un’adeguata educazione, e di svolgere un’attività di vigilanza relativamente all’utilizzo dei mezzi di comunicazione al fine di evitare che i minori stessi cagionino danni a sé e a terzi, o peggio finiscano vittime dell’abuso di Internet da parte di adulti senza scrupoli. La diffusione di una cultura della sicurezza necessita, quindi, di una collaborazione interistituzionale sempre più stringente su questi temi. L’impegno condiviso da parte del mondo dell’high tech e social media nella protezione dei giovani utenti costituiscono prodromi irrinunciabili delle sperate strategie preventive. Ricordiamo sempre che i nostri figli sono il nostro futuro, ma se non sapremo proteggerli non avremo un futuro!

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