Svuotati

Svuotati

di Erica Donzella
editor e scrittrice

Mi sveglio dopo un lungo incubo. Il sudore freddo lunga la schiena è diventato un amico fedele con cui conversare a metà letto ogni mattina. Faccio sempre lo stesso sogno terrificante quasi ogni notte. L’aereo che devo prendere decolla appena io arrivo al gate o, peggio ancora, riesco a imbarcarmi ma l’aereo non riesce a prendere il volo. Per non parlare di quando dimentico il bagaglio a casa e devo tornare indietro a riprenderlo. In quel momento decido di svegliarmi: che magia riuscire a fare sogni lucidi.

Vi risparmio la narrazione rispetto alle varie sedute di terapie affrontate negli ultimi mesi: il problema lo abbiamo capito, ormai ci sediamo insieme ad ogni bar, scrivania, cinema e affrontiamo lunghe discussioni sulla crescita personale e le paure. Si chiama “ansia” e se inizi a conviverci diventa una rogna difficile, un mostro dalle mille teste in grado di gestire al posto tuo ogni aspetto della tua esistenza. Ne scrivo perché so che è difficile parlarne, è uno stato emotivo che riesce persino a bloccarti in un mutismo paralizzante. Facile capire che blocca anche qualsivoglia processo creativo e artistico quando tocca i suoi picchi di efficienza. Ad un certo punto non ne parli, semplicemente stai rannicchiato nel tuo stato di non-vita.

A parte la mia esperienza personale, sto cercando di riflettere sulle cause che generano questo stato d’ansia, insofferenza, soffocamento perenne e sono giunta alla (quasi) conclusione che ci sia un problema da indagare più a fondo. Potrei riassumerlo in una sola parola: aspettativa. Rispetto al ruolo che ci siamo spesso imposti e al contesto in cui agiamo, rispetto alle relazioni che intrecciamo, rispetto alla vacuità in cui sguazziamo abbastanza coscientemente ma che non riusciamo a ribaltare in pienezza. Ho avuto la netta sensazione di essermi svuotata di colpo di quello che ero (in leggerezza, semplicità e anche ingenuità) per ricoprirmi di responsabilità e preoccupazione e che l’aspettativa sulla totalità della mia esistenza sia l’unica cosa che importi a me e, di riflesso, agli altri. Sono ancora seduta sul bordo del mio letto quando penso: “Quando è successo? Quando ho perso la mira? Sono io o la costruzione infondata di una vita che non sento più aderirmi addosso?”.

Ma, alla fine di tutto, sapete cosa avviene?

Che questa profondissima riflessione va a farsi benedire, perché c’è un’agenda da seguire, una linea retta su cui camminare, quel dannato aereo da prendere. Non importa altro, ha vinto ancora il mostro. Nel frattempo mi svuoto.

Nel frattempo e nel silenzio di questa sofferenza tutta interiore e mentale, la vita continuerà a passarmi accanto aspettandosi da me una prontezza di riflessi, uno scatto più lungo in salita, un fiato sempre più lungo. Vorrei capire cosa inseguiamo tutti quanti, a quale Terra promessa vorremmo approdare in definita per sentirci completi. Forse è il caso di svegliarsi e di mettere sui piatti della bilancia ciò che davvero riempie e cosa no. Vorrei che il mio bagaglio avesse al suo interno lo stretto necessario e non tutto quello che può entrarvi. Forse questa notte potrei riuscire a prendere il mio aereo.

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