Katya Maugeri
PALERMO – Ogni anno le commemorazioni tendono a ripetere i soliti format, uguali e sterili. La memoria da calendario è quella delle passerelle priva di informazione concreta, quella che non scava all’interno della storia ma che cammina su un filo sottile chiamato apparenza. Una eco di frasi di circostanza dal suono inesistente.
Domani si ricorderà il ventiseiesimo anno dalla strage di Capaci in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, e gli agenti della polizia di Stato Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e alla quale sopravvissero gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista Giuseppe Costanza.
Si parla sempre troppo poco di quelli che vengono definiti “angeli custodi”, dei quali spesso non viene menzionato nemmeno il nome, il proprio vissuto. Sono solo “gli uomini della scorta”.
Ma quali sono le condizioni emotive, lavorative, lo spirito di servizio e i timori di questi uomini che silenziosamente proteggono personalità in nome dello Stato, affinché compiano il loro percorso antimafia garantendo così ai cittadini dei passi sempre più importanti verso un Paese migliore. L’auto di scorta non è un premio, non è un’auto blu, né un servizio taxi.
“Finché lo Stato non farà sentire forte la propria presenza, non abbiamo bisogno di commemorarli, noi lo facciamo ogni giorno, prima di prendere servizio, sotto la loro lapide. Una lapide che ci ricorda che è successo, che si tratta di un fatto reale e che se siamo là potrebbe succedere nuovamente” dichiara Salvatore Iuculano, dirigente sindacale del S.I.A.P., il sindacato della Polizia di Stato, durante la nostra intervista con la segreteria di base del Reparto Scorte di Palermo. “Per far diventare queste commemorazione concrete e funzionali – continua – lo Stato deve fare sentire la propria presenza ai vivi”.
“Noi ricordiamo i nostri colleghi tutte le volte che, come azione sindacale, ci rechiamo negli uffici, nelle scuole raccontando le loro storie – spiega Giuseppe Macchiarella, segretario del Siap -. Noi non abbiamo bisogno di commemorazioni, ma di rispetto. Noi abbiamo il sangue di quei colleghi attaccato sulla pelle e per loro facciamo il nostro lavoro nel migliore dei modi per non rendere inutile il loro sacrificio”.
Il Siap attraverso un attento e costante impegno civile cerca di abbattere quei muri, che durante gli anni, sono stati creati ad arte tra i cittadini e la Polizia, e questo avviene attraverso una informazione dettagliata fornita in prima persona nelle scuole e con la gente al fine di eliminare un odio preconcetto e ristabilire un rapporto di fiducia e orgoglio nei confronti di uomini che rischiano ogni giorno la propria vita. “Noi delle scorte siamo un ufficio della Questura e non un reparto – spiega Salvatore Agnello, dirigente sindacale – quindi non siamo degli specialisti. Ma solo abilitati, dopo specifico corso di addestramento di circa un mese: lo snodo è sottile, ma essenziale. Dipendere dal Ministero avrebbe e darebbe lustro in termini di addestramento, mezzi e fondi dedicati, e invece non lo è. La distanza è abissale e così, temo, rimarrà. Ne deriva, quindi, in termini diretti: remunerativi che il nostro inquadramento, livelli gerarchici a parte, per l’attività operativa svolta giornalmente è paragonabile a un collega che svolge attività di piantone di rappresentanza in Questura”.
Sono molteplici le richieste sostenute dal sindacato per garantire sicurezza e rispetto: “abbiamo più volte denunciato la inadeguatezza del parco auto – spiega Iuculano – che giornalmente grida vendetta e l’indennità di protezione, una indennità particolare che potrebbe essere un riconoscimento valido. Nulla di oneroso, ma un riconoscimento simbolico che ci faccia sentire la vicinanza dello Stato, che rappresentiamo”.
La mafia dalla campagna si è spostata ai piani alti, all’imprenditoria, ha invaso il tessuto economico dall’interno e per combatterla “dobbiamo modificare anche gli strumenti normativi e di lotta, occorre aggiornarsi – spiega Iuculano – dobbiamo spostarci anche verso i colletti bianchi, contro il voto di scambio ed estirpare la corruzione: incubatrice della mentalità mafiosa”.
Quel 23 maggio 1992 verrà ricordato, come ogni anno, attraverso manifestazioni, frasi, commozione, dolore e speranza. La speranza di chi lotta ogni giorno contro la paura, con spirito di servizio che ben oltre la retorica e le passerelle.
“L’aria era rarefatta. Lo stesso effetto che potrebbe causare una esplosione nucleare. Immobilità.
Un silenzio non acustico. Il 23 maggio 1992 fu un momento apparentemente normale in cui, improvvisamente, precipitò tutto addosso. Quella giornata che iniziò con la fuga di gas in autostrada, con l’esplosione, andò a finire ad aria rarefatta”. Conclude Salvatore Agnello. “Quel giorno si capiva che era accaduta qualcosa che non doveva succedere ma che era successa perché qualcuno aveva rotto uno schema – importante – che non doveva essere rotto”.
Emozioni olfattive, acustiche, di pelle “è difficile poi il giorno seguente continuare allo stesso modo. Si verificò che il personale giovane – me compreso – andassimo più spediti, forse presi da una incoscienza, e i più anziani entrassero in macchina molto preoccupati perché forse erano quelli i momenti in cui ci si chiedeva ma chi me lo fa fare?”.
Lo sconforto però non riesce a reprimere la voglia di giustizia che pulsa dentro il cuore di ognuno di loro, che come angeli custodi continuano a proteggere e a credere in qualcosa che nessuno potrà mai uccidere: gli ideali e la speranza di una Sicilia migliore.