Taormina, il fascino dei Carmina Burana al Teatro Antico

Taormina, il fascino dei Carmina Burana al Teatro Antico

di Antonio Licursi

Prima dell’invenzione della scrittura musicale, avvenuta intorno al XII secolo, la musica veniva tramandata oralmente. Soltanto la musica sacra fu salvata, perché coinvolgeva un’ampia fascia di pubblico, tra sacerdoti e fedeli. Di quella profana è arrivato ben poco nel primo millennio d.C. ed era prevalentemente monodico. Il codice, trovato nell’Abbazia di Benediktbeuren, risale alla fine del XIII secolo e contiene una cinquantina di canti goliardici con testo in latino e canto in lingua volgare, comunemente chiamati Carmina Burana.

La trascrizione, che è stata eseguita dai percussionisti e coro del Teatro Massimo Bellini, è quella curata da Wilhelm Killmayer, discepolo di Orff, per un organico più ridotto, nell’intento di avvicinare l’opera alle possibilità esecutive di scuole o piccoli gruppi musicali. La scelta non delude: anzi, offre nuovi spunti per un approfondimento dell’opera; giacché evidenzia la predilezione dell’autore per gli strumenti a percussione. Solo a essi è demandato il compito di rappresentare l’orchestra, unitamente ai due pianoforti, anch’essi, comunque, suonati con toni da strumenti percussivi. Tutto questo, insieme ai cori e alle voci soliste, ha una sua particolare suggestione ed evoca quel Medioevo fatalista e profano. Carl Orff, esponente di spicco del “gruppo di Francoforte” ha cercato una via moderna per la soluzione dei problemi di linguaggio posti dalla disgregazione tonale.

Dopo che Schonberg, Hindemith e altri si erano rifugiati all’estero, Orff rappresentava, per la cultura dominante di allora, il compositore nuovo, che utilizzava elementi statici unitamente a elementi primitivistici, con ripetizione di blocchi corali. L’ascoltatore ne era totalmente irretito. In definitiva, era la consacrazione del ritmo elementare.

Nella cavea del Teatro Antico di Taormina, il maestro Dario Lucantoni, con certosina dedizione dello spartito e fisica partecipazione alla direzione dell’evento, ha messo in evidenza la forma tonalmente limpida, sino all’ostentazione, dell’opera; con movenze arcaiche e con trovate timbriche d’effetto; alternando intima espressione nei pianissimi e forza iconoclasta nei pieni orchestrali. Il coro, nella sua struttura a blocchi, ha richiamato quest’arcaismo, compenetrandolo con il carattere ritmico dell’opera, sostenuto dagli strumenti a percussione. Particolarmente arduo è stato il compito delle tre voci soliste. Il soprano, Manuela Cucuccio, si è dovuta confrontare con una partitura complessa e molto dettagliata, che Orff, in alcuni passaggi, descrive con parole precise: «con dolcezza soave, fingendo ingenuità». In quest’ambito è particolarmente complicato, per l’interprete, assecondare le volontà del compositore mantenendo un’autonoma libertà d’interpretazione. Nelle stratosferiche altezze di “Dulcissime” è arrivata con leggerezza e alcune note alte risultano davvero inarrivabili: tant’è che il compositore aveva scelto per l’aria un soprano lirico, in modo da rendere più evidenti le tensioni musicali. Il baritono, Franco Vassallo, è stato messo a dura prova dalla scrittura di Orff, con frequenti cambi di registro.

Passaggi perigliosi nelle note acute che si risolvono in quelle più gravi. Alcune arie spesso richiedono estensioni che non si ritrovano comunemente in altri repertori. Il nostro, si è rivelato eccellente per la granitica vocalità e la finitura del fraseggio. Al tenore, Enea Scala, è toccato il compito, non meno arduo, di portare all’estremo tutte le voci. Resta zitto per quasi tutta la durata dell’opera per poi esordire con un «la» e poi ancora con un «la», «do», «re» e continue ripetizioni, lasciando trasparire il tono ironico dell’interpretazione. «Olim lacus colueram», per esempio, deve essere cantata interamente in falsetto per mostrare la sofferenza del personaggio: un cigno che sta per essere fatto arrosto.

I due pianoforti, come al solito penalizzati dall’esecuzione all’aperto, hanno rispettato le volontà percussionistiche che l’autore gli ha riservato, perdendo purtroppo in dinamica e presenza timbrica. Questo, comunque, è inerente alla tipicità dello strumento e non certo agli esecutori. La performance del coro di voci bianche diretti da Daniela Giambra è stata particolarmente apprezzata dal vasto pubblico presente. Gradinate gremite in ogni ordine di posti, rispettando naturalmente il distanziamento sociale. Come sempre impeccabile il coro del Massimo “catechizzato” dal maestro Petrozziello. Gli applausi, a scena aperta, a loro riservati nel finale, l’hanno confermato.

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